Les Quatre cents coups, di François Truffaut (1959) Sceneggiatura di François Truffaut, Marcel Moussy Con Jean-Pierre Léaud, Claire Maurier, Albert Rémy, Guy Decomble, Georges Flamant, Patrick Auffay, Daniel Couturier, Robert Beauvais e in piccole apparizioni: Jean-Claude Brialy, Jeanne Moreau, Philippe de Broca, Jacques Demy, François Truffaut Musica: Jean Constantin Fotografia: Henri Decaë (99 minuti) Rating IMDb: 8.1
Sabrina Manca sul suo blog C'era una volta un re
Les quatrecents coups (che corrisponde all'espressione italiana “diavolo a quattro”) di François Truffaut ci parla d'un ragazzino e del suo rapporto con vita.
Il mondo dell'infanzia e spesso dell'adolescenza è per definizione privo di sfumature. Un'ingiustizia subita comporta enormi sofferenze. Una birichinata scoperta da una figura di riferimento, sia esso genitore, insegnante o un adulto ammirato, e la conseguente negazione transitoria dell'affetto, gli faranno credere d'aver perso per sempre l'amore di quella figura e ciò gli appare insopportabile.
Il film si apre con Antoine, questo è il nome del piccolo eroe, che viene punito a scuola. Al suo ritorno lo accoglie una madre nervosa. E' solo l'arrivo del padre a conferire un clima disteso al quadro familiare. Il ragazzino oscilla tra il desiderio di essere amato dalla madre e la ribellione nei confronti di gesti che gli paiono insensati da parte delle figure di riferimento. Un giorno, insieme al compagno di classe e di marachelle, marina la scuola. Mentre è in giro a passeggiare vede la madre baciare uno sconosciuto. Anche lei lo riconosce ma non parleranno mai dell'episodio che farà tuttavia precipitare gli eventi. Il giorno successivo, a scuola, egli racconta agli insegnanti che si è assentato perché la madre è morta. I genitori, avvisati da un compagno di classe di Antoine, si recano a scuola e lo umiliano davanti alla classe. Antoine passa la notte fuori casa. L'indomani la madre va a prenderlo durante l'orario di scuola e trascorre la giornata con lui, mostrandosi amorevole e preoccupata della sua felicità.
La donna lo esorta a studiare e gli promette di ricompensarlo se andrà meglio a scuola. Durante la verifica trimestrale di lingua, Antoine, che è affascinato da Balzac, riscrive una pagina del suo eroe; viene così accusato di plagio ed allontanato dai corsi per alcuni mesi.
Questa volta Antoine, disperato scrive una lettera di commiato ai genitori, spiegando le ragioni del suo gesto e si rifugia in gran segreto dal suo amico René dove trascorre alcuni mesi. I due progettano di sottrarre una macchina da scrivere dall'ufficio del padre di Antoine. Il ragazzino riesce ad impossessarsene senza difficoltà ma dopo aver trascorso la giornata senza potersene disfare decide infine di renderla. Verrà colto in flagrante da un dipendente e denunciato per furto e vagabondaggio dal padre stesso.
Il ragazzino trascorre la notte in prigione e viene in seguito mandato in un istituto di correzione. A questo punto, con gli elementi in nostro possesso, ci attendiamo che i genitori, che volevano dargli una lezione, lo riprendano con loro. Truffaut infatti, non indugia certo nel melodramma. Mai vediamo la disperazione negli occhi di uno solo dei personaggi, mai ci viene suggerito un atteggiamento di compassione o comprensione per uno qualsiasi dei protagonisti.
La nostra sensazione sino a quel momento è che, se un difetto può essere individuato nel clima generale descritto, esso risieda in una sorta di disattenzione, di leggerezza mai caricata di un giudizio. Ebbene, nelle sequenze successive si ha una progressiva rivelazione di una parte della storia che non conoscevamo, la quale trasforma impietosamente la nostra indulgenza. La madre non vuole il figlio con sé e spiega al giudice che il marito, non essendo il vero padre del bambino, ha fatto anche troppo per lui. E ancora, in un incontro con una psicologa che ci viene presentata o piuttosto suggerita, visto che non viene mai inquadrata, come totalmente inconsapevole d'aver a che fare con un bambino, Antoine racconta con evidente serenità, come di un fatto oggettivo, che è la madre a non amarlo e desiderarlo con sé, apportando tutta una serie di elementi inconfutabili.
Il ragazzo, privato della libertà e allontanato dall'amico, alla prima occasione, scappa dall'istituto. La lunga sequenza che lo porta, in una corsa che sfinisce lo spettatore prima che Antoine, a raggiungere il mare, e lo sguardo con il quale il bambino per la prima e unica volta, ci interpella, è un film nel film o piuttosto, basterebbe a farne un capolavoro compiuto.
Ci sono un'infinità di elementi che fanno del film di Truffaut un capolavoro del cinema di tutti i tempi. Ciò che mi ha colpito alla prima visione è il ribaltamento di situazione, il quale, sebbene preparato minuziosamente in ogni sequenza che lo precede, e questo è ben evidente a una seconda visione, si produce davanti ai nostri occhi senza l'evidenza di un segno premonitore. Non è certo un colpo di scena alla moda dei thriller e tuttavia l'effetto che produce nello spettatore è ugualmente intenso e inatteso.
