sabato 12 aprile 2008

Le lacrime amare di Petra von Kant

Petra von Kant (Margit Carstensen) e Karin Thimm (Hanna Schygulla)

Die bitteren Tränen der Petra von Kant, Regia: Rainer Werner Fassbinder, scritto e sceneggiato da Rainer Werner Fassbinder, tratto da un suo lavoro teatrale. Con: Margit Carstensen (Petra von Kant), Hanna Schygulla (Karin Thimm), Irm Hermann (Marlene), Katrin Schaake (Sidonie von Grasenabb), Eva Mattes (Eva von Kant), Gisela Fackeldey (Valerie von Kant) Costumi di Maja Lemcke, Fotografia Michael Ballhaus, Produzione: Germania, Durata: 124 min., anno 1972 Rating IMDb: 7.4

Gabrilu sul suo blog NonSoloProust

"Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l'altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per potere amare senza dominare l'altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire. Il punto è che credo di potere esprimere meglio quello che sento quando uso un personaggio femminile come centro." (Rainer Werner Fassbinder)

"Le lacrime amare di Petra Von Kant", film del 1972 del tedesco Rainer Werner Fassbinder è una storia di donne che è soprattutto una storia di dipendenza e di potere. Ma anche di una dolorosa presa di coscienza.


Petra von Kant (Margit Carstensen) è una stilista di successo, separata dal marito, madre di una figlia adolescente, affascinante e intelligente ma svuotata dentro da due matrimoni andati male. Vive in un ambiente molto raffinato e personale, ma opprimente e pieno di manichini


Accanto a lei c'è la segretaria e factotum Marlene (Irm Hermann) che -- presenza silenziosa ed asservita -- la ama perdutamente.

Marlene (Irm Herman)

L' esistenza di Petra viene profondamente turbata dall'incontro con la giovane e bella Karin Thimm (Hanna Schygulla), presentatale dall'amica Sidonie von Grasenabb (Katrin Schaake)

Petra (Margit Carstensen), Karin (Hanna Schygulla)
e Sidonie (Katrin Schaake)

Karin, di origini semi proletarie, separata dal marito e con una drammatica storia familiare alle spalle desidera molto inserirsi nel mondo della moda. Petra ne rimane totalmente ammaliata e le offre danaro e fortuna.


Di Karin, Petra invidia la giovinezza e la spregiudicatezza; nel rapporto con lei cerca un amore che rivitalizzi la sua vita. Ma il suo amore - sarà lei stessa, più tardi, a confessarlo - risponde anche ad un desiderio, dalle sfumature sadiche, di possesso.


Karin va a vivere con lei; ma ben presto la possessività e la gelosia di Petra finiscono per opprimerla, ed appena riceve una telefonata del marito che le chiede di raggiungerlo, non esita un attimo ad andarsene.


Petra rimane sola, assistita amorevolmente dalla fedele Marlene, il cui sforzo però non è mai apprezzato e che anzi viene spesso maltrattata. Petra va di male in peggio. Nel giorno del suo compleanno, ubriaca, aspetta una telefonata di Karin che però non arriva. La scena in cui Petra/Margit Carstensen si precipita a rispondere al telefono e, constatando che non si tratta di Karin, sbatte la cornetta ringhiando "No, questa non è casa von Kant" è memorabile.

Completamente fuori di sè per l'abbandono di Karin ha una spaventosa crisi isterica durante la quale maltratta la madre, la figlia e l'amica Sidonie che sono venute a trovarla.



Solo in seguito, dopo un importante colloquio con la madre, riesce a calmarsi e quando Karin finalmente telefona riesce a risponderle pacatamente.


Petra sente adesso la voglia di cambiare, di rinascere. Si rende conto, finalmente, di quanto male abbia trattato Marlene, le chiede scusa, è pronta a ricominciare. Ma questa volta Marlene si rifiuta. Marlene, del tutto assoggettata a Petra, la vittima che accetta ogni capriccio e cattiveria, si ribella proprio quando Petra alla fine la tratta per la prima volta affettuosamente e senza il suo normale fare autoritario. Senza una parola, riempie una valigia e se ne va. Petra adesso è veramente sola.

In Le lacrime amare di Petra von Kant compaiono solo donne ed è un film dell'amore lesbico rispetto al film (quasi) tutto di uomini e di amori maschili che sarà, dieci anni dopo, Querelle.

Il film -- il dodicesimo lungometraggio di Fassbinder -- è una fedele trasposizione del testo teatrale scritto e messo in scena dallo stesso Fassbinder l'anno precedente. Conserva perciò molte caratteristiche squisitamente teatrali che ne fanno un vero e proprio kammerspiele: l'unità di spazio (tutto si svolge in un solo ambiente, la casa-atelier di Petra), una certa staticità della macchina da presa e soprattutto la grande importanza dei dialoghi. L'ambiente circoscritto e claustrofobico, dominato dal gran letto di ottone di Petra, dai manichini che popolano l'appartamento, l'immobilità dei personaggi e della situazione, la lentezza della storia possono anche risultare esasperanti. Ma il formidabile scandaglio psicologico delle tre protagoniste, la splendida fotografia mi hanno reso questo film uno dei miei preferiti tra quelli di Fassbinder. Uno di quei film che magari in alcuni momenti mi irritano e mi fanno sbuffare mentre li guardo, ma che poi mi rimangono a lungo nella memoria e nel cervello. Fassbinder, morto a soli 37 anni probabilmente per overdose (si parlò anche di suicidio) fu un regista vulcanico, spesso cupo e malinconico, a volte estremo e fin troppo crudo. Non mi piace sempre e non mi piace tutto, ed inoltre, il "teatro filmato" non è esattamente un'idea di cinema che mi appartiene. Ma in questo film alcuni elementi abbastanza tipici della produzione di Fassbinder (la sottolineatura del melodramma, la violenza dei colori e costumi, l'ammiccamento al kitsch) sono gestiti secondo me in maniera affascinante.
Mi piace anche che non ci sia un personaggio che prevalga sugli altri o con il quale io mi senta di identificarmi: Petra, Karin, Marlene (che è una presenza muta: in tutto il film non pronuncia una sola parola e la sua è una recitazione interamente affidata agli sguardi ed a impercettibili movimenti del volto) mi suscitano di volta in volta comprensione, astio, compassione, irritazione.
Le attrici sono tutte di una bravura eccezionale. Margit Carstensen è una Petra von Kant straordinaria, Irm Hermann regge a meraviglia un intero film senza pronunciare una sola parola e poi c'è lei, Hanna Schygulla, una delle mie attrici preferite da sempre e preferita anche da Fassbinder, con il quale ha girato ben 23 (ventitre!) film...
La dinamica delle relazioni amorose tra le tre donne di diversa estrazione sociale (piccola borghesia Marlene, più vicina al proletariato Karen, aristocratica Petra) è decisamente quella della dialettica servo/padrone. Se, nel rapporto con la segretaria-schiava Marlene, Petra costituisce il padrone, l'entrata in scena di Karin, di cui Petra si innamora, è destinata a quasi annientarla. Da un lato ella sarà abbandonata da Karin, che, se apparentemente può sembrare più spontanea e quindi più umana di Petra, si rivela alla prova dei fatti fredda e calcolatrice, e per di più totalmente dipendente dalla figura del marito, alla cui chiamata accorre, alla fine, immediatamente, lasciando cadere Petra e rivelando in extremis tutto il suo malcelato desiderio e piacere di dominio e di potere. Dall'altro, dopo che Petra è dolorosamente maturata, e, credendo di cogliere in questa maturazione un insegnamento positivo, diviene più disponibile verso la muta schiava Marlene, è proprio quest'ultima a rifiutarla: nel momento in cui Petra si spoglia del suo ruolo di padrone, nega la sua stessa ragione di esistere agli occhi di Marlene, che l'abbandona. Non è certamente casuale che tutti gli abiti che indossano le donne siano stretti ed attillati. Più che fasciare, costringono i corpi --- specie quello di Petra --- in una elegante prigione. Le collane sono collari o grovigli di perle, i bracciali rigidi cerchi.

In questo film di un uomo che parla di donne è anche presente il tema della maternità: Petra è madre di una figlia adolescente, nata da un matrimonio dal quale si è emancipata, e a sua volta figlia di una donna con la quale ha, nel film, un incontro e un dialogo di grande importanza.

Non c'è una colonna sonora vera e propria, ma musiche che intervengono in momenti molto precisi e che servono a commentare lo stato d'animo di Petra. Da un lato c'è la grande tradizione operistica rappresentata da Verdi: nella grande scena della crisi isterica di Petra ubriaca risuona l'aria di Alfredo "Un dì felice" de La Traviata con cui Fassbinder sottolinea l'aspetto melodrammatico della sequenza. Dall'altro, ci sono i dischi preferiti di Petra "The Great Pretender" e "Smoke Gets Into Your Eyes" dei Platters.

Come interpretare il finale di questo film?

Petra, abbandonata da tutti, sprofonda in una solitudine che sembra assoluta. Questa interpretazione tragica e assolutamente pessimistica, in cui alla fine i personaggi si troverebbero nella stessa situazione dell'inizio ed in cui tutto appare determinato dai più crudi rapporti di uso e sopraffazione è quella che in genere prevale.

