giovedì 15 maggio 2008

I modi di vedere: Il mestiere delle armi (1)

Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi (2001) Con Christo Jivkov, Delislava Tenekedjeva, Sandra Ceccarelli, Sasa Vulicevic, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchov, Aldo Toscano, Fabio Giubbani, Nikolaus Moras Musica: Fabio Vacchi Fotografia: Fabio Olmi (100 minuti) Rating IMDb: 7.0
Solimano
Inizio una nuova vista logica: i modi di vedere.
Ci stavo pensando da tempo, soppesando i pro ed i contro, e cerco di spiegare il perché.
Man mano che mi si aprivano delle buone miniere di immagini, ho scoperto che quasi tutti i film, specie quelli più famosi, hanno poche immagini di riferimento, sempre quelle: Anita Ekberg a mollo nella fontana di Trevi, i quattro de Il mucchio selvaggio che camminano affiancati, il barone Cefalù con bocchino e sigaretta etc etc. Si tratta di immagini-poster, mi ricordano certe belle musiche di Mozart o di Schubert divenute tormentoni pubblicitari.
Le immagini meno note che mi capitavano sott'occhio, mi davano una impressione completamente diversa: sembravano versi singoli facenti parte della stessa poesia.
Fin qui è semplice, solo che c'è un fenomeno ben noto a chi ama leggere i poeti: nel dettaglio del singolo verso si esprime il totale dell'intera poesia. Il verso, come l'immagine, ha vita e valenza autonoma, se fosse solo un frammento perderebbe di significato.
Ciò non succede nella maggioranza dei film, ma quando succede, appare evidente che le immagini sono coerenti, anche al di là del momento del film in cui compaiono.
Poi mi si è posto il problema del nome della vista logica.
Dapprima ho pensato a registi pittori, ma mi è parsa una dizione ambigua, vera ma anche falsa. Il regista non pensa di fare il pittore. A volte ha tangenze col mondo della pittura (difatti abbiamo la vista logica La pittura nel cinema) ma mi sono accorto che questa coerenza si manifesta quasi sempre con immagini che non hanno riferimenti iconografici.
Allora mi è venuto in mente il nome lo stile dei registi. Ma il concetto di stile è vasto, quindi col rischio del generico, e non è detto che questa coerenza ci sia in tutti e fra tutti i film di quel regista: il campo d'azione della coerenza è quel singolo film, punto e basta.
Infine mi è piaciuta la dizione I modi di vedere perché è collegata alle percezioni che arrivano al regista e fra cui lui effettua la sua scelta. Poi mi è piaciuto che il nome sapesse un po' di artigiano, ed i registi sono anche artigiani, guai se no. Non è detto che ciò riguardi solo i grandi registi: succede anche in registi meno importanti che però in quel particolare caso hanno adottato - consciamente o no- un modo di vedere personale e coerente. O gli è uscito dalle mani senza che se ne accorgessero, fate voi.

Le immagini de Il mestiere delle armi che inserisco qui di seguito fanno appunto riferimento a questo mestiere. Cerco di comprendere -di vedere e sentire soprattutto- come Ermanno Olmi rappresenta la guerra, ed i vari mestieri di armi che nella guerra ci sono.

I quattro giovani tamburini sono tutt'altro che trionfanti. Stanno in disparte sotto le piante, sul terreno innevato e gelato, in un'ora fra notte e giorno. Tutto si svolge nella seconda metà del mese di novembre del 1526.

Nella mattina nebbiosa si cominciano appena a scorgere sull'altra riva del fiume gli imperiali di Georg von Frundsberg (Nikolaus Moras), regolarmente schierati. Frundsberg opera secondo una regolare guerra di eserciti, Joanni (Christo Jivkov) invece, avendo pochi uomini, però abili come cavalieri, agisce con incursioni improvvise per rallentare l'avanzata del Frundsberg ed impedire il vettovagliamento, un problema che la stagione rende difficile da risolvere.


