Gabrilu sul suo blog NonSolo Proust
Marie-Agnes de Bayonnette (Thamara Tarassachivili) e sua cugina Solange (Narda Blanchet) sono due anziane signorine che vivono molto dignitosamente ed in buona armonia in un bellissimo ma fatiscente castello nel Sud della Francia.
Attorno a loro ruota tutta la gente del paesino osservata con occhio divertito: il curato facile all'alcool, l'anziana cameriera, il vicino tirchio, un marajah indiano straricco giunto in paese con una lussuosa carrozza ferroviaria, gli anziani che giocano a bocce.In questo paesino di Caccia alle farfalle, cuore profondo del vecchio mondo, si incontrano il passato ed il futuro, si mescolano i colori della pelle: ci sono i bianchi che si vestono d'arancione e cantano "hare Krishna", c'è una giovane donna nera che parla dei suoi bis-bisnonni acquisiti che, nei panni di gentiluomini francesi, occhieggiano dai quadri appesi alle pareti del castello. Le culture si mescolano, la nuova miseria della vecchia aristocrazia d'Europa, la povertà della nuova Russia, la tragicomica efficienza aziendal-familistica del Giappone.
Questo Caccia alle farfalle è uno di quei tanti bei film che purtroppo oggi non è facile poter reperire ed in quanto alle programmazioni televisive, meglio stendere un velo pietoso.
Si tratta di un'opera insolita ed originale fin dal titolo, un intelligente omaggio al passato ed alla tradizione che, in modo inesorabile ed irreversibile, se ne stanno andando.
In Caccia alle farfalle c'è uno straordinario amore per i particolari, per gli oggetti, per certe inquadrature che sono vere e proprie nature morte. C'è una campagna francese avvolta per tutta la durata del film dai bellissimi ma malinconici colori dell'autunno.
"Questo film esprime il sentimento di una perdita irreparabile, cercando di rappresentare senza drammi e con ironia questo momento di rottura", ha detto Iosseliani. Senza drammi e con ironia: ecco, con ogni probabilità, la chiave della pellicola.
Non ricordo dove ho letto che Caccia alle farfalle è stato accostato, per la vicenda della vecchia casa che la vita e la storia disfano e per l'atmosfera che lo pervade, al Giardino dei ciliegi di Cechov ed io sono molto d'accordo.
A me ha evocato anche certe atmosfere presenti nei romanzi di uno scrittore che apprezzo molto. E' anche lui, come Iosseliani, un russo fuggito dall'ex URSS che in Francia ha trovato libertà di espressione e una nuova patria. Il suo nome è Andrei Makine.
4 commenti:
Un film stralunato, quasi un Kusturica quieto. L’avevo visto quando era uscito, un bel film ma non ne avevo ricavato molto. All’epoca quella dei giapponesi che comperavano tutto era un’ossessione, oggi del Giappone non si parla quasi più, ci sono i cinesi a far spavento...
Sono contento di aver ripensato a questo film, da solo non ci sarei mai arrivato.
Nel 1992 i giapponesi un po' li temevamo un po' li sfottevamo. Perché certi loro aspetti si prestavano ad essere sfottuti, anche nelle multinazionali. Avevano dei loro lati ci ingenuità, un po' da tedeschi di serie B. Adesso, i cinesi, non li sfottiamo per niente, perché è tutta un'altra faccenda. Sarò cocciuto, ma per me il Giappone è una signifivativa provincia di una grande cultura più che bimillenaria, quella cinese, che si occidentalizza nell'apparenza, ma che nella sostanza rimane centrica. Però rimango impressionato quando vado a vedere le visite dall'estero al blog: Giappone, Corea, Taiwan, ma dalla Cina neppure un chiodo. E mi ha impressionato la faccenda di Yahoo, con la delazione che hanno fatto per cui quel giornalista adesso è in galera: fino a quando rousciranno a conciliare la modernizzazione con l'autoritarismo?
Gabrilu, la somiglianza con il Giardino dei ciliegi ci sta tutta, anche perché con Cechov si ride, anche. Solo che da noi, per decenni, di questo aspetto non se ne accorgevano, mentre i russi l'hanno sempre saputo. I nostri registi arrivavano a Mosca e rimanevano trasecolati a vedere la gente ridere con Zio Vania o Le tre sorelle. Uno che è profondamente cecoviano è Mikhalkov, sarebbe ora che qualcuno mettesse un suo film!
grazie e saludos
Solimano
Giuliano hai usato un aggettivo perfetto: "stralunato". Ma nello stesso tempo molto lucido e attento. Io fino a metà del film, pur godendomelo assai, non riuscivo a capire dove si sarebbe andati a parare, poi ho capito che ero io che non capivo e non lui che non me lo voleva far capire.
Solimano Michalkov, dici? Eggià, Michalkov...
I miei ossequi a tutta la compagnia
Olà, finalmente un altro Iosseliani! Cominciavo a credere di essere l'unica creatura vivente che avesse mai visto un film di questo regista sottile e affascinante ma vedo che sono in buona compagnia.
Grazie, Gabrilu.
H.
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