Villa Amalia di Benoît Jacquot (2009) Dal romanzo di Pascal Quignard Sceneggiatura di Julien Boivent, Benoît Jacquot Con Isabelle Huppert, Jean-Hugues Anglade, Xavier Beauvois, Maya Sansa, Clara Bindi, Viviana Aliberti, Michelle Marquais, Peter Arens, Ignazio Oliva, Jean-Pierre Gos, Jean-Michel Portal Musica: Bruno Coulais (94 minuti) Rating IMDb: 6.9
Sabrina Manca
Il film si apre con un pedinamento: siamo a Choisy-Le-Roy nella banlieue parigina e Ann segue discretamente l’auto dell’uomo che è suo compagno da oramai quindici anni. L’uomo parcheggia davanti a una villetta e suona alla porta: una giovane donna lo accoglie con un sorriso e un bacio ardente, attirandolo all’interno. Ann resta a guardare, stupita, muta, poi si volta per andar via ma una mano la afferra saldamente, è quella di Georges – Eliane, non ti ricordi di me?
La donna pare non riconoscerlo, poi davanti all’insistenza dello sconosciuto precisa – Ann, ora mi chiamo Ann.
Georges la vuole rivedere, Ann non sa ancora.
La donna sale in macchina e va verso casa, fermandosi per qualche minuto ad un parcheggio dove, dopo aver chiuso i finestrini lancia un urlo selvaggio.
Con il passare dei giorni nella donna si fa sempre più insistente il pensiero dell’abbandono di tutto ciò che è il suo passato, a cominciare dal compagno, Thomas, che le appare ora come un perfetto sconosciuto, per terminare con la professione di pianista, che ha monopolizzato il suo tempo e la maggior parte delle sue energie.
Ann chiede a Georges di aiutarla a sparire. Comincia quindi con sistematica precisione a liberarsi di tutti gli impedimenti: lascia Thomas, vende tutte le sue cose, l’appartamento, i tre pianoforti e cerca il luogo adatto a meta della sua nuova vita. Nella casa di campagna di Georges scorge una vecchia dépendance e per un attimo pensa di fermarsi lì ma la presenza dell’amico d'infanzia basta a ricordarle una buona parte di ciò che vuole lasciarsi dietro. Va poi a trovare sua madre in Bretagna, come per darle un ultimo saluto. Infine consegna all’amico una grossa somma di denaro perché la trasferisca su un conto a suo nome al quale la donna abbia accesso.
Ann comincia il suo periplo e con esso continua a liberarsi di altri fardelli. Dei suoi vestiti che mette in un sacco, della sua monogamia che consegna allo sconosciuto di una notte, dei suoi capelli che taglia in un carré. Attraverso il Belgio e la Germania giunge infine in Italia e giù per la penisola raggiunge Napoli e infine Ischia.
Il panorama grigio e opprimente della città in cui ha vissuto per anni si è trasformato: tutto trasuda mare in quest’isola. La donna individua una casa abbarbicata su per un costone e si arrampica per raggiungerla. Sente finalmente che quello è il luogo dove può fermarsi.
Convince i proprietari a vendergliela e vi si installa. La casa si chiama Villa Amalia dal nome della donna per la quale fu costruita.
L’interno è nudo ma all’esterno il mare riempie lo sguardo e gli altri sensi.
Ann comincia la sua nuova vita i cui giorni sono trascorsi, uno dopo l'altro in passeggiate, lunghe nuotate e ancora escursioni, sempre intorno ai confini che l'acqua disegna sulla roccia, e le serate passate sulla terrazza ad osservare l’orizzonte e scrivere la sua musica.
Dopo qualche tempo, la morte della madre la richiamerà in Francia. Sarà l’occasione per rivedere suo padre, sparito dalla vita delle due donne quando lei era ancora una bambina, e per avere un confronto con lui. Solo, tutte le emozioni sono ormai sbiadite in Ann, tutte salvo il desiderio di ritornare alla sua Villa Amalia.
Georges, condannato da un tumore al cervello la prega di passare con lui il tempo che gli resta ma Ann ha fretta di sparire di nuovo. Ritrovare l’unico luogo al quale sente di appartenere.
Vedere questo film mi ha dato una gran voglia di leggere il romanzo omonimo di Pascale Quignard perché ho la sensazione che Benoît Jacquot avesse un’enorme possibilità che si è lasciato sfuggire.
Ciò che più colpisce in “Villa Amalia” e la quasi totale assenza d’animo.
Solo il personaggio di Georges (Jean-Hugues Anglade) pare animato da emozioni, per il resto c’è solo un deserto sentimentale inquietante.
Isabelle Huppert (che, come al solito, recita magnificamente se stessa) è una Ann gelida e impenetrabile. Fra i suoi gesti nervosi e i suoi silenzi immusoniti, non riusciamo a intuire un solo guizzo, che sia di paura, di sofferenza o di piacere, nemmeno quando il confronto con il padre la conduce a rivelare la fonte della sua amarezza, del senso di smarrimento, della freddezza, le sue lacrime ci appaiono convincenti.
Il regista ha asserito di aver volutamente e puntigliosamente lavorato sul non detto, sulla sottrazione.
Io gli credo, solo mi pare che in questo film, a forza di sottrarre, non sia rimasto quasi nulla.
