Con Raf Vallone (Saro Cammarata), Elena Varzi (Barbara Spadaro), Saro Urzì (Ciccio Ingaggiatore), Saro Arcidiacono (il ragioniere), Liliana Lattanzi (Rosa), Franco Navarra (Vanni), Mirella Ciotti (Lorenza), Paolo Reale (Brasi), Giuseppe Priolo (Luca) Fotografia Leonida Barboni e Salvatore d'Urso, Musiche di Carlo Rustichelli dirette da Armando Previtali, Scenografia Luigi Ricci
Produzione: Luigi Rovere per Lux Film; distribuzione: Lux; Italia, 1950, 107' Rating IMDb: 7.8
Gabrilu sul suo blog NonSoloProust
Si tratta di un film di più di cinquant'anni fa ma che, rivisto oggi, ci ricorda che anche gli italiani sono stati emigranti, e che quello che compiono oggi i disgraziati che arrivano in Italia con mezzi di fortuna (e di sfortuna), affidandosi a scafisti o mediatori cui consegnano tutti i loro averi è un altro "cammino della speranza" che troppo spesso si trasforma in un cammino di di-sperazione.
Il film racconta delle disgrazie e della povertà di un gruppo di minatori siciliani di una zolfara di Favara (provincia di Caltanissetta), del loro tragico esodo verso la Francia e rispecchia drammaticamente la realtà di molte famiglie dell'entroterra siciliano nell'immediato dopoguerra.
Questo film non è certo un capolavoro -- va detto subito -- ed ha molti difetti che risultano difficilmente perdonabili considerando che a firmare sceneggiatura e soggetto ci sono lo stesso Germi e nomi come Federico Fellini e Tullio Pinelli. Ma possiede anche una grande potenza espressiva e -- specialmente all'inizio -- alcune sequenze memorabili.
E poi. Questo film, che da quel che so, nelle intenzioni di Germi avrebbe dovuto intitolarsi Terroni serve per ricordare a tutti noi --- e in questo momento penso soprattutto ai siciliani --- che c'è sempre qualcuno più "a sud" di altri, o che deve soffrire per ottenere un posto dignitoso a questo mondo. E che fino a non molti anni fa, gli italiani (e i siciliani) erano tra questi.
Sarebbe bene non dimenticarcelo mai.
durante l'occupazione della zolfara
La chiusura di una zolfara lascia senza lavoro tutti i minatori del piccolo paese. Il film inizia con le potentissime scene della lotta dei minatori che, disperati, occupano la miniera. Tra di loro c'è anche Saro Cammarata (Raf Vallone).
Ma tutto questo non serve a nulla. I minatori devono arrendersi. La miniera chiude gettando sul lastrico intere famiglie.
Ma ecco che in paese arriva un tale, un certo Ciccio Ingaggiatore (Saro Urzì) che li esorta a partire, ad andare in Francia, dove il lavoro c'è per tutti --- uomini, donne e bambini ---, è ben pagato e dove volendo potranno anche diventare benestanti. La sua descrizione delle meraviglie che troveranno in Francia è come il Paese di Bengodi.
La disperazione in paese è tale da indurre molti ad ascoltare la proposta di Ingaggiatore che promette – ovviamente dietro adeguato compenso – di farli emigrare clandestinamente. Certo, la paura è grande, sanno che dovranno nascondersi come delinquenti perchè saranno emigranti clandestini; c'è poi la paura dell'ignoto perchè nessuno prima di allora si è spinto fuori dal loro paese Favara. Per tutti l'Italia oltre lo stretto di Messina è il misterioso "continente" e la Calabria è già "l'estero".
Ma sentono di non avere alternative. E così, per poter racimolare i soldi richiesti da Ingaggiatore vendono tutte le loro povere cose, i mobili, i corredi di nozze, tutto. Si privano dei pochi, sacrificati risparmi e li consegnano a Ciccio, pronti a partire verso il nord con le famiglie.
"Tutto sarà meglio di quello che abbiamo adesso" dice Saro, dando voce al pensiero di tutti.
Prima in corriera e poi in treno comincia così il lungo e fortunoso viaggio del gruppo attraverso l'Italia.
Tra gli emigranti ci sono Saro che, vedovo, parte con i suoi tre bambini che non sa a chi lasciare e Barbara (Elena Varzi) , legata al pregiudicato Vanni, il quale all'ultimo momento si unisce al gruppo. C'è anche un vecchio ragioniere (Saro Arcidiacono) con il suo cagnolino ("sono solo, che cosa ci faccio qui se tutti voi partite?"). Lavorava negli uffici della miniera. La sua chiusura ha rovinato anche lui.
