giovedì 1 maggio 2008

Il lavoro nel cinema: Furore

La preghiera degli Joad

The Grapes of Wrath, di John Ford (1940) Dal romanzo di John Steinbeck, Sceneggiatura di Nunnally Johnson Con Henry Fonda, Jane Darwell, John Carradine, Charley Grapewin, Dorris Bowdon, Russel Simpson, John Qualen, Eddie Quillan, Zeffie Tilbury, Franck Sully, Frank Darien, Darryl Hickman, Shirley Mills, Roger Imhof Fotografia: Gregg Toland Produzione: Darryl F. Zanuck (128 minuti) Rating IMDb: 8.2
Solimano
Io sono cresciuto a pane e John Ford. Ancora oggi, dopo averne viste tante, non riesco ad inquadrarlo. Ma non me ne preoccupo più come invece facevo vent'anni fa, in cui ero giunto ad un discernimento molto intelligente del grano dal loglio, riguardo John Ford. Ogni tanto me li riguardo, i suoi film (alcuni li so quasi a memoria) e vedo John Ford a volte come una delle montagne della sua Monument Valley, a volte come uno dei piccoli attori che nei suoi film fanno caratteri indimenticabili e compaiono per cinque minuti, non di più. E le due cose stanno insieme, inseparabili: la grande epica e il gesto quotidiano, semplice, umano.


I ragazzi Joad riescono perfino a divertirsi

Ford non avrà letto tanti libri, ma due ce li aveva dentro: la Bibbia e Shakespeare (non solo le tragedie, anche le commedie). Due polarità diverse, esattamente come sono due i suoi posti, ognuno al 100%: l'America e l'Irlanda. Perfino nel trombettiere più imbranato e nell'indiano più pennuto trovo qualcosa di irlandese: follia, però di tipo lucido, senso creaturale della vita, intesa come dono grande perché provvisorio, fantasia di tipo concreto, a noia assente: c'è tanto da fare, prima di annoiarsi. Forte senso del peccato, ma solo perché è occasione di perdono amoroso (quindi più Vangelo che Antico Testamento).

Grandma e Grandpa

Una religiosità forte, non da collitorti, col pastore protestante che inaugura la chiesa in My Darling Clementine e poi dice che nella Bibbia non ha mai trovato una parola contro il ballo e allora si balla, ma tutti si fermano ammirati a guardare Wyatt Earp che balla con Clementine Carter (chissà come reagirà Doc Holliday...) e col prete cattolico in The Quiet Man che non vede l'ora che Sean Thorton accetti la scazzottata con Squire 'Red' Will Danaher così finalmente Mary Kate Danaher -che non è più una ragazzina- potrà mettersi l'abito bianco. Non come gli odierni, che sono moralisti sulle generali, furbi ed avidi nei particolari. C'erano anche allora, ma un John Ford li sfotteva.

Il camioncino degli Joad è in panne

Il mio zoccolo duro fordiano è fatto di "Ombre rosse" e di "Il massacro di Fort Apache", quindi sono andato avanti con i western, ignorando "Il traditore", e soprattutto ignorando "Furore", che ho visto solo in anni recenti.

Contrariamente al solito, nelle note tecniche che traggo da IMDb metto anche il nome del produttore, Darryl F. Zanuck, che ha dato una grossa mano. Pagò una somma allora stratosferica (100.000 dollari) a John Steinbeck per i diritti del romanzo The Grapes of Whrath, convinse Henry Fonda ad accettare la parte di Tom Joad raccontandogli una balla clamorosa: che Tyrone Power era interessato a quella parte. Ma Zanuck dovette fare un contratto di otto anni con Fonda, che dal canto suo, una volta convinto, fece una interpretazione che ammaliò lo stesso Steinbeck. Fu mascherato anche il titolo del film, perché si sapeva che sarebbero sorte discussioni di ogni genere, e lo si chiamò per tutta la lavorazione "Highway 66". Zanuck volle mettere il becco su un'altra cosa: come erano veramente i campi migranti in California. Quindi mandò degli investigatori ad indagare: tornarono dicendo che quei campi erano ancora più squallidi e miserabili di come li aveva raccontati Steinbeck. La lavorazione del film durò sette settimane, pochissime dal nostro punto di vista, ma John Ford viaggiava a tre film l'anno.

Ma Joad con la figlia Ruth

John Ford disse all'operatore Gregg Toland che non avrebbe avuto niente di bello da fotografare, il risultato ottenuto, per quanto mi riguarda, è che, siccome non posso mettere troppe immagini, faccio fatica a sceglierle, perché sono tutte belle ed espressive.
Naturalmente il film ebbe le sue traversìe. Non fu proiettato in diversi states (come d'altra parte il libro di Steinbeck non fu presente per molti anni in gran parte delle biblioteche). In Italia arrivò solo agli inizi degli anni cinquanta, e il Centro Cattolico Cinematografico lo etichettò di un "adulti con riserva", che la dice chiara, sulla religiosità degli anni di Pio XII. Dall'altra parte, Stalin lo bandì dall'Unione Sovietica con una motivazione che più staliniana non si può: il film mostrava che in America anche la famiglia più disagiata poteva girare in macchina. In questa situazione, che la commissione McCarhty anni dopo indagasse su Ford e Steinbeck per attività paracomuniste (comunista Ford!) fu solo un atto dovuto.

