mercoledì 26 marzo 2008

In questo mondo libero

It's a Free World... di Ken Loach (2007) Sceneggiatura di Paul Laverty Con Kierston Wareing, Juliet Ellis, Leslaw Zureck, Joe Siffleet, Colin Caughlin, Maggie Russell, Raymond Mearns, Davoud Rastagou, Mahinn Aminia, Frank Gilhooley Musica: George Fenton Fotografia: Nigel Willoughby (96 minuti) Rating IMDb: 7.1

Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce

"Voglio raccontare il modo in cui questi personaggi si comportano, che è poi il modo in cui la società vuole che ci comportiamo”. E’ così che parla Ken Loach in un’intervista e aggiunge:
Il cinema sarà sempre importante. Non è un movimento politico ma pone domande e questioni, è più complesso della propaganda perchè deve offrire qualcosa di più, costruire una sua storia attraverso un lavoro collettivo per evitare la bidimensionalità".
E riferendosi al suo ultimo film “In questo mondo libero" ci dice:
"Abbiamo pensato che questa volta sarebbe stato interessante rivolgere lo sguardo ai comportamenti e alla mentalità degli sfruttatori invece che a quella degli sfruttati, come spesso avviene nei film".

Il film racconta la storia di Angie, giovane impiegata in un ufficio di collocamento per extracomunitari. Angie è una ambiziosa giovane donna piena di vitalità. La sua è una vita intessuta di difficoltà a cui però reagisce per dimostrare ciò che vale e riscattare il suo passato di perdente. Insieme alla sua amica, Rose, decide di aprire un'agenzia per la selezione del personale. Ben presto, però, dovrà fare i conti con una realtà molto dura, popolata da boss di strada, disoneste agenzie per l'impiego e immigrati alla disperata ricerca di lavoro.

Una società in cui anche una donna, che ha conosciuto sulla propria pelle lo sfruttamento e l’ingiustizia, una persona capace, intelligente e amabile, che ama divertirsi come tutte le donne della sua età, può ritrovarsi alla fine costretta a prendere determinate decisioni che pian piano la cambieranno profondamente.
Il regista vuole, cioè, mostrare fin dove il bisogno e l’ambizione possano cancellare l’umanità. All’inizio Angie è ancora capace di commuoversi e di aiutare chi vede nel bisogno più estremo, poi scivola sempre più in basso e impara la legge del più forte e che per essere tale deve non guardare più in faccia nesuno e non conoscere pietà.

Sente che è una legge quasi necessaria a cui, se vuole vincere, non può sottrarsi. Alla fine chi ha l'occasione la sfrutta, senza porsi scrupoli, perché siamo in un mondo libero, e agiamo a nostro vantaggio. La sua amica Rosie non riuscirà a fare questa scelta e la lascerà sola, non l’approverà il padre che appartiene ad un mondo in cui tra lavoratori esisteva ancora la solidarietà.

Non la si ama e non la si odia l'Angie di Loach, forse perché è troppo simile a noi: dopo essere passata negli ultimi dieci anni da un lavoro all'altro è comprensibile la sua paura di arrivare alla vecchiaia senza un soldo, e la sua determinazione a non fare questa fine. Agisce per il suo bene e per quello dei suoi cari, sembra quasi non poter fare diversamente. “Mors tua vitae mea” è il suo motto senza nessun pentimento e diventa una truffatrice ai danni dei lavoratori, che comincia a reclutare ogni giorno «in nero», speculando sulla loro disperazione e seguendo cinicamente le regole del profitto. Alla fine anche il suo più caro amico, un immigrato polacco la abbandona per tornare a casa e le dice: "Ricordati non siamo schiavi"

Non è verso verso di lei che punta il dito il regista ma verso la società e le sue logiche: il lavoro saltuario, a termine e flessibile nel mondo della "deregulation" e della globalizzazione. Il sistema delle agenzie di reclutamento, l'uso degli appalti, fornitori esterni, lunghe catene di contratti a termine nasconde e facilita una nuova forma invisibile di schiavismo in cui sono puniti per legge i lavoratori, costretti a chinare la testa a bocca chiusa, non chi li sfrutta.

Dura e spietatamente realista, la pellicola di Ken Loach fa riflettere sul marcio di un sistema che porta solo dolori e sofferenze per troppe persone, che riduce a pure merci da vendere: .“Quanti operai vuoi? 45 ucraini...” Uno sguardo lucido e mai consolatorio sul deserto dei valori che l’applicazione di un liberismo senza regole ha creato in questi anni. Il mondo libero del titolo rimanda ad una realtà in cui è lecito varcare ogni limite dell’etica e della moralità in nome del profitto.

