Il ferroviere, di Pietro Germi (1956) Sceneggiatura di Pietro Germi, Alfredo Giannetti, Ennio De Concini, Carlo Musso, Luciano Vincenzoni Con Pietro Germi, Luisa Della Noce, Sylva Koscina, Saro Urzì, Carlo Giuffrè, Renato Speziali, Edoardo Nevola, Riccardo Garrone Musica: Carlo Rustichelli Fotografia: Leonida Barboni (118 minuti) Rating IMDb: 8.0
Solimano
Questo film l'ho visto per la prima volta solo quindici giorni fa e la cosa è abbastanza strana, perché mio padre e mio nonno erano ferrovieri ed anche altri parenti (zii e cugini) lo erano. Ho vissuto per più di quindici anni in un casello ferroviario. I primi due anni di lavoro dopo la laurea li ho fatti in ferrovia. Eppure, non avevo mai visto "Il ferroviere" di Pietro Germi, che è un film importante. La ragione è semplice: a scuola mi vergognavo di appartenere ad una famiglia di ferrovieri e soprattutto di vivere in un casello.
Il motivo c'era: in quegli anni sembrava che il futuro fosse degli aerei e delle automobili. La ferrovia, persino il viaggiare in treno, era considerato da poveretti, più che da poveracci. Molti pensavano seriamente che le rotaie sarebbero sparite (comprese quelle dei tram, che adesso farebbero comodo, una specie di metrò di superficie). Andreotti disse una delle sue famose frasi, che personalmente trovo più banali che acute: "Ci sono due forme di pazzia inguaribile, credersi Napoleone e credere di poter risanare il deficit delle FS". Oggi, in Italia, ne paghiamo ancora le conseguenze: le merci viaggiano per strada molto più che negli altri paesi europei, e quindi si comprende meglio il perché di certi intasamenti soprattutto nelle autostrade.
Le liceali sognavano ad occhi aperti di fare le hostess, l'Autostrada del Sole veniva costruita in pochissimi anni e non c'era nessun piano riguardante le ferrovie, si pensava che molte linee sarebbero state chiuse. L'Italia apparentemente era una repubblica, in realtà una monarchia -di quelle che comandano, non di rappresentanza- con Casa Reale la famiglia Agnelli. Molti non sanno che anche buona parte delle commesse ferroviarie erano appannaggio della Fiat.
Nei due anni che trascorsi in ferrovia, per mesi e mesi dovetti imparare a guidare i treni, perché avrei dovuto fare delle inchieste in caso di incidente e quindi dovevo conoscere anche la pratica oltre che la grammatica. Ho guidato di tutto: elettrotreni (corrente continua e anche corrente trifase, da Bolzano al Brennero), diesel nelle Puglie, anche locomotive a vapore in Toscana.
Il film, incentrato sul macchinista Andrea Marcocci (Pietro Germi), a parte qualche dettaglio è veritiero.
Per capire l'ambiente di Andrea, occorre avere ben presente che allora i ferrovieri vivevano quasi sempre fra di loro: a parte i caselli, c'erano dei casermoni di proprietà delle FS in cui le famiglie alloggiavano. Erano in genere nelle vicinanze delle linee ferroviarie e delle stazioni, quindi case popolari ma ben tenute. E strutture dopolavoristiche e colonie estive, in cui andai dai sei ai dodici anni.
Il dramma di Andrea è che lui si autoesclude dall'ambiente dei compagni di lavoro non partecipando ad uno sciopero. Ritiene che il sindacato non l'abbia difeso come doveva quando ha dovuto subire una inchiesta per aver superato un semaforo rosso rischiando l'incidente grave.
I figli dei compagni scrivono sui muri delle case che Marcocci è un crumiro, e suo figlio piccolo, Sandro (Edoardo Nevola), legge la scritta. Andrea non va più nello stesso ritrovo dove per anni ed anni è andato alla fine del turno di lavoro, e si isola anche dalla famiglia. Cose oggi impensabili, ma era così: il senso di appartenenza era forte, sia all'azienda che al sindacato.
I sindacati corporativi (macchinisti, capistazione) sorsero dopo e, a parte le motivazioni, il sindacato divenne solo un modo di tutelare gli interessi particolari.
Prima non era così. Si sposavano fra di loro, esistevano delle famiglie ferroviarie in cui il colpo della vita era sposare la figlia del capostazione. C'era la gara annuale per la stazione più fiorita e più curata, Marino Moretti ci scrisse sopra delle poesie bellissime. Quindi, per Andrea, il colpo è forte, prima era un compagnone che beveva troppo,ora perde la stima dei compagni. In casa, vorrebbe continuare ad essere autoritario, ma la figlia Giulia (Sylva Koscina, al secondo film, brava) fa di testa sua. Si è sposata con Renato (Carlo Giuffrè) perché è rimasta incinta, ma è attratta da un altro uomo. Il figlio Marcello (Renato Speziali) non riesce o non vuole trovarsi una strada e si trova a frequentare compagnie pericolose. La moglie Sara (Luisa della Noce) cerca invano di tenere insieme la famiglia che si sta sfasciando, persino il figlio Sandro a scuola ha dei problemi.