Nella notte o di prima mattina si viaggia sul fiume, per non esporsi. Di notte vengono traportate le artiglierie che l'Estense si impegna di fornire al Frundsberg in cambio della promessa di matrimonio con una principessa imperiale. Sempre di notte, il Gonzaga fa in modo che gli imperiali passino il ponte a Governolo. Sia l'Estense che il Gonzaga sono formalmente alleati del papa, ma si accordano con gli imperiali per salvare dal saccheggio i loro territori.


Le armature e soprattutto gli elmi non hanno niente di decorativo e di lussuoso: servono esclusivamente alla protezione dei soldati. Il punto più esposto, la testa, deve essere opportunamente difeso. Le bandiere servono come riconoscimento degli schieramenti più che per galvanizzare i combattenti. Prima di combattere, si guarda con molta attenzione lo schieramento avverso. Può passare anche molto tempo fra l'avvistamento e lo scontro.


E' essenziale mantenere compatto il proprio schieramento. Un soldato isolato cadrebbe immediatamente in preda al panico. Se si sta raggruppati, si può riuscire a dominare il pensiero che hanno tutti: il rischio di morire in quel giorno.

E' il 25 novembre 1526. Di fronte alla fornace di Governolo, Joanni, col suo aiutante di campo, guarda lo schieramento degli imperiali, che stanno sulla difensiva. Sarà Joanni ad attaccare.

Ecco come Joanni vede i non numerosi soldati imperiali schierati davanti alla fornace di Governolo.

Ecco lo schieramento degli imperiali visto da dietro . Davanti ci sono i lancieri, ma in primissimo piano, sempre di spalle, ci sono altri pochi uomini di cui non si capisce il compito.

Quando Joanni attacca, i lancieri si scostano, ed appare il falconetto, un pezzo di artiglieria appena consegnato al Frundsberg dal Gonzaga. E'appena partito il colpo che ferisce Joanni, che morirà il 30 novembre a Mantova, dopo aver subito l'inutile amputazione della gamba ferita.

P.S. Inserisco un particolare de La resa di Breda di Velasquez. Il dipinto (1634-35) è conservato al Museo del Prado.

9 commenti:

mazapegul ha detto...

Mi colpì, del film di Olmi, la filogica e preziosa -ma non pretenziosa-iconografia, e l'assoluta assenza di retorica, fino quasi alla dissonanza formale (non mi viene termine migliore, spero si capisca). Un film in cui, metti giustamente in rilievo, c'è l'uomo attraverso il "mestiere" (come sarà -in altri termini- nei Centochiodi).
Il film dev'essere costato un occhio, ma Olmi non ha speso un euro per venire incontro alle legittime aspettative dello spettatore. Storia di battaglie evitate, incontri mancati e, quando avvengono, a parti rovesciate (col falconetto che trasforma la "scaramuzza" in rotta precipitosa).
Olmi è un regista difficile e scostante, ma destinato a rimanere, a invecchiare bene, a mantenere uno spiraglio aperto su un' umanità sempre presente, in qualche modo.

Solimano ha detto...

Maz, io spesso tendo al prolisso, che non è un male di per sé, se le baroccaggini miescono giuste.
Ma di fronte a uno come Ermanno Olmi e a un film come Il mestiere delle armi non c'è stato verso. Ho scelto le immagini con la maggior cura che potevo, ed ho messo solo qualche riga di tipo esplicativo sotto le immagini, che hanno una forza che parla da sola, senza bisogno di puntelli.
Il cinema estivo dove vidi il film era pienissimo, più di mille persone di tutti i tipi. Si sentiva anche qualche sbuffo di insofferenza, perché Olmi se ne sbatte, non ti risparmia niente: l'agonia lunghissima, le musiche difficili, i documenti d'epoca presi paro paro: lettere, diplomazie etc etc. Ma all'uscita li vedevi tutti contenti, questi mille, perché si erano trovati di fronte alla grandezza e soprattutto ad una serietà totale rarissima, in Italia soprattutto. Seguirà un secondo post della vista logica I modi di vedere, ancora dedicato a questo film, ma non all'aspetto militare.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Guardando le immagini, il rimando d'obbligo è al Mahabharata di Peter Brook (tutte quelle lance!) e al "Kagemusha" di Kurosawa, dove si vedono meraviglie simili a quelle di Olmi.
Del film di Kurosawa, sono ancora sbalordito dalla sequenza in cui il tiratore scelto prende la mira per colpire il suo bersaglio di notte. C'è qualcuno che se la ricorda?
Questa perfezione nei dettagli c'è solo in Olmi...

gabrilu ha detto...