Secondo Loach la vita vera è molto peggio di quella che appare nel filmE’ impossibile raccontare la realtà attraverso le immagini. Quello che succede nella realtà è così estremo da non poter essere utilizzato in un film, è troppo eccessivo”.
"Abbiamo fatto una ricerca prima di scrivere il film e abbiamo sentito storie incredibili"

Loach racconta come il cambiamento della società sia visibile ad occhio nudo: basta attraversare una qualsiasi autostrada inglese, dove la campagna assomiglia sempre più ad un unico grande magazzino, con un susseguirsi di fabbricati e capannoni in cui la gente lavora a ritmi disumani.

Ecco che la gente che lavora nel capannoni, nel depositi e nei supermercati, per lo più con lavoro a termine, è ormai il cuore di questa enorme trasformazione che si sta verificando nel mondo dell'occupazione. “L’ipocrisia sta nel fatto che sentiamo i politici parlare continuamente di difendere la famiglia, ma come lo si può fare se non si da neanche la possibilità di crearne una o di mantenerla?
Ma nonostante tutto il regista non si dichiara pessimista: “Se continuo a fare film come questo, significa che non sono disperato, credo ancora che qualcosa si possa fare. E non solo nel mio paese".

Molti sono convinti che questa situazione sia ineluttabile e che non esista un'alternativa. Non è vero: c'è sempre un'altra maniera possibile per fare le cose. E' fondamentale che non permettiamo a questa gente di convincerci che questa politica è ispirata da una forza della natura. (...) Quando hai una diseguaglianza tanto plateale, non puoi fare altro che sfidarla. Non possiamo accettare questo sistema di cose e dobbiamo fare qualcosa.

Quello che accade nel mondo non è mai inciso nella pietra. Può essere modificato. Cambiare sta a noi e alle nostre scelte di esseri umani. (...)Dobbiamo ribellarci ad un mondo dove le condizioni di alcune persone come noi sono peggiori di quelle dell'Inghilterra di Dickens di fine Ottocento. Mi vergogno a pensare che la situazione del Bangladesh di oggi sia peggiore di quella della Manchester del 1880. Essere ottimisti è un dovere, perché dobbiamo rifiutare un mondo dove succedono cose del genere".

Per cercare l’attrice adatta ad impersonare Angie ci sono voluti 4 mesi di audizioni, in cui molte attrici sono state viste e riviste, hanno improvvisato e sono state riprese per verificarne la fotogenia. Trovare l’attrice giusta era essenziale per il film. E’ stata l’occasione per Kierston Wareing, 31 anni, :
Prima di questo film avevo deciso di cambiare strada, e quindi stavo studiando per diventare segretaria di uno studio legale, anche se la recitazione è sempre stata la mia grande passione. Ma dopo dieci anni di sogni infranti, sentivo che non potevo più andare avanti così.. Anche stavolta temevo di restare delusa, invece il mio agente mi ha chiamato e mi ha detto, con voce falsamente contrita: “Mi dispiace dirtelo… ma hai ottenuto la parte!”. Non ho avuto alcuna reazione. Ero solo scioccata, e continuavo a chiedergli: “Sei sicuro?

Seguendo il suo metodo di lavoro abituale, Loach non ha rivelato alla sua protagonista i momenti cruciali della trama, a volte fino al momento in cui venivano girati.
Tutta questa segretezza è una cosa fantastica. Stavo sempre insieme a una delle costumiste, che sapeva tutto ma non diceva mai nulla.
Si impara di più con Ken Loach in sei settimane che in tre anni di scuola di recitazione. Al momento sto facendo moltissimi provini e ho appena finito di girare un altro film
”.

Kierston Wareing e Juliet Ellis (Rose) hanno trascorso molto tempo in un’ agenzia di intermediazione professionale, per conoscere le modalità della gestione del lavoro all’interno di questi uffici. Parte del tempo era dedicato anche alla socializzazione fra gli attori al di fuori del set.

Il film ha ottenuto l'Osella d'oro per la migliore sceneggiatura di Paul Laverty.

6 commenti:

Solimano ha detto...