Sabrina Manca sul suo blog C'era una volta un re
Les quatrecents coups (che corrisponde all'espressione italiana “diavolo a quattro”) di François Truffaut ci parla d'un ragazzino e del suo rapporto con vita.
Il mondo dell'infanzia e spesso dell'adolescenza è per definizione privo di sfumature. Un'ingiustizia subita comporta enormi sofferenze. Una birichinata scoperta da una figura di riferimento, sia esso genitore, insegnante o un adulto ammirato, e la conseguente negazione transitoria dell'affetto, gli faranno credere d'aver perso per sempre l'amore di quella figura e ciò gli appare insopportabile.
Il film si apre con Antoine, questo è il nome del piccolo eroe, che viene punito a scuola. Al suo ritorno lo accoglie una madre nervosa. E' solo l'arrivo del padre a conferire un clima disteso al quadro familiare. Il ragazzino oscilla tra il desiderio di essere amato dalla madre e la ribellione nei confronti di gesti che gli paiono insensati da parte delle figure di riferimento. Un giorno, insieme al compagno di classe e di marachelle, marina la scuola. Mentre è in giro a passeggiare vede la madre baciare uno sconosciuto. Anche lei lo riconosce ma non parleranno mai dell'episodio che farà tuttavia precipitare gli eventi. Il giorno successivo, a scuola, egli racconta agli insegnanti che si è assentato perché la madre è morta. I genitori, avvisati da un compagno di classe di Antoine, si recano a scuola e lo umiliano davanti alla classe. Antoine passa la notte fuori casa. L'indomani la madre va a prenderlo durante l'orario di scuola e trascorre la giornata con lui, mostrandosi amorevole e preoccupata della sua felicità.
La donna lo esorta a studiare e gli promette di ricompensarlo se andrà meglio a scuola. Durante la verifica trimestrale di lingua, Antoine, che è affascinato da Balzac, riscrive una pagina del suo eroe; viene così accusato di plagio ed allontanato dai corsi per alcuni mesi.
Questa volta Antoine, disperato scrive una lettera di commiato ai genitori, spiegando le ragioni del suo gesto e si rifugia in gran segreto dal suo amico René dove trascorre alcuni mesi. I due progettano di sottrarre una macchina da scrivere dall'ufficio del padre di Antoine. Il ragazzino riesce ad impossessarsene senza difficoltà ma dopo aver trascorso la giornata senza potersene disfare decide infine di renderla. Verrà colto in flagrante da un dipendente e denunciato per furto e vagabondaggio dal padre stesso.
Il ragazzino trascorre la notte in prigione e viene in seguito mandato in un istituto di correzione. A questo punto, con gli elementi in nostro possesso, ci attendiamo che i genitori, che volevano dargli una lezione, lo riprendano con loro. Truffaut infatti, non indugia certo nel melodramma. Mai vediamo la disperazione negli occhi di uno solo dei personaggi, mai ci viene suggerito un atteggiamento di compassione o comprensione per uno qualsiasi dei protagonisti.
La nostra sensazione sino a quel momento è che, se un difetto può essere individuato nel clima generale descritto, esso risieda in una sorta di disattenzione, di leggerezza mai caricata di un giudizio. Ebbene, nelle sequenze successive si ha una progressiva rivelazione di una parte della storia che non conoscevamo, la quale trasforma impietosamente la nostra indulgenza. La madre non vuole il figlio con sé e spiega al giudice che il marito, non essendo il vero padre del bambino, ha fatto anche troppo per lui. E ancora, in un incontro con una psicologa che ci viene presentata o piuttosto suggerita, visto che non viene mai inquadrata, come totalmente inconsapevole d'aver a che fare con un bambino, Antoine racconta con evidente serenità, come di un fatto oggettivo, che è la madre a non amarlo e desiderarlo con sé, apportando tutta una serie di elementi inconfutabili.
Il ragazzo, privato della libertà e allontanato dall'amico, alla prima occasione, scappa dall'istituto. La lunga sequenza che lo porta, in una corsa che sfinisce lo spettatore prima che Antoine, a raggiungere il mare, e lo sguardo con il quale il bambino per la prima e unica volta, ci interpella, è un film nel film o piuttosto, basterebbe a farne un capolavoro compiuto.
Ci sono un'infinità di elementi che fanno del film di Truffaut un capolavoro del cinema di tutti i tempi. Ciò che mi ha colpito alla prima visione è il ribaltamento di situazione, il quale, sebbene preparato minuziosamente in ogni sequenza che lo precede, e questo è ben evidente a una seconda visione, si produce davanti ai nostri occhi senza l'evidenza di un segno premonitore. Non è certo un colpo di scena alla moda dei thriller e tuttavia l'effetto che produce nello spettatore è ugualmente intenso e inatteso.
