Bikur Ha-Tizmoret, di Eran Kolirin (2007) Sceneggiatura di Eran Kolirin Con Sasson Gabai, Ronit Elkabetz, Saleh Bakri, Khalifa Natour, Shlomi Avraham, Uri Gavriel, Ahuva Keren, François Khell, Hisham Khoury Musica: Habib Shadah Fotografia: Shai Goldman (87 minuti) Rating IMDb: 7.8
Massimo
"A mia nonna, che riposi in pace". La dedica finale è una sorpresa che si unisce alle tante altre del film "La banda", uscito da poco, ma già scacciato nelle sale "oggetti smarriti", quelle dove trovi le chicche.
La Banda Egiziana della Polizia di Alessandria - sbarcata in perfetta uniforme d'ordinanza - si perde proprio quando deve tenere un delicato concerto in Israele. Il direttore d'orchestra chiede orgoglio al suo manipolo e tutti trascinando i loro strumenti, si avviano - pur non sapendo dove - ma decisi a trovare il villaggio del loro concerto, finché il deserto non li ferma. La fame e la stanchezza dei musicisti convincono il capobanda a dirottare il suo gruppo verso un piccolo abitato, dove almeno c'è un modesto ristorante, gestito da una donna ancora giovane e vivace. Il contatto iniziale tra israeliani e egiziani non è dei migliori, ma il bisogno (la fame) toglie boria al direttore d'orchestra egiziano - che chiede aiuto alla donna - e così smorza la diffidenza di questa, che decide non solo di rifocillarli, ma anche di farli dormire in attesa del bus del giorno dopo, coinvolgendo in questa operazione i frequentatori del pub.
La cena è l'occasione per aprirsi. La locandiera si fa bella per il direttore d'orchestra, non appena capisce che neanche lui è sposato. In una pizzeria con luci al neon la donna confessa di essersi innamorata da ragazza di Omar Sharif e di non essersi mai persa i film arabi che davano il venerdì, piangendo sempre su ogni storia. Gli ex nemici di una guerra ancora fresca nella memoria dei vecchi - mai citata, ma sempre presente nella diffidenza degli sguardi iniziali - si trovano a mangiare insieme, nelle case normali, dove parlano di problemi normali. Un trombettista egiziano aiuta un suo coetaneo a conquistare una ragazza; in un'altra casa, il silenzio imbarazzato della tavola si rompe solo quando il capofamiglia israeliano confida di saper suonare anche lui. E di aver suonato nei matrimoni canzoni straniere come Summer Time: l'accenna e tutti gli egiziani - uno dopo l'altro - partono perché la sanno anche loro. Ridono e cantano, insieme, intorno ad una tavola, Israeliani ed Egiziani. Il giorno dopo, il saluto tra la banda e chi l'ha aiutata è pieno di riconoscenza. E della tristezza di doversi separare proprio quando ci si era conosciuti. Dall'ultimo saluto con la mano sappiamo che nel deserto è accaduto un piccolo miracolo: la propaganda che contrappone i popoli stavolta è sconfitta dalla cronaca minore che fa incontrare le persone.
Massimo
"A mia nonna, che riposi in pace". La dedica finale è una sorpresa che si unisce alle tante altre del film "La banda", uscito da poco, ma già scacciato nelle sale "oggetti smarriti", quelle dove trovi le chicche.
La Banda Egiziana della Polizia di Alessandria - sbarcata in perfetta uniforme d'ordinanza - si perde proprio quando deve tenere un delicato concerto in Israele. Il direttore d'orchestra chiede orgoglio al suo manipolo e tutti trascinando i loro strumenti, si avviano - pur non sapendo dove - ma decisi a trovare il villaggio del loro concerto, finché il deserto non li ferma. La fame e la stanchezza dei musicisti convincono il capobanda a dirottare il suo gruppo verso un piccolo abitato, dove almeno c'è un modesto ristorante, gestito da una donna ancora giovane e vivace. Il contatto iniziale tra israeliani e egiziani non è dei migliori, ma il bisogno (la fame) toglie boria al direttore d'orchestra egiziano - che chiede aiuto alla donna - e così smorza la diffidenza di questa, che decide non solo di rifocillarli, ma anche di farli dormire in attesa del bus del giorno dopo, coinvolgendo in questa operazione i frequentatori del pub.
La cena è l'occasione per aprirsi. La locandiera si fa bella per il direttore d'orchestra, non appena capisce che neanche lui è sposato. In una pizzeria con luci al neon la donna confessa di essersi innamorata da ragazza di Omar Sharif e di non essersi mai persa i film arabi che davano il venerdì, piangendo sempre su ogni storia. Gli ex nemici di una guerra ancora fresca nella memoria dei vecchi - mai citata, ma sempre presente nella diffidenza degli sguardi iniziali - si trovano a mangiare insieme, nelle case normali, dove parlano di problemi normali. Un trombettista egiziano aiuta un suo coetaneo a conquistare una ragazza; in un'altra casa, il silenzio imbarazzato della tavola si rompe solo quando il capofamiglia israeliano confida di saper suonare anche lui. E di aver suonato nei matrimoni canzoni straniere come Summer Time: l'accenna e tutti gli egiziani - uno dopo l'altro - partono perché la sanno anche loro. Ridono e cantano, insieme, intorno ad una tavola, Israeliani ed Egiziani. Il giorno dopo, il saluto tra la banda e chi l'ha aiutata è pieno di riconoscenza. E della tristezza di doversi separare proprio quando ci si era conosciuti. Dall'ultimo saluto con la mano sappiamo che nel deserto è accaduto un piccolo miracolo: la propaganda che contrappone i popoli stavolta è sconfitta dalla cronaca minore che fa incontrare le persone.
4 commenti:
BENTORNATO, MASSIMO!!!!!!!!!!
Questo è un film di cui mi hanno parlato bene anche alcune amiche, e che mi piacerebbe vedere: il deserto, la fame e il caldo hanno davvero un grande potere, se riescono a mettere d'accordo arabi e israeliani! E il fascino di Omar Sharif, poi... un altro punto di contatto ben saldo!
Grazie per averlo raccontato in maniera così elegante, leggera, solo apparentemente "elementare".
Kisses from
Roby
...Massimo quello di Roma? Era ora!
Da come viene presentato, mi sono fatta l'idea di un film delizioso :-)
Ben ritrovato Massimo, alla prossima, sia qui che sul Nonblog, penso che Habanera sia d'accordo: qualcosa di tuo c'è già.
grazie e saludos
Solimano
P.S. Ma Veltroni, 'gna fa?
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