La dignidad de los nadies, di Fernando Ezequiel Solanas (2005)Documentario (sono di Solanas anche lo script, la fotografia e la voce fuori campo) Musica: Gerardo Gandini (120 minuti) Rating IMDb: 8.3
Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce
«La cultura della sconfitta e dell'amnesia si è pericolosamente diffusa tra milioni di persone», dice il regista Solanas e per questo nei suoi film si propone di scoprire e valorizzare «le prodezze quotidiane dei "nessuno", proposte alternative e solidali tali da dimostrare come il cambiamento sociale sia ancora possibile» .
Fernando Ezequiel Solanas, il bravo regista argentino de L'ora dei forni, di Tangos - L'esilio di Gardel (di cui ho già parlato), di Sur, da tempo si dedica a raccontare la resistenza sociale in Argentina. Ha ideato così una serie di film. Memorie del saccheggio (2002-2004), analisi dei meccanismi del potere e delle politiche di privatizzazione; La dignità degli ultimi, storie della resistenza sociale; e i prossimi: Argentina latente, sulle risorse nazionali e il recupero dell'autonomia economica, e La rivolta della terra.
Un cinema militante il suo, indirizzato a sostenere le ragioni della libertà e della giustizia in un'Argentina che stava per cadere sotto il gioco dei militari.
In La dignità degli ultimi racconta le storie di chi è stato dimenticato, bistrattato ed ha subito ingiustizie fino a ridursi oltre la soglia della povertà, ma che, nonostante tutto, non perde mai la determinazione di combattere contro un governo sempre più compromesso nei suoi rapporti poco chiari con grandi istituti bancari e compagnie petrolifere.
Nel film vengono mostrate le storie di Maestro Toba e della sua mensa per bambini indigenti, di Silvia e Carola, che lavorano in un grande ospedale di Buenos Aires in situazione disastrose docute alla sovrappopolazione, alla mancanza di fondi, colpevole una corruzione sempre più spregiudicata. Viene raccontata la storia della fabbrica di ceramica Zanon, già oggetto del film "The Take" di Avi Lewis (2004). Ma anche la storia incredibile di Lucy e del "Movimiento de Mujeres en Lucha" (movimento di donne in lotta), che per protestare contro le espropriazioni, risultato dei tassi usurari praticati da banche senza scrupoli a contadini in difficoltà, ricorre a una forma di lotta davvero incredibile: durante numerose aste per mettere in vendita ettari di terreni di contadini che avevano avuto prestiti di 20.000 pesos e si trovavano a doverne rendere 100.000, Lucy ed altre donne si erano messe a cantare l'inno nazionale argentino boicottando in questo modo le aste stesse. Gli ultimi arresti per questo "delitto" mostrati dalla pellicola di Solanas risalgono solo all'aprile del 2005.
Ma vengono mostrate storie più individuali da parte di chi davvero non ha neppure la forza di battersi politicamente, e forse sono le vicende più drammatiche, la miseria vissuta in solitudine può trasforarsi veramente in disperazione senza riscatto.
“E’ l’epopea anonima e quotidiana di chi è sempre stato tradito: la classe media impoverita, - dice Solanas - disoccupati, i “piqueteros” che bloccano le strade. Negli anni Sessanta e Settanta, una situazione simile mi portò a concepire “L'ora dei forni” (1968) e “I figli di Fierro” (1975), due pellicole molto diverse tra di loro, incentrate sulle lotte sociali dell’epoca”.
“Mentre percorrevo il paese e incontravo lavoratori, professionisti e indios, mi è venuta l’idea di realizzare un grande affresco sull’Argentina contemporanea. Ho così concepito quattro lungometraggi indipendenti tra di loro, ma uniti dal tema nazionale. Si parte dalla devastazione e dal saccheggio promossi del modello neoliberale, per arrivare alla ricostruzione e a un nuovo progetto capace di recuperare i diritti perduti”.
Sono storie dolenti, che rivelano condizioni di vita durissime: ma sono anche Storie commoventi, ammirevoli per l’altruismo, la capacità di lotta, il caldo slancio, capacità di solidarietà della gente. E ciò che ne viene fuori è un affresco in cui si rivela tutta la forza e la tenacia del regista deciso, con esempi concreti e carichi di pathos, a rivendicare la dignità del popolo e la speranza.