Sabrina Manca
Il film si apre con un pedinamento: siamo a Choisy-Le-Roy nella banlieue parigina e Ann segue discretamente l’auto dell’uomo che è suo compagno da oramai quindici anni. L’uomo parcheggia davanti a una villetta e suona alla porta: una giovane donna lo accoglie con un sorriso e un bacio ardente, attirandolo all’interno. Ann resta a guardare, stupita, muta, poi si volta per andar via ma una mano la afferra saldamente, è quella di Georges – Eliane, non ti ricordi di me?
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Georges la vuole rivedere, Ann non sa ancora.
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Ann chiede a Georges di aiutarla a sparire. Comincia quindi con sistematica precisione a liberarsi di tutti gli impedimenti: lascia Thomas, vende tutte le sue cose, l’appartamento, i tre pianoforti e cerca il luogo adatto a meta della sua nuova vita. Nella casa di campagna di Georges scorge una vecchia dépendance e per un attimo pensa di fermarsi lì ma la presenza dell’amico d'infanzia basta a ricordarle una buona parte di ciò che vuole lasciarsi dietro. Va poi a trovare sua madre in Bretagna, come per darle un ultimo saluto. Infine consegna all’amico una grossa somma di denaro perché la trasferisca su un conto a suo nome al quale la donna abbia accesso.
Ann comincia il suo periplo e con esso continua a liberarsi di altri fardelli. Dei suoi vestiti che mette in un sacco, della sua monogamia che consegna allo sconosciuto di una notte, dei suoi capelli che taglia in un carré. Attraverso il Belgio e la Germania giunge infine in Italia e giù per la penisola raggiunge Napoli e infine Ischia.
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L’interno è nudo ma all’esterno il mare riempie lo sguardo e gli altri sensi.
Ann comincia la sua nuova vita i cui giorni sono trascorsi, uno dopo l'altro in passeggiate, lunghe nuotate e ancora escursioni, sempre intorno ai confini che l'acqua disegna sulla roccia, e le serate passate sulla terrazza ad osservare l’orizzonte e scrivere la sua musica.
Dopo qualche tempo, la morte della madre la richiamerà in Francia. Sarà l’occasione per rivedere suo padre, sparito dalla vita delle due donne quando lei era ancora una bambina, e per avere un confronto con lui. Solo, tutte le emozioni sono ormai sbiadite in Ann, tutte salvo il desiderio di ritornare alla sua Villa Amalia.
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Vedere questo film mi ha dato una gran voglia di leggere il romanzo omonimo di Pascale Quignard perché ho la sensazione che Benoît Jacquot avesse un’enorme possibilità che si è lasciato sfuggire.
Ciò che più colpisce in “Villa Amalia” e la quasi totale assenza d’animo.
Solo il personaggio di Georges (Jean-Hugues Anglade) pare animato da emozioni, per il resto c’è solo un deserto sentimentale inquietante.
Isabelle Huppert (che, come al solito, recita magnificamente se stessa) è una Ann gelida e impenetrabile. Fra i suoi gesti nervosi e i suoi silenzi immusoniti, non riusciamo a intuire un solo guizzo, che sia di paura, di sofferenza o di piacere, nemmeno quando il confronto con il padre la conduce a rivelare la fonte della sua amarezza, del senso di smarrimento, della freddezza, le sue lacrime ci appaiono convincenti.
Il regista ha asserito di aver volutamente e puntigliosamente lavorato sul non detto, sulla sottrazione.
Io gli credo, solo mi pare che in questo film, a forza di sottrarre, non sia rimasto quasi nulla.
16 commenti:
Benvenuta Sabrina, è il tuo primo film come guest, ma altri tre sono già stati pobblicati qui con soddisfazione: Gomorra, Mamma Roma e I quattrocento colpi.
Però sono un po' amareggiato, per la mia amata Signora Isabelle Huppert, che ha pianto tutta notte sulla mia spalla perché tu hai detto che recita sempre se stessa, o giù di lì.
E' un bell'essere, essere Isabelle Huppert, da La dentellière a Coup de torchon, da Heaven's Gate a La Cérémonie, da Merci pour le chocolat a La pianiste.
Ma può anche darsi che tu oggi abbia ragione, la Signora di film ne fa tanti, forse troppi...
Il film non l'ho visto, ma vorrei vederlo, per tre motivi: per Isabelle, per la location di Ischia, che la metterei qui di corsa (Capri praticamente c'è già) e... vabbè... non so come dirlo... per Maya Sansa!
grazie Sabrina e saludos
Solimano
Non so nulla di questo film, mi hai incuriosita. Mi intriga l'andare per sottrazione. L'Huppert per me è un mostro sacro. Coi suoi algidi silenzi a mio avviso, racconta più lei di molte attrici che esprimono pure troppo. Però concordo, è legata spesso allo stesso tipo di personaggio.
Le immagini mi hanno riportata per un momento al film "Il postino" di Troisi. Un film che amo particolarmente.
Ciao Sabrina. Non ho visto il film. Dici che c'è "un deserto sentimentale inquietante" e questo inquieta anche me... Però la storia, quei paesaggi, quella casa e quel mare mi fanno venire volgia di vederlo.
Grazie
Giulia
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