10 commenti:
E' un film che deve molto a Jean Vigo, "Zero in condotta", un film del 1930, se non ricordo male.
Vigo è morto molto giovane e ci ha lasciato un film d'amore meraviglioso, "L'Atalante".
Non amo molto Truffaut, ma nei suoi momenti migliori Truffaut sembra davvero aver raccolto il testimone da Jean Vigo...
Ah, il cinema francese!! Io, a differenza di Giuliano, ADORO Truffaut, ed in particolare questo film. Una delle scene finali più belle ed intense e, per me, commoventi, di tutta la storia del cinema. La libertà.
Con Truffaut ho un rapporto ambiguo, mentre ho una ammirazione quasi senza ombre per Resnais, Rohmer e Chabrol. Di Truffaut apprezzo quasi tutti i film, con dei ma e dei però. Trovo ad esempio che vuole mostrare spesso quando è bravo con le macchina da presa, e questo lo porta a manierismi distraenti. Inoltre, agli amori che racconta, non so fino a che punto ci creda.
Però su due film non ho praticamente riserve: il primo e l'ultimo, cioè questo e "Finalmente domenica". Il motivo credo che sia che in questi film è totalmente coinvolto, in questo perché c'è lui con la sua infanzia e giovinezza difficile, nell'altro perché c'è Fanny Ardant, e fa impressione la differenza di questa attrice fra quando c'è Truffaut e quando c'è un altro regista. Ad esempio, in "Melò" di Resnais (che per me è un grande film) Sabine Azèma è tutta su un altro piano.
Sabrina spero proprio di poter pubblicare presto altri tuoi film. Grazie!
saludos
Solimano
C'è un film di Truffaut che mi piace moltissimo, ed è "Il ragazzo selvaggio". Come si vede, non è proprio una scelta da fedele di Truffaut...
Bentornata/o (se non sbaglio, è da declinare al femminile) all'Arfasatto Landolfiano. (sono sempre in cerca, se mi aiuti mettiamo davvero qualcosa di Tommaso Landolfi legato al cinema)
Sì, sono UNA arfasatto, che è parola indeclinabile. Certo "Il ragazzo selvaggio" è un film quasi perfetto. Ma io amo molto tutta la serie su Antoine Doinel, compreso "I 400 colpi". Poi Finalmente domenica, che deve tutto o quasi non a Fanny Ardant, ma al mitico Trintignant (qui, lo ammetto, sono molto di parte)
Landolfi e il cinema: mah, non ho elementi al momento, ma non mi sembra il tipo da trasposizione cinematografica. Comunque indagheremo.
Arfasatto, mi piacerebbe sapere la tua opinione su Jean-Pierre Léaud, a prescindere da questo film, in quelli veri e propri della serie di Antoine Doinel. Per me, è il punto debole di quei film in genere molto pregevoli e con esemplari presenze femminili. Anche in Effetto notte Léaud stride un po'. Anche se, va detto, da Truffaut c'è da aspettarsi di tutto, cioè che scegliesse Léaud proprio per quelle caratteristiche.
Mentre di Trintignat ho una considerazione molto positiva: cito tre film in cui è bravissimo, in cui ha fatto personaggi molto diversi con fascie di età lontane: Il sorpasso, Ma nuit chez Maud, Film Rosso. Anche in Finalmente domenica, che è un piccolo film perfetto, lo trovo bravissimo, ma vuoi mettere, Fanny Ardant con quel costume teatrale!
grazie e saludos
Solimano
A me sembra che Leaud sia perfetto come Antoine Doinel: piuttosto semplice ed impacciato, meravigliosamente francese, direi che come tipo ricorda molto lo stesso Truffaut. Non sarà un grande attore, ma come Doinel va benissimo, soprattutto in Baci Rubati, il mio preferito.
Su Trintignant avrei da dire mille cose, perché è in assoluto il mio attore preferito. Vorrei solo ricordare, oltre ai film citati da Solimano, le sue interpretazioni ne Il Mondo Nuovo, Colpire al Cuore, La terrazza, Il Deserto Dei Tartari, La Donna Della Domenica, perfino Un Uomo Una Donna. Poi La mia Notte Con Maud, Zeta, Il Conformista, e poi indietro, giovanissimo ma molto intenso, in Estate Violenta. Chissà quanti ne dimentico!!
Arfasatto, hai ragione.
Almeno Il conformista, Estate violenta e Zeta vanno ricordati.
Anche La donne della domenica e Un uomo una donna, che sono film su cui ci sono delle riserve da fare, ma reggono per merito di Trintignant.
saludos
Solimano
Stavo rileggendo questi commenti, portata qui dal tag "bambini" del mio post su Incompreso.
E, Solimano, a questo punto ti chiedo, anche se con notevole ritardo, che riserve ci sono su La donna della domenica. Io lo trovo delizioso e semiperfetto; a cominciare da JLT, naturalmente, per continuare con Jaqueline Bisset e perfino con Mastroianni. Dimmi, dimmi.
Elena, nessuna riserva, figuriamoci. E' in arrivo sul terzo binario... fra un po' di tempo vedrai.
saludos
Solimano
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