Storie che ci insegnano che là dove c'è la volontà di lottare nulla è perduto, nulla è così irreversibile.Colpisce, in particolare, l'assidua presenza delle donne, vero motore e anima odierna del paese: mogli e madri indomite e senza paura. Molti uomini, racconta una donna, non avevano saputo resistere di fronte alla tragedia che si era abbattuta su di loro e molti, moltissimi si erano suicidati. Nel film c'è, oltre la corruzione, le malversazioni, i raggiri, le sperequazioni sociali, proprio alla fine del tunnel, uno spiraglio di speranza: è difficile dare dignità a chi soffre, ma con questo documentario Solanas c'è riuscito benissimo.
Sono film che dovremmo guardare per non perdere la forza di lottare.
lunedì 12 maggio 2008
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7 commenti:
Insomma letteratura e cinematografia militante, eh?
Mi ricorda qualcosa, mi ricorda, 'sta roba qua dell'Arte Militante.
Chissà perchè tutte le volte che sento odore di Arte Militante comincio a grattarmi da tutte le parti, ma questo ovviamente è problema solo mio.
Bellissimo post, Giulia, ma questo era scontato.
Brava Giulia e bravi Abbracci.
Come sempre, del resto.
Questo è un bell'argomento, Gabriella. Negli anni '60 il cinema militante aveva un senso, oggi al cinema ci vanno in pochi (rispetto agli anni 50 e 60, pochissimi) e i cinema sono tutti in mano a una o due persone...
Di sicuro nessuna rivoluzione o lotta politica nascerà oggi dal cinema.
(ma questo è solo l'inizio di una possibile discussione, o chiacchierata).
Grazie Giulia per avermi segnalato un film che altrimenti avrei perso!
Io credo che non si debba parlare solo di arte militante che tende ad inquadrare in un genere, e allora l'orticaria viene anche a me. Ma mi sono sempre chiesta, se non sia importante raccontare anche la storia di chi non può scriversela da solo e che questo lo faccia chi lo sa fare bene... Sarà perchè ho avuto modo di sentire tante storie nella mia vita che nessuno racconta mai e che non interessano a nessuno...ma che sono storie vere, vive... E' una domanda che ho dentro. Non è che gli intelletuali disdegnano troppo queste storie?
Questo problema io non lo guardo dal punto di vista politico, ma dal punto di vista relazionale. A chi si rivolge il regista col film?Fa un discorso identitario o che può -a suo modo- riguardare tutti senza essere, come si diceva una volta, socialdemocratico? Faccio tre esempi pratici di film profondamente politici e veramente relazionali: "La battaglia di Algeri" di Pontecorvo, "C'eravamo tanto amati" di Scola ed "Ecce bombo" di Moretti. Ma io non sono monoteista o monoateista e quindi non faccio testo.
saludos
Solimano
P.S. Scusate la volgarità di tipo spero lieve: i nostri attuali politici, quelli cha abbiamo votato, si fanno la propaganda addosso proprio come la pipì. E agli altri, quelli che non li hanno votati, chi ci pensa? Lo Spirito Santo? O bisognerà darsi da fare per convincerli? Ma col post scriptum esco dal seminato, però quando sento discorsi tipo: "Questa città non ci ama!", mi viene da dirgli: "Tu, hai fatto qualcosa, per essere amato?"
Anch'io non lo vedo da un punto di visat politico... Io che ho fatto inconri con molte persone che mi hanno detto qualcosa, che hanno toccato la mia sensibilità, co cui sono entrata in una relazione significativa, se ne fossi in grado farei di questo patrimonio un film. Non so se sono riuscita a spiegarmi. Sono un po' stanca che si inquadri tutto in modo ideologico. Giulia
L'esempio migliore di "film militante" è probabilmente Ken Loach, o magari i film di De Sica con Zavattini.
Andando ancora indietro nel tempo, Charlie Chaplin e Renè Clair: tutte storie molto belle e divertenti, ma anche toccanti. Mostrare il mondo per come è, ma sapendo raccontare e mettendosi dalla parte giusta (cioè da quella "dei piccoli", come insegnava un noto rivoluzionario...).
In questo senso, il maestro n.1 è Dickens.
Questo è quello che intendo io per cinema politico: nei film di Loach e di Mike Leigh troverete chiaro e semplice il perché degli incidenti sul lavoro, per esempio. Ma è proprio il pubblico, la gente, che li rifiuta: meglio sognare con Beautiful. Onestamente, visto come vanno le cose, non so come dar loro torto.
Io la metterei così. Fare un film direttamente di politica non funziona, al di là del militantr o meno, perché viene fuori una roba piena di meta- e di -ismi, quindi col rischio della noia che nasce dalla ripetitività. Occorre che ci sia una storia, e che a quella storia ci si creda, il resto segue.
Fra quelli fatti, il nome che mi convince di più è quello di Mike Leigh.
saludos
Solimano
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