Ci sono Rosa (Liliana Lattanzi) e Luca (Giuseppe Priolo), giovani fidanzati che si sposano la sera prima di partire e trascorrono in treno la loro prima notte di nozze ("Me la immaginavo diversa, la nostra prima notte" dice amaramente Luca alla sua giovane moglie). Ci sono vecchi, donne anziane e bambini.
Durante una lunga sosta alla Stazione Termini di Roma Ingaggiatore si rivela per quello che è: un imbroglione che cerca di fuggire lasciando i poveri disoccupati in balia di se stessi, ma viene fermato da Vanni (Franco Navarro), il violento del gruppo. Ingaggiatore però riesce egualmente a sparire e gli emigranti, scoperti dalla polizia, vengono rispediti al loro paese in Sicilia con un foglio di via obbligatorio. La loro disperazione però è tale -- hanno venduto tutto, non hanno più nulla e nulla ormai hanno da perdere che --- Saro il primo --- decidono di sfidare la legge e di continuare con ogni mezzo di fortuna il viaggio verso la Francia.
In Emilia vengono ingaggiati per il raccolto in una masseria. Il fattore è gentile con loro, la paga promessa è buona. Per la prima volta da quando sono partiti dalla Sicilia si sentono bene accolti, possono lavorare, far qualche soldo per poter continuare il viaggio per la Francia.
Non sanno però che è in corso uno sciopero generale, che il fattore ha assunto loro al posto degli scioperanti e quando i braccianti del luogo vengono a saperlo li aggrediscono urlando "crumiri!" e quando Saro cerca di spiegare che loro non sapevano nulla, che sono "forestieri", zolfatari che vengono dalla Sicilia la gente li apostrofa con ancora maggiore veemenza
"Zolfatari, capite? In Sicilia, li vanno a prendere! Tornate al vostro paese! Tornatevene da dove siete venuti, andate in Sicilia!"
La situazione precipita, c'è un vero e proprio scontro che nemmeno la polizia riesce a sedare. Michelina, la figlia di Saro viene ferita alla testa da un sasso.
Insomma, uno degli innumerevoli esempi di guerra tra poveri.
Costretti a partire dal precipitare degli eventi, si allontanano lasciando Saro con la figlia inferma e con Barbara. Dopo una serie di traversie, il gruppo riesce a ricomporsi alla frontiera, dove però giunge anche Vanni che, geloso del legame nato tra Barbara e Saro, affronta il rivale in un duello rusticano sulla neve.
Scampati ad una terribile tempesta di neve gli emigranti riescono a superare la frontiera. Sono stremati, ma adesso la giornata è bellissima e il sole splende. E soprattutto... sono in Francia! Finalmente!
Qui però vengono fermati dai finanzieri francesi e dagli Alpini italiani.
In una lunga scena in cui tutti sono immobili ed in silenzio finanzieri ed emigranti si fronteggiano, ben consapevoli che da quel momento dipende il futuro di quegli uomini, donne, bambini e il vanificarsi di tutti i sacrifici, di tutte le sofferenze sopportate per arrivare fin lì.
E sono proprio i bambini, con la loro presenza ed i loro sguardi a determinare la svolta.
Il francese chiede: "da dove venite?" e quando Saro risponde "dalla Sicilia" il finanziere guarda di nuovo i bambini, sta ancora un attimo in silenzio e poi si rivolge ai suoi dicendo: "Allons...". Guardie francesi ed Alpini italiani se ne vanno scivolando via veloci sugli sci.
La scena finale tra la neve è davvero bella e gestita con grande abilità da Germi, nonostante il molto poco credibile comportamento delle guardie di confine. Poi purtroppo però Germi rovina tutto con l'inserimento di una voce fuori campo (la sua) sull'inquadratura finale dei personaggi che scendono verso il fondovalle perchè fa precipitare la conclusione in una intollerabile melassa moralistica. Questo "pistolotto" finale inserito da Germi nonostante il parere contrario di Fellini e Pinelli è un vero scivolone in una retorica che nel resto del film, invece, non è presente:
Lungo i confini troverete sempre i soldati, soldati dell'una e dell'altra parte, con diverse uniformi e diverso linguaggio, ma quassù, dove la solitudine è grande, gli uomini sono meno soli e certamente più vicini che nelle vie e nei caffè delle nostre città dove la gente si urta e si mescola senza guardarsi in faccia... Perché i confini sono tracciati sulle carte, ma sulla terra come Dio la fece, per quanto si percorrano i mari, per quanto si cerchi e si frughi lungo il corso dei fiumi e lungo il crinale delle montagne, non ci sono confini, su questa terra.
