I vitelloni, di Federico Fellini (1953) Sceneggiatura di Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli Con Franco Interlenghi, Alberto Sordi, Franco Fabrizi, Leopoldo Trieste, Riccardo Fellini, Leonora Ruffo, Jean Brochard, Claude Farell, Carlo Romano, Enrico Viarisio, Paola Borboni, Lida Baarova, Arlette Sauvage, Vira Silenti, Maja Nipora, Achille Majeroni, Guido Martufi, Silvio Bagolini Musica: Nino Rota Fotografia: Carlo Carlini, Otello Martelli, Luciano Trasatti (107 minuti) Rating IMDb: 8.0
Solimano
Scrivere un post della vista logica Il lavoro nel cinema proprio su I vitelloni sembrerebbe un paradosso, ma il lavoro è ben presente nel film, è una minaccia che incombe sui cinque vitelloni dall'inizio alla fine. Ho scelto come immagine di apertura del post l'atteggiamento di dignitosa autodifesa di Fausto Moretti (Franco Fabrizi). Si sta difendendo dalle cinghiate di suo padre Francesco (Jean Brochard), ma le cinghiate arriveranno, come arriverà il lavoro, prima o poi, anche se ormai i vitelloni sono più vicini ai trenta che ai venti. Qualcosa bisognerà pur fare, chiedere i soldi in casa si fa sempre più difficile.
Così Fausto, dopo il matrimonio con Sandra Rubini (Leonora Ruffo), si trova a vivere con la famiglia della moglie, ed il signor Rubini (Enrico Viarisio) si accorda con un amico, Michele Curti (Carlo Romano) perché il genero lavori come commesso nel suo negozio di articoli religiosi. La scena della vestizione di Fausto è straziante: quei due, con gioia maligna, gli mettono il grembiule grigio sul bel vestito da tombeur de femmes, e Fausto fa una smorfia di tipo umile. Ma la situazione peggiora: davanti alla vetrina del negozio si fermano gli amici, perché un Fausto così non l'avevano mai visto.
Eppure Fausto a modo suo si impegna. Quando verrà licenziato in tronco dal signor Curti perché ha fatto la corte a sua moglie Giulia (Lida Baarova), Fausto ci proverà col commercio: con l'aiuto di Moraldo Rubini (Franco Interlenghi) che adesso è diventato suo cognato, sottrarrà un bell'angelo dal magazzino del Curti, e andranno in giro accompagnati dal povero Giudizio (Silvio Bagolini). I frati e le suore diranno di no, ma almeno Fausto ci ha provato.
Molto più semplice il caso di Riccardo (Riccardo Fellini). E' sveglio solo quando c'è da cantare, alla festa per l'elezione della miss o in chiesa fa lo stesso, altrimenti tende a dormire. Difatti, nell'immagine presa verso la fine del Veglione di Carnevale, non è che con la sua amica (Milvia Chianelli) sia in atteggiamento di ballo operoso. No, Riccardo, benché mascherato da moschettiere, sta proprio dormendo in piedi.
Invece Leopoldo Vannucci (Leopoldo Trieste), si sente a posto, perché la sua strategia contro il lavoro è più sofisticata. Appena rientra a casa nel cuor della notte, assume un atteggiamento che richiama la famosa lettera del Machiavelli a Francesco Vettori: si siede alla scrivania, con davanti un foglio bianco di carta su cui per il momento disegna dei triangolini, occhiali sulla fronte, sigaretta col bocchino. Poi lo afferra il raptus creