La vita che vorrei, di Giuseppe Piccioni (2004) Sceneggiatura di Linda Ferri, Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella Con Luigi Lo Cascio, Sandra Ceccarelli, Galatea Ranzi, Fabio Camilli, Antonino Bruschetta, Camilla Filippi, Paolo Sassanelli, Roberto Citran, Gea Lionello, Sasa Vulicevic, Sonia Gessner Musica: Michele Fedrigotti, Fotografia: Arnaldo Catinari (125 minuti) Rating IMDb: 6.9
Solimano
L'immagine chiave del film è quella che metto sopra il post. Si sta facendo un provino per un film in costume il cui titolo sarà "La vita che vorrei", una storia un po' come La signora delle camelie. L'attore è Stefano (Luigi Lo Cascio), che è noto, ha raggiunto un relativo successo. L'attrice è Laura (Sandra Ceccarelli), che è alle prime armi anche se ha già trent'anni. E' arrivata al provino con un'ora di ritardo, rischiando di perdere l'opportunità che si sta giocando adesso.
I due sono seduti fianco a fianco con davanti il testo da cui leggono; il regista e l'operatore sono dall'altra parte del tavolo. D'un tratto, Laura prende la mano di Stefano, che guarda meravigliato non lei, ma le mani intrecciate. E la recitazione prosegue, probabilmente è proprio questo gesto istintuale che convince il regista a dare la parte a Laura, mentre sembrava quasi scontato che la parte andasse a Chiara (Galatea Ranzi), un'attrice già nota e buona amica di Stefano.
L'interpretazione di questo accidente -felice per Laura- parrebbe semplice: la vita reale che invade la vita fittizia, a parte che qualche cinico direbbe che la sconosciuta Laura col suo gesto cerca di comprarsi il noto Stefano per farselo amico.
Ma le cose non stanno così, c'è dell'altro, ed è qui la novità vera del film, che quasi tutti i critici hanno confrontato con i film del cinema sul cinema, fra cui ci sono film importanti, cito solo Effetto Notte di Truffaut e La donna del tenente francese di Reisz. Perché la domanda sottesa alla struttura del film è: ma è proprio autentica, questa scissione fra vita vera e vita fittizia?
Faccio l'esempio di due giochi di società, che trovo assai belli, con un solo importante difetto: li si può giocare una volta sola.
Il primo è il gioco degli animali.
Supponiamo che uno di voi sia il conduttore del gioco, e che ci siano dieci persone presenti: "Dite che animale vorreste essere e perché". Ognuno dice il suo animale ed il suo perché. Finito il giro, il conduttore fa: "Dite il secondo animale che vorreste essere e perché". Qualcuno fa uffa! ma si rassegnano e dicono gli animali ed i perché. A questo punto: "Dite il terzo -e ultimo- animale e perché". Qui non protestano più, fanno fatica, a tirar fuori 'sto terzo animale.
Finito il giro, tutti guardano con odio il conduttore ed uno gli fa: "E mo'?". E il conduttore si rizza quasi fosse Mosè con le tavole della legge e dice: "Il primo animale è come vi vedono gli altri, il secondo è come vi vedete voi, il terzo è come siete veramente". Beh, vi assicuro che non c'è bisogno di strutturare il pomeriggio: vanno avanti per ore a ricamarci, sui tre animali di ciascuno.
Il secondo è il gioco della manìa.
Qui c'è uno che viene mandato fuori e che deve aspettare che gli altri si mettano d'accordo. Poi lo si chiama, ed uno del gruppo gli dice: "Noi siamo tutti affetti dall'identica manìa. Tu fai le domande che vuoi ad ognuno di noi, e noi risponderemo condizionati dalla nostra manìa, ma risponderemo. Tu devi indovinare di che manìa si tratta". E il poveretto comincia a fare delle domande, e la cosa va avanti, molte risposte sono precisissime, altre vaghe, ogni tanto nel gruppo -chissà perché- ridono. Se il gruppo è affiatato si può tenere sotto scacco il poveretto per due ore, ma in genere qualcuno si impietosisce e la menata finisce prima: la manìa è che ognuno risponde come risponderebbe secondo lui quello -o quella, è bene alternare- seduto alla sua destra. Semplicissimo, ma quanta roba viene fuori! Di ogni genere.
Si comprende benissimo che questi due giochi si possono fare solo una volta, perché l'ingenuità è indispensabile.
Che c'entra, col film? C'entra, perché la vita reale è una recita conscia o inconscia di un copione prefissato e che raramente si modifica. A questo punto, il confine fra vita reale e vita fittizia cade, e sembra addirittura che in certi momenti del film in costume "La vita che vorrei" ci sia più verità che nella vita reale dei singoli attori. Delle attrici soprattutto, perché Piccioni privilegia le attrici, a partire da Sandra Ceccarelli.
Nihil sub sole novi, anche se a questa cosa, del copione non scritto che ognuno di noi si assegna - o che gli è stato assegnato magari da un destino cinico e baro- non ci si bada perché si è troppo immedesimati nella recita. Il che non vuol dire che occorre chiamarsi fuori -sarebbe comunque impossibile- ma alternare disattaccamento ed identificazione, identificazione e disattaccamento. Se lo si fa, finisce che si recita meglio, gli spettatori -e le spettatrici- al cui giudizio teniamo sono più contenti di noi.
Un esempio convincente è proprio la rete. Tutti a confrontare la vita reale con la fittizia vita virtuale, ma se ci si pensa un momento, ci si accorge che in rete diciamo cose che nella vita reale non diremmo -né magari penseremmo- mai. Perché nella vita reale, il copione è usurato dall'uso e dall'abitudine, le pagine sono stropicciate e ci sono tanti rumori fuori scena. Vista sotto quest'ottica, la passionaccia che hanno i teatranti per il loro spesso mal pagato mestiere, appare non come protuberante -e debole- manifestazione di narcisismo, ma come l'irrompere della verità, che è nell'accettazione della recita individua del proprio copione. Ci sono anche i suggeritori... non stanno nella buca, ma sui pulpiti o in TV, e ci fanno recitare il loro copione facendoci credere che sia il nostro.
Il film racconta il va e vieni dell'amore fra Laura e Stefano, che è anche quello fra Federico e Leonora, i personaggi del film che si sta girando nel film. Quindi la cesura fra realtà e rappresentazione viene a cadere, e provate un momento, sulla base di questi presupposti, ad immaginare di iterare il gioco, inserendo anche quello che succedeva realmente (?) sul set, mantre si girava il film di cui sto parlando. E così via, in un gioco senza fine, perché tale è.
Non è un caso che il personaggio più chiaro (nella sua cronica sordidezza) è Raffaele (Fabio Camilli) che è all'inizio l'amante non amato di Laura, che lo prende e si fa prendere per autolesionismo, solitudine, debolezza, per sfiga comune, in fondo. Questa situazione sta sfuggendo dalle mani di Raffaele, che ricorre a tutti i mezzucci -comprese le bassezze- pur di tenersela non dico stretta ma almeno quasi legata. Fino a non svegliarla il giorno che lei ha il provino decisivo: meglio sfigata con lui che realizzata con altri. La chiarezza del personaggio di Raffaele, come di quelli del regista e degli altri personaggi collaterali, nasce dal fatto che non hanno il ruolo scenico in cui esprimere anche quello che nella vita reale (?) non esprimono. A cui si aggiunge un'altra variante, che è un altro gioco senza fine: che il copione non è uno solo, ma è personalizzato a seconda della persona che ci sta di fronte.
Così, il sesso di sfogo, che Stefano pratica ogni tanto con amiche occasionali, e che si autosvela nella gran voglia che lui ha dopo, che queste se ne vadano da casa sua, diventa un'altra cosa con Laura: i due ridono insieme anche facendo l'amore. Entrambi hanno a che fare coll'inevitabile cinismo di un mondo in cui star fermi vuol dire andare indietro, e quindi è necessario accettare la ripetitività dei telefilm, nel caso di Stefano, o il voler piacere a chi sta sopra e può decidere della carriera, nel caso di Laura, che è al tempo stesso autolesionista ed ambiziosa.
Ricordiamo anche che un potente sistema di controllo -lo si ricerca sempre negandolo- in campo amoroso, è che la libertà dell'altra persona si fermi ai paletti che decidi tu, non a quelli che decide lei. Per cui, Stefano ha ragione a dire a Laura che più che una attrice è una simulatrice, il che è solo un modo un po' più sofisticato e politicamente corretto di quello che fa Raffaele, che cerca di ristabilire i paletti ormai abbattuti, e quando si accorge che non ce la fa, cerca di danneggiare Laura pubblicamente. Il tema del difficile ma necessario rapporto fra amore e potere è da anni trattato in molti film, ma spesso in modo schematico, inquadrato, con suddivisione di ambiti. Qui, il gioco è mischiato, come è nella normalità, che non si vorrebbe accettare, fingendo che le cose stiano diversamente.
Nel finale del film compare, inaspettatamente, un altro personaggio: il neonato figlio di Laura e di Stefano, che per mesi non ha saputo della gravidanza di Laura che era volutamente sparita. A parte il fatto che è un tema caro a Piccioni, ci sono almeno altri due suoi film in cui il tema dei figli è centrale, qui è trattato sul filo d'equilibrio, perché la caduta nel sentimentalismo del tutto s'aggiusta era quasi inevitabile. Quindi il film ha un finale aperto, perché i copioni non finiscono mai... Stefano e Laura se la giocheranno, come ognuno di noi, che lo voglia o no, deve fare ogni giorno. Il punto non è farlo o non farlo, il punto è la consapevolezza del gioco che si sta giocando. Il pregio fondamentale del film è nel riuscire a mostrare la transitorietà dei pensieri e dei sentimenti senza denigrare, moralizzare, intristire. La mostra, correttamente, come condizione ineliminabile, stato permanente proprio perché sempre transiente, un gran bel paradosso, se, e solo se, si smette di ricercare una sicurezza che non esiste. E se ci fosse, sai la noia! Artefice prima è Sandra Ceccarelli, attrice mirabile, capace con naturalezza studiosa di esprimere la transitorietà: le basta uno sguardo, un modo, un gesto, e ti accorgi del posto nuovo dove ti ha portato prima che dica una parola.
sabato 19 aprile 2008
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3 commenti:
Ciao scusa se il messagio non ha nulla a che fare con questo post ma volevamo informarti/vi che ci siamo presi la libertà di segnalarvi all'interno del nostro blog: officinadiaz.blogspot.com
inoltre ci complimentiamo per recensione del "Caso Mattei"
Particolermente sensibili a quel cinema d'impegno politico-sociale...
Grazie per la visita, sono già andato a vedere e tornerò.
Sul cinema d'impegno politico- sociale abbiamo fra l'altro 25 post su il "lavoro nel cinema". Sono convinto che oggi sia il caso di accorgersi che film come "Il gusto degli altri", "Segreti e bugie" e "Le invasioni barbariche" (per fare solo tre esempi) trattino temi del genere, anche se non ci sono tutti i bollini sul passaporto. E' importante poter giocare a tutto campo, se no si rischia di credere che lo spazio si restringe, mentre invece si sta allargando, e il respiro si fa profondo, non stretto.
muchas gracias e saludos
Solimano
Quando vedo Sandra Ceccarelli mi nasce lo stesso pensiero di quando vedo Lea Massari: questa è una donna.
Una donna vera, mica di quelle che girano in tv oggi (e al cinema, purtroppo, e anche in teatro e in Parlamento...).
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