Orso d'argento a Berlino, Il cammino della speranza, odissea di un gruppo di disperati e dramma dell'emigrazione viene un anno dopo In nome della legge che era una storia di mafia e inizia da una miniera chiusa, da una presa di coscienza che induce ad abbandonare la terra natale per cercare di realizzare altrove il diritto al lavoro e alla dignità. Le note malinconiche di Vitti 'na crozza, che si ascoltano già mentre scorrono i titoli di testa e, suonate alla chitarra e cantate da uno degli emigranti in vari momenti della storia danno al film un tono di ballata popolare, di un racconto di conta-storie. C'è chi ha definito, tutto questo, neorealismo epico ed io sono abbastanza d'accordo.
Gli zolfatari tentano la dolorosa via dell'emigrazione perchè viene meno la speranza nella lotta (la chiusura della miniera nonostante tutti i giorni di occupazione) e perchè non vedono una possibilità di riscatto sociale attraverso l'impegno politico: Ciccio Ingaggiatore convince i minatori disoccupati a lasciare la propria terra mentre nella piazza del paese si svolge un comizio politico in cui l'oratore parla di fronte a poche persone perplesse. Miseria e rassegnazione, dunque, sono alla base della sofferta e disperata decisione.
Nel film ci sono molti elementi che ricordano la coralità della narrativa di Verga, per esempio il senso del fato incombente; il personaggio della donna perduta compagna del bandito, il duello rusticano tra Saro e Vanni sono motivi ricorrenti del repertorio dei conta-storie e della tradizione folcloristica così come le canzoni dialettali che gli emigranti cantano in treno e i balli collettivi sull'aia della masseria.
C'è un gusto figurativo di grande cura formale ed una fotografia magnifica soprattutto nella prima parte, nelle sequenze dell'occupazione della miniera e dei preparativi del viaggio.
Tutti i personaggi del gruppo di emigranti sono benissimo caratterizzati, hanno una loro precisa personalità, non hanno nulla di macchiettistico (pericolo in questi casi sempre in agguato) e i due protagonisti Elena Varzi ma soprattutto Raf Vallone perfettamente in ruolo.
Certo, tra le cose poco credibili del film c'è sicuramente il fatto che un minatore siciliano semianalfabeta come Saro si esprime sempre in un italiano perfetto e con una dizione impeccabile e questo fa un po' sorridere. Ma a Raf Vallone, attore che pur non essendo grandissimo ho sempre apprezzato molto glielo perdono, suvvia.
Per quanto mi riguarda trovo Il cammino della speranza un film eccellente nella prima metà (diciamo fino all'arrivo del treno alla Stazione Termini) e molto discontinuo nella seconda parte ma nonostante tutto è un film che riesce ad emozionarmi sempre anche nelle sue parti meno riuscite.
2 commenti:
Gabrilu, Germi era un po' un tipo strano, con una componente di grana rozza, ma con una sua genialità di tipo epico, ma non solo, anche grottesco-sarcastico, come in certi suoi film successivi.
Però dietro a quello che tu chiami giustamente pistolotto, ci vedo una Italia che ho conosciuto bene e che esiste ancora: quella della retorica da italiani brava gente mezza sentimentale mezza fascistoide.
Perché il fascismo ha avuto una sua persistenza di abitudini anche dopo la Liberazione. Basta che guardi il film Una giornata particolare di Scola in cui si sente l'annunciatore radio che descrive la radiosa giornata della visita di Hitler a Roma. E' lo stesso tono che usavano alla radio per le famigerate Catene della fraternità, dopo i terremoti e le alluvioni ( e che da bambino mi davano un fastidio terribile, l'ho capito anni dopo il motivo) e il tono con cui Carosio faceva le radiocronache delle partite di calcio. Non solo come forza d'inerzia del ventennio fascista, ma proprio come persistenza: dopo l'amnistia di Togliatti, tutti rimasero al loro posto, si erano solo tolti la cimice e non avevano più la cosiddetta tessera del pane, ma dentro erano uguali, compreso Nunzio Filogamo col Cari amici vicini e lontani. Altro che il fascismo come parentesi, come diceva Croce!
grazie e saludos
Solimano
Elena Varzi era di una grande bellezza e presenza scenica, e molto brava come attrice.
Alle volte mi chiedo come mai a proposito di attrici (con gli attori è un po' diverso) si fanno sempre gli stessi due o tre nomi, sempre quelli: il divismo ha dei percorsi strani sui quali sarebbe bello indagare.
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