Ma Joad con il figlio Tom

Il tema del film, più che il lavoro, è l'assenza del lavoro: la famiglia contadina Joad si mette in viaggio dall'Oklahoma alla California perché scacciata dalla casa dove ha sempre vissuto dal vento che ha inaridito il suolo e dalle banche che possiedono i terrreni ed useranno i trattori. Gli Joad partono perché hanno visto dei volantini che dicono che in California c'è lavoro.
Ma i volantini non dicono il vero, in California arrivano in tanti, che finiscono in una specie di inferno in terra: i campi migranti. Durante il viaggio muoiono i nonni, Grandpa (Charley Grapewin) e Grandma (Zeffie Tilbury) e viene ucciso da un poliziotto anche Casy (John Carradine) un ex pastore protestante che si è aggregato agli Joad. Tom Joad (Henry Fonda) che era reduce da anni di prigione, uccide il poliziotto e deve fuggire.
Il vero centro del film è Ma Joad (Jane Darwell), la mamma di Tom, quella che soffre di più ma che dalla continua sofferenza trova la forza per azioni positive. Dice, nelle famose parole che chiudono il film: "Siamo vivi. Siamo il popolo, la gente, che sopravvive a tutto. Nessuno può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo sempre avanti".

La California, finalmente!

Nel film appare chiaro l'orientamento di Zanuck a favore del New Deal di Roosevelt, che si diede da fare perché l'Amministrazione Centrale intervenisse contro lo squallore e le prevaricazioni nei campi migranti, istituendo dei campi con personale scelto dal Ministero dell'Agricultura.

Le scene nei campi migranti abbandonati a sé mi hanno fatto riflettere. Appare evidente in queste scene l'impunità di chi entra senza controlllo, spesso poliziotti locali che possono permettersi di tutto.
Poco tempo fa è uscita una serie di articoli sul quotidiano la Repubblica riguardo quello che successe alla caserma di Bolzaneto: nomi, cognomi, fatti di violenza sui fermati. Quegli articoli fanno pensare molto male, anche perché molti di quelli che praticarono quelle violenze o in qualche modo le tollerarono (come alcuni medici) sono ancora al loro posto, qualcuno sarà stato anche promosso.


Gli Joad qualcosa mangiano, molti ragazzi non hanno mangiato

Ricordo bene quei giorni di Genova, in cui Fini stava in prefettura, pur non essendo ministro degli interni, e c'era dietro un codazzo di provenienti da quella parte politica, fresca dell'acqua di Fiuggi. L'impressione è che, se a Bolzaneto successero quei fatti ripugnanti -si trattò di vere e proprie torture- ci fosse in chi le praticò o le autorizzò la certezza che non ci sarebbe stata nessuna riprovazione, perché è vero che a qualcuno può accadere di eccedere, al caldo di una situazione difficile, ma quando l'eccesso diventa sistematico siamo su un piano diverso e pericoloso.
Non mi impressiono più di tanto dei recenti risultati elettorali, anche perché mi sono ben presenti gli errori gravi dello schieramento che ho votato. Ma occorre essere molto attenti perché certi segni mostrano che c'è chi dice di essere cambiato, ma non è cambiato affatto.
Credo che oggi, Primo Maggio, sia opportuno avere le idee molto chiare.

Ed ecco il testo inglese della frase di Ma Joad che chiude il film:
"Rich fellas come up an' they die, an' their kids ain't no good an' they die out. But we keep a'comin'. We're the people that live. They can't wipe us out; they can't lick us. We'll go on forever, Pa, 'cause we're the people".

I prevaricatori nel campo migranti

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Oggi sappiamo che a molti di noi (più della metà) questo mondo piace, e sperano che ritorni: i poveri da una parte, lontani perché non sono belli e rovinano l'estetica, e i ricchi dall'altra.
Un mondo di servi e di padroni, come ai bei tempi passati.
(e anche la mafia e la corruzione piacciono, come abbiamo visto il 13 e 14 aprile, e come vediamo ad ogni elezione dal 1994 in qua: prima si poteva non farci caso...)
PS: e se poi uno chiede l'elemosina, lo si butta via a calci. Lui e la sua famiglia.

Anonimo ha detto...

Ho visto questo film molto tempo fa, ammetto di non ricordarlo benissimo. In più mi sembra di ricordare che nel libro c'era una ragazza incinta e nel film no, forse il contrario, perciò le due cose mi si ingarbugliano un po'.

L'unica cosa che m è rimasta impressa era la personalità di quella donna, grande di stazza e di cuore, e una scena in cui quei poveretti arrivano al campo e cercano di mangiare ma sono attorniati da bambini affamati e non sanno se è meglio dividere il loro cibo o tenerselo. E' stato un bel cazzotto nello stomaco. Di grande impatto visivo, visto che me lo ricordo ancora.