Eppure, forse è possibile pensare che quella di Petra non sia una disfatta totale ma una presa di coscienza, anche se dolorosissima. Rispetto a Karin, che ritorna gioiosa alla dipendenza dal marito, Petra è pur sempre una donna indipendente che ha abbandonato definitivamente un marito prepotente e rispetto a Marlene, che resta servo proprio nel momento in cui crede di rovesciare i ruoli Petra riesce, proprio perché paga un enorme prezzo, a superare la fissità del suo ruolo in quella relazione, e a conquistare umanità. La stessa frase di Petra, la quale nel colloquio con la madre dichiara di non avere realmente amato Karin, ma solo cercato di possederla, e soprattutto la sua affermazione "Si deve imparare ad amare senza esigere" potrebbero indicare che sia Petra, che si nasconde nel buio dell'ultima scena, la sola a conservare, alla fine, una nota di autentica forza.

Asta Scheib, Margit Carstensen, Rainer Werner Fassbinder (1975)

5 commenti:

Solimano ha detto...

Gabrilu, è molto interessante la frase di Fassbinder che hai riportato all'inizio del post. Parte da una affermazione giusta, anche se spesso negata (il tentato dominio è universale) per giungere ad una terapia di tipo autolesionistico, tirando fuori una considerazione mortuaria, che semmai dovrebbe rafforzare l'ipotesi del tentato dominio.
Mi fa venire in mente una vecchia matrice comportamentale, semplice, magari un po' bieca, ma utile perché funziona. Le quattro possibilità sono:
io OK tu OK,
io OK tu no OK,
io no OK tu OK,
io no OK tu no OK.
Naturalmente l'unica veramente gratificante è la prima, ma le altre tre possibilità sono molto più diffuse e praticate, basta guardarsi intorno.
A me sembra che nel film, pregevolissimo per diversi motivi, vengano fuori proprio inconsciamente -quindi ancor più efficacemente- tutte e tre quelle possibilità. La prima è naturalmente esclusa, perché l'incontro sinergico di due dominanze che si accettano e si esaltano a vicenda non va bene, in quanto si accetterebbe come un dato di fatto l'esistenza della propria pulsione di dominanza, che esiste come esiste il respiro.
Ciò che hanno dimostrato (dimostrato, non insegnato) Darwin, Lorenz, Monod e Laborit (scienziati, non moralisti né psicanalisti) chissà perché si fa di tutto per non accettarlo, direi addirittura per non vederlo, come fecero i cardinali col cannocchiale di Galileo.
Una delle cose più belle di Fassbinder è che, pur essendo lui nel quadrante io no OK tu non OK, è riuscito a fare alcuni film in cui non mente e non cade quindi nella scontata giaculatoria del sentimentalismo.

grazie e saludos
Solimano

gabrilu ha detto...

Solimano a parte le considerazioni sull'Analisi Transazionale di Thomas Harris cui fai riferimento, c'è un altro elemento nella citazione di Fassbinder che mi ha spinto a metterla in epigrafe, e cioè quando dice "credo di potere esprimere meglio quello che sento quando uso un personaggio femminile come centro".
In effetti, la maggior parte dei film di Fassbinder sono centrati (anche nel titolo) su una figura femminile: oltre questo Petra von Kant abbiamo Martha, Veronika Voss, Lola, Lili Marleen, Effi Briest, Il matrimonio di Maria Braun e quel La paura mangia l'anima forse meno famoso degli altri ma molto, molto interessante, anche quello centrato su una donna.
Grazie sempre e voscenza bbenedica (smile)

Giuliano ha detto...

Devo dire che mi sono sempre sentito molto lontano da Fassbinder: l'unico suo film che ricordo volentieri è "Il matrimonio di Maria Braun".
Quando uscivano i suoi film, era di moda recitare una specie di rosario: "Wenders, Herzog, Fassbinder..." Dei primi due ho visto tutto quello che mi è stato possibile vedere, con Fassbinder mi sono fermato presto.
Ne riconosco il grande talento (bastano queste foto per capirlo), ma non ho una gran voglia di rivedere i suoi film.
Semplificando molto, si può dire che Wenders e Herzog lavorano in esterni, Fassbinder lavora soprattutto in interni: ambienti chiusi, che avrebbero un gran bisogno di aria fresca. E' la sua poetica, tanto di cappello ma io vado più volentieri a vedere qualcos'altro.

Solimano ha detto...

Giuliano, però a parte questo (che io trovo bellissimo) almeno Lola lo devi vedere. Nella storia di Lola c'è una coerenza quasi da teorema che trovo molto convincente, ed è fresco anche come film politico: parlando della Germania degli anni di Adenauer sembra che parli dell'Italia di oggi.
Poi c'è l'aspetto visivo: Fassbinder non so ospira ai pittori, è lui un pittore, come lo sono Jarman e Olmi. Un discorso che riprenderò, devo trovare il modo giusto, ma guardando le immagini che ha messo Gabrilu ci si trova una perfetta analogia con una galleria d'arte di un grande pittore. Un discorso non estetistico (come provano a fare tanti) ma di modalità di visione e di espressione.

saludos
Solimano

Maria Chiara ha detto...

Complimenti per le vostre analisi. Ho visto il film per la prima volta oggi. Sto recuperando la sua filmografia. Ottimo regista e già uno dei miei prediletti :)