Bella quest'idea di aprire un tag/label/categoria/vista logica intitolata "modi di vedere".
A me viene da pensare a due tipologie di "immagini-da-film"

** Immagini "icone".
Mi riferisco a quelle da te Solimano opportunamente esemplificate con l' "Anita Ekberg che sguazza etc."
Vogliamo aggiungere Gregory e Audrey in lambretta, Moretti sulla vespa e insomma quintalate d'altra roba? Le immagini-icone abbondano.

Io penso che siano utili, immagini di questo tipo. Succede a volte, infatti, che non ci si ricordi il titolo del film, ma poichè se ne ricorda (ah, la memoria visiva!) l'icona/poster, il ricordo di questa aiuti a risalire a titolo, regista, attori. Io insomma l'apprezzo, l'Anitona sguazzante e tutte le immagini-icone che possono esser ricondotte a questa tipologia.

** Le immagini che illustrano il "modo di vedere".
Qui il discorso si fa più complicato (e più interessante). Perchè è inevitabile che faccia capolino il distinguo: "il modo di vedere DI CHI"?

Del regista? Ma lui ha fatto un film. Mica ha scelto di fare il fotografo. Ci sarà pure un perchè, se ha scelto il mondo delle immagini in movimento. O no?!?!

Di colui (o colei) che sceglie quale fotogramma privilegiare e quale trascurare?

Ecco. Si, questa è roba che mi piace

Belli, belli questi tuoi "Modi di vedere".

Pregusto già la goduria delle prossime puntate ^_^

Giuliano ha detto...

A proposito dei modi di vedere, ogni volta che si cercano immagini in rete capitano sempre le stesse cose.
Dei film recenti c'è quasi tutto, di altri poco o niente, e passi (passi anche per i capolavori e i film famosi).
Di altri film, c'è l'immagine del Divo o della Diva, e manca tutto il resto. Questo può sembrare normale, e del resto capita anche con i poster, le copertine dei dvd, i trailers...
Per esempio, nella "Carrozza d'Oro" di Renoir pare che tutto cominci e finisca con Anna Magnani e col Torero: la mia sensazione in casi come questi è che il film per intero lo abbiano visto in pochi.
Però è un discorso da riprendere, soprattutto per i trailers e le immagini sui libri. Un esempio al volo: di tutto l'Andrej Rubliov, un film di Tarkovskij che dura tre ore, è facilissimo trovare l'unica scena di una donna nuda. Passi per il 1966, anno di nascita del film, ma che capiti ancora oggi è davvero ridicolo. (Sesso e sangue, ecco cosa vuole il pubblico!)

Solimano ha detto...