Il dramma di Andrea è aggravato dal fatto che ora non può guidare più i treni, ma solo fare manovre nelle stazioni e negli scali con locomotive piccole: era una cosa che sentivano come intollerabile, perché esisteva una aristocrazia del lavoro: il macchinista e l'aiuto-macchinista non mangiavano insieme. Cose apparentemente da ridere, in realtà meritevoli di rispetto vero. Poi, pian piamo, soprattutto per merito del figlio piccolo e di Gigi (Saro Urzì), suo compagno ed amico, la situazione migliora. Andrea ritorna in casa, ma è soprattutto emozionante il suo ritorno nel caffé del ritrovo serale. Lo guardano, i suoi colleghi che non gli rivolgevano più la parola dopo lo sciopero, lo guardano e lo capiscono. Tutto apparentemente torna come prima, ma Andrea è ormai malato, e morrà in casa sua mentre sta suonando la chitarra alla fine della serata della vigilia di Natale. In casa sua sono tornati quasi tutti, mai vista tanta gente prima. Il carattere di Andrea è possessivo, autoritario, cocciuto, è uno che abaglia cercando poi di non piegare la testa alle conseguenze degli sbagli che ha commesso.
Al film furono fatte soprattutto due critiche.
La prima, è che a volte ha del patetismo da fotoromanzo. Direi che c'è passione vera espressa come può essere la passione per un uomo che non riesce a mantenere le certezze di lavoro e di rapporti che ha avuto per anni.
La seconda, è una critica che oggi appare incredibile, ma i tempi erano così. Si disse che Andrea non appartiene alla classe operaia, perché gli operai sono ben superiori alle passioni erronee che racconta Germi. Con i termini di allora fu accusato di essere un film socialdemocratico e deamicisiano. Mentre Il ferroviere (che ho visto, lo ammetto, in colpevole ritardo di decenni), è un film potente: allora l'autostima era legata al tipo di lavoro che si svolgeva. Oggi non è più così, sembra quasi che più o meno i lavori si somiglino tutti. Non credo sia un progresso, e in quei casermoni vicino alla ferrovia ci si poteva crescere stretti ma bene.
Dopo due anni, lasciai le Ferrovie per lavorare in una multinazionale americana. Stranamente, fra tutte le differenze che certamente si intuiscono, una somiglianza l'ho trovata: non erano ambienti corrotti, un certo tipo di onestà faceva premio. Poi le cose cambiarono, e non in meglio. Però, sapendo oggi un po' di cose e guardandomi intorno, sono contento di tutto, compreso -ebbene sì- il casello ferroviario di cui mi vergognavo con i compagni di scuola (ma soprattutto con le compagne).
A destra, la moglie Sara
4 commenti:
Sul "patetismo da fotoromanzo" concordo anch'io, questa è la chiave scelta da Germi - ed è un peccato perchè il film è molto bello, questo è l'unico difetto.
Nel dirlo, penso agli spettatori giovani e giovanissimi che non credo reggerebbero a vedere questo film fino alla fine, mentre reggono benissimo altri film magari più vecchi.
Ogni volta che ne vedo un frammento in tv mi dispiace di questa cosa, penso che sia stato un errore di Germi scegliere questo stile, questa chiave di lettura; perché il film è davvero "potente" come dici tu.
Ho visto questo film all'epoca e l'ho rivisto circa un anno fa. Oggi noto anche io con un pizzico di fastidio quello che chiamate il "patetismo", però credo che dipenda anche dal fatto che negli anni si è andato modificando il gusto e la sensibilità rispetto a certe cose. Tanti anni fa vidi solo il dramma, non percepii il patetismo. E credo che questo non sia capitato solo a me. Sono proprio cambiate le nostre modalità di approccio e di percezione, penso.
I fotoromanzi non li ho mai letti, però li ho spesso intravisti viaggiando in treno. Come sempre, credo che non si possa fare di ogni erba un fascio, basta ricordare quello che c'è stato riguardo i fumetti, e molti, ancora oggi, non si rendono conto che Schulz, Herriman, Walt Kelly e Winsor McKay ( ma ce ne sono tanti altri) sono più importanti di tanti romanzieri. La scelta stile fotoromanzo è anche quella di De Santis in Riso amaro, e la discussione sul fatto che non si trattasse di neorealisno durò molto. Però vi invito ad osservare con attenzione le varie immagini di Germi che ho messo qui e nei tre post su Un maledetto imbroglio, e vedrete fra poco le immagini di un altro suo film. Germi è uno che dice quello che ha da dire essenzialmente attraverso le immagini, e in questo non è per niente invecchiato. Un altro che parlava quasi solo per immagini è Antonioni. Ho l'impressione che si tratti molto di una virtù nativa, analoga a quella di chi sa disegnare.
D'altra parte, se Leonardo diceva che il dipingere è "cosa mentale" ( e su questa cosa mentale chissà che intendeva, Annibale Carracci diceva: "noialtri depintori abbiamo a ragionare con le mani". A volte penso come sarebbe stato "Amici miei" se l'avesse fatto Germi e non Monicelli, sicuramente una cosa completamente diversa.
grazie e saludos
Solimano
Sul valore di Germi non si discute, è stato uno dei più grandi.
Però ognuno si porta dietro, col suo carattere, anche i suoi difetti: a volte Monicelli è un po grossolano, Risi un po' troppo sarcastico, Antonioni è sempre un po' perso sulle nuvole, Fellini giochicchia un po' troppo, e Germi ha quest'atmosfera cupa da fotoromanzo, o da Beautiful, se si preferisce.
Il che non toglie che tutti questi signori siano grandi, grandissimi.
(è un bel giochino, però: potremmo continuare con i pittori e gli scrittori: Gadda che non finisce mai una storia, Monet che non è mai nitido, eccetera eccetera...)
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