Giulia, come vedi, ho privilegiato le immagini in cui c'è la protagonista. Mi interessa molto come personaggio, perché in azienda ho vissuto con interesse il periodo in cui le donne, oltre ai consueti lavori amministrativi o segretariali, assunsero responsabilità superiori: tecniche, commerciali e manageriali. C'era un programma di "Equal Opportunity" a livello mondiale, ed era una cosa seria, su cui le direzioni erano misurate per obiettivi. Di problemi ce ne furono tanti, il più spinoso fu il rapporto con i clienti. Perché al di sotto della linea gotica, ai massimi livelli non volevano proprio trattare con donne, e al di sopra della linea gotica non dicevano niente ma si capiva che non gradivano. Il peggio erano le pubbliche amministrazioni centrali di Roma. Allora, che facevano le donne che vedevano di fronte a sé l'opportunità e trovavano questi impedimenti? Per reazione diventavano più dure ed opportuniste dei maschi, infatti le si chiamava "le maschie".
Come in fondo fa la protagonista del film di Loach, che come al solito giustamente persiste su temi di fronte a cui la tentazione sarebbe di voltare la testa dall'altra parte, perché esistono, ma non si sa che farci.
Solo che a sinistra bisogna dirla tutta. Faccio fatica ad esempio ad essere solidale con i dipendenti Alitalia (o SEA, tutto l'indotto). Per decenni hanno mantenuto privilegi incredibili, trovando sempre una copertura o aziendale o politica. Hanno sempre dato per scontato che l'Alitalia non potesse fallire e oggi ne paghiamo le conseguenze.
Inoltre, sui lavori precari, occorre sapere (e dire) che spesso i precari nelle pubbliche amministrazioni locali fanno i lavori non solo più disagiati, ma che richiedono più impegno mentale. Esattamente come succedeva con gli obiettori. in compenso, sono a bottega prima delle otto di mattina, mentre i dipendenti regolari alle nove si prendono un caffé condito di chiacchiere, sulla base di una pianta organica sacra ed inviolabile fatta quarant'anni fa.
Quando si parla di sfruttatori bidogna dirla tutta, esistono anche quelli con la tessera sindacale in tasca, e il professor Ichino, candidato del Partito Democratico, deve girare con la scorta, per gli articoli che scrive.
Mi preoccupo, quando in sondaggi affidabili si vede che molti operai votano a destra, ma mi preoccupo anche che parole giuste come solidarietà siano spese solo per chi è difeso o da una tessera o da un contratto di ferro. I precari pagano per questo, e spesso non hanno neppure il diritto di voto.

grazie Giulia e saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Loach fa dei film bellissimi, storie d'amore, storie di vita vissuta. Ha anche un bel lato umoristico.
Insomma, non è solo impegno civile e sindacalismo: ogni tanto bisogna dirlo. E' un grandissimo narratore, caldo e avvincente.
Grazie per aver portato qui un suo film, siamo talmente presi che qualcosa ci sfugge sempre. (anche Edgar Reitz, per esempio)

Anonimo ha detto...

Solimano, anch'io ho constatato anche solo nella scuola, in cui non girano soldi nè si aprla di carriere, che, quando le donne hanno degli incarichi, perdono spesso il lato femminile che potrebbe far vedere con un'altra ottica i problemi. Diventano davvero più dure degli uomini.
E' chiaro che poi la sicurezza del lavoro è fondamentale nella vita dell'uomo, ma non deve voler dire menefreghismo e quant'altro. E in Italia il problema è davvero difficile da affrontare.
E' vero si difendono solo più i diritti di qualche categoria, dimenticando tantissimi altri settori. Insomma c'è molto da fare.
Loach, però, guarda dentro la vita della gente e anche se il suo giudizio è chiaro, non è ideologico. Come dice Giuliano è un gran narratore. A me piace ascoltare nella vita storie, perchè hai una visione dei problemi non settaria, ma con tutte le sfumature che mai bisogna dimenticare.
Non bisogna voltare la testa dai problemi, bisogna guardarli in faccia, come si presentano anche se a volte non sono facili le soluzioni. Non guardarli però vuol dire negarli e questo lo trovo pericoloso.
Saluti anche a voi e grazie per questa preziosa collaborazione, Giulia

Giuliano ha detto...

Quando si dice delle donne che dovrebbero migliorare il mondo, lì per lì verrebbe da dire che è vero: ma forse abbiamo in mente gli esempi sbagliati: mamme, sorelle, mogli, amiche...
La realtà è un'altra, e ha la faccia di Margaret Thatcher, di Condoleeza Rice, della signora Brambilla in Berlusconi, eccetera.
Le donne che noi tutti avremmo in mente, ahinoi, non fanno politica e non fanno carriera nelle aziende.

Tornando a Loach, è uno dei registi che amano i loro personaggi, e anche gli attori che li impersonano: come Renoir, come Huston, come pochi altri (Bergman li ama e li odia, ed è gelosissimo; Fellini li usa e li getta, sono poco più che figurine).

Anonimo ha detto...

Condivido Giuliano quello che dici di Loach di cui ho visto quasi tutti... Giulia

ottavio ha detto...

Tutto cominciò nel 1989. Come al solito ogni evento è portatore di opportunità e problemi. Quello dei precari e dei nuovi schiavi fa parte di questi ultimi. Si poteva prevedere/prevenire? Forse ci volevano degli statisti, in Europa, più consapevoli e lungimiranti. Ecco che succede a lasciar fare esclusivamente al "mercato". Piuttosto, nel film di Loach si vede una volta di più quanto è facile per un essere umano passare dallo stato di vittima a quella di aguzzino.
La funzione insostituibile del cinema: sbattere in faccia la realtà!