venerdì 7 marzo 2008

L'amore ritrovato

L'amore ritrovato, di Carlo Mazzacurati (2004) Dal romanzo breve di Carlo Cassola "Una relazione", Sceneggiatura di Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Claudio Piersanti Con Stefano Accorsi, Maya Sansa, Marco Messeri, Roberto Citran, Anne Canovas, Marie-Christine Descouard, Giacomo La Rosa, Claude Lemaire, Luisanna Pandolfi, Vania Rotondi Musica: Franco Piersanti Fotografia: Luca Bigazzi (98 minuti) Rating IMDb: 5.3
Solimano
Di Carlo Cassola ho letto poco per poco tempo, però bene. Ho letto due racconti lunghi, di uno non ricordo con certezza il titolo, quindi non mi azzardo a dirlo, visto che non sono sicuro. Però mi impressionò, quella storia quotidiana di una donna che non si trova di fronte a problemi gravi, ma la cui vita è obbligata: le tocca fare cose da cui se potesse si esimerebbe, ma non può. Lo trovai molto vero ed attento.
L'altro racconto è "Il taglio del bosco", e non occorre parlarne, è uno dei più bei racconti del Novecento italiano. Chi non l'ha letto lo legga. Perché non lessi altro, di Cassola? Per un problema di priorità: avevo scoperto i grandi russi, i francesi ma soprattutto Shakespeare. Non avevo né tempo né voglia per quello che avveniva in Italia, in cui anni dopo mi fecero tornare Gadda e Fenoglio. Fu un bene che andasse così: non persi tempo con le battaglie letterarie, non ne sapevo nulla e credo di aver perso poco.
Ho scoperto che si giunse al punto che Italo Calvino così scrisse dei romanzi di Cassola: "Romanzi sbiaditi come l'acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l'unto dei sentimenti ricucinati". Delle due l'una: o non era vero, e allora non andava scritto, oppure era vero e non andava scritto lo stesso. Se Italo Calvino scriveva così, figuriamoci gli altri, che non erano al livello di Calvino. Adesso conosco il grottesco dello scontro fra le varie egemonie, una più arrogante dell'altra, finiva che chi pagava pegno erano gli isolati, come Cassola e Berto, senza mamma né cordata.


Leggerò il mio terzo racconto di Cassola, perché il film, malgrado i difetti, fa capire che forza c'è in quella storia. Quando si fa un film d'amore, si punta generalmente su una storia esemplare, nel bene o nel male. A parte gli incassi -che contano- anche i migliori film basati sull'esemplarità fanno sognare molto e pensare poco.
C'è qualche eccezione: amori resi difficili e quasi impraticabili dalle circostanze esterne, da una quotidianità che non dà retta a nessuno e va per suo conto. O ne escono film di una noia mortale, senza sogni né pensieri -se non quello di aver pagato il biglietto- o ne escono grandi film, di forza autentica, in cui difficoltà e quotidianità diventano bandiere di un amore certo difficile, quasi eroico, perché occorre avere il fiato lungo per reggere le inesorabili assenze, le presenze aleatorie, il non voler soffrire e far soffrire. Ma perché uno dovrebbe pagare il biglietto per storie del genere? Perché ognuno di noi ce l'ha dentro, questa semplicità di sapere che cos'è l'amore, al di là di tutti i discorsi misterici, falsi e bugiardi.


Amore è quando due persone stanno veramente bene insieme, pensano a voce alta, non vorrebbero essere in un altro posto se non lì, dove sono, magari per breve tempo.
Carlo Mazzacurati ci prova a tenere la storia, a volte ci riesce, a volte no, per difficoltà sue o per compiacenza verso il senso comune, che non è il buon senso. Non è poi detto che i due che stanno bene insieme siano dei perfettini, tutt'altro.
Giovanni (Stefano Accorsi) è una specie di castoro costruttore e furbo. Si fa la piccola carriera in banca, festeggia in famiglia compleanni e anniversari (è sposato con un figlio), amico di tutti sul treno che prende spesso, senza confidarsi con nessuno; se può cerca di prendersi qualche passaggio con donne quando è in viaggio o è lontano da casa.
Maria (Maya Sansa) non ha studiato, vive in una famiglia più misera che povera, col padre incapace e marcato a vista dai debiti. E' stata libera molto presto, vorrebbe sistemarsi, ma negli anni Trenta anche in Toscana fra Cecina e Livorno una che si è comportata come lei non la sposano. Ha un passato con diversi uomini e anche qualche fotografia artistica presso uno che le foto non le butta. Però vorrebbe essere meglio di quello che è stata, e da un finestrino del treno, quando vede Giovanni camminare sulla pensilina lo saluta, perché anni prima è stata con lui, che non la riconosce (adesso è mora allora era bionda).


Però Giovanni poi si ricorda, vuole prendersi una soddisfazione e Maria è consenziente. Solo che, su queste basi talmente fragili da non essere nemmeno basi, nasce un rapporto fra i due che va e viene, più che altro perché può approfittare solo degli spazi liberi dal lavoro e dalle famiglie. Non è che crescano tenendosi per mano, il padre di Maria va a chiedere un prestito al Giovanni bancario, sicuramente ha saputo della figlia, e Giovanni reagisce prendendo Maria nel bosco come se fosse un oggetto. La scena è troppo dura, ma c'è verità in questo usare proprio il sesso fatto in quel modo per azzerare il resto. Stessa cosa quando Giovanni scopre dal fotografo le foto di Maria, o quando Maria vede, dalla vetrina del ristorante, la festa del compleanno del bimbo di Giovanni.
Però insieme stanno sempre meglio, sia facendo l'amore che non facendolo, sapendo tutti e due che non c'è speranza di futuro. L'amore non spera ma fa, la mancanza di speranza si patisce solo quando la persona è assente. Mazzacurati fa una scelta molto giusta di geografia e di storia, tutti dovrebbero tenere conto di queste materie secondarie a scuola ma non nei film. La geografia può essere il piano di sotto e la storia quello che è successo ieri, ma chissà perché questa regola di igiene comunicativa è trascurata spesso. Rispettandola, c'è più verità e meno artificio.
La storia fra Giovanni e Maria finisce da sola: la guerra, il matrimonio di Maria per reggere alle difficoltà. Quando si ritrovano, nove anni dopo, non è la malinconia del come eravamo -non poteva andare diversamente- è il sapere entrambi come, malgrado tutto, siano stati felici insieme, per quel poco che hanno potuto. C'è del bozzettismo, nella Toscana di Mazzacurati, ma c'è anche la verità delle colline, del treno, della città, del mare, delle pinete a disposizione di chi si ama. Una impresa troppo difficile per riuscire del tutto, forse il regista non ci credeva completamente e gli interpreti sono bravi, ma non memorabili. Di storie così c'è bisogno, non sono retrò, è quello che succede ogni giorno a tante persone, solo che non vogliono accorgersene, di quello che gli sta lì, davanti al naso.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

A me Mazzacurati piace, anche se i suoi film non sono capolavori.
Tuttavia ho un buon ricordo di "Vesna va veloce" e "il toro".

Solimano ha detto...

Sì, Nadia, i film di Mazzacurati hanno qualche difetto, piccolo ma evidente, però sceglie degli argomenti non consueti che infine ti coinvolgono: anch'io ho visto "Vesna va veloce" ed "Il toro" e la penso come te.

grazie e saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Mazzacurati e Soldini sono i miei preferiti, tra gli autori italiani della mia età. Purtroppo il cinema non è più quello di una volta, il confronto nelle sale come ai tempi di Visconti e De Sica li avrebbe aiutati molto.
Una considerazione triste: l'ultimo film di Soldini, "Agata e la tempesta" è passato in tv - in prima visione tv - direttamente alle due di notte. (niente scene di sesso,niente scene di violenza, un film delicato e simpatico).
Direi che questa è la saracinesca definitiva sul cinema di qualità.

Un saluto a Nadia, che ha davvero un bel nome.