Giuliano, l'accostamento al Mahabharata di Peter Brook è impeccabile, e non solo per le lance, ma per tutto il tono con cui è trattato l'aspetto militare: epico, rituale eppure quotidiano.
E qui ci sarebbe da fare un discorso sulla difficoltà odierna a comprendere questo aspetto, perché buttano il bambino con l'acqua sporca. Può andar bene l'antimilitarismo, in un mondo di armi di distruzione di massa, anche se un certo tipo di pacifismo lo trovo o ingenuo o con la lingua biforcuta.
Ma l'epica no, non si butta l'epica. Quindi non solo sto con Olmi e Brook, che hanno fatto due opere esemplari che resteranno, ma sto proprio col Mahabharata-Mahabharata che è una radice occulta e feconda della nostra civiltà. Occulta per noi, che la ignoriamo, peggio per noi.
Ma Olmi è un cristiano di quelli non col collo torto, e chiaramente queste cose le sa benissimo.
Gabrilu, la regola è che non c'è regola, sono convinto da tempo che non esistono le Goldberg di Bach, ma le Goldberg di Bach-Gould, non solo, le Goldberg di Bach-Gould-Solimano, diverse dalle Goldberg di Bach-Gould-Gabrilu e così via. E' un discorso pericoloso, che potrebbe portare all'estremismo un po' fanatico del grande Celibidache, ma uno zen laico è tuttora un mito fecondo e non oscuramente misterico. Quindi, se mi va di organizzare le mie percezioni anche secondo una vista logica che denomino I modi di vedere, lo posso fare, dipenderà dai risultati. Quello che mi ha convinto è stato accorgermi come gli esempi coerenti che posso fare possono essere di per sé convincenti, pur essendo di tipologie molto diverse e sorprendenti. Eppoi, a me sembra che apra la mente molto di più che il suddividere per thriller, horror, fantasy, animation, gangster, noir, etc etc.
Ma la cosa mi risulta ancora più chiara perché mi è evidente la differenza fra un data base gerarchico ed un data base relazionale. Qui in rete, tutti a parlare di gestione per etichette... mentre è proprio il modo di ragionare che è diverso, a monte del modo informatico che ne è solo una lodevolissima opportunità conseguente. Tecnicamente Blogger e Splinder non ci mettono a disposizione un vero e proprio data base, ma una brillante gestione per indici che però ci permette di ottenere quello che vogliamo, se, e solo se, cogliamo l'aspetto relazionale. Mentre, se ci fermiamo al gerarchico, le etichette ci portano ad una cassettiera con tanti cassettine chiuse in sé: un mondo molto ordinato, però noioso perché privo di sorprese, un mondo in cui non esiste l'Ah!, ma solo il Vabbè.
Giuliano, che il pubblico chieda sesso ci può stare, e l'immagine della donna nuda del Rubliov è bellissima, c'è anche qui, non certo per compiacenza. Il punto è che questi ricercatori sono degli anatomo-patologici che se gli fai vedere la bellissima -e sensualissima- Danae del Correggio, ti dicono: "Che roba è?"

grazie e saludos
Solimano

gabrilu ha detto...

Solimano, guarda che io avevo detto più o meno le cose che dici tu, eh.
Vabbè.

Solimano ha detto...

Gabrilu, mi era ben chiaro che tu avevi apprezzato e condiviso l'approccio -tutt'altro che facile- che ho deciso di intraprendere dopo molte esitazioni.
Ma a me piace cogliere tutti gli spunti per battermi sulle cose in cui credo. In questo caso, la supponenza molto diffusa in rete sulle autolimitazioni a diario personale dei blog, che sono solo una modalità software che può essere proteiforme, non irregimentata. Quindi, per me, la cosiddetta cultura blogghiera, è pigrizia che impedisce di fare molte cose belle ed utili, perché in rete i talenti ci sarebbero. Aggiungo una cosa che non ho detto: che il discorso dei modi di vedere è, mutatis mutandis, applicabile anche ai libri. C'è una cultura empirista e pragmatica (in genere di tipo anglosassone) che fa i conti con i residui idealistici ancora considerati dogmi, mentre sono solo abitudini. Idem per i vaticani ed i marxiani (in fondo parenti fra di loro).

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Il lato negativo dell'esercito è in Kubrick, Orizzonti di gloria e Full metal jacket, e anche Stranamore... Ricordo una bella pagina di Elemire Zolla sulla "mistica fascista" (Zolla, grande storico delle religioni, era del '26), lui da bambino non sopportava quelli che gridavano nelle orecchie. Bisognerà ripescarla...

Comunque sia, pescare una schiena nuda in un film difficile che dura tre ore e mezza richiede una notevolissima costanza e applicazione. Complimenti a chi le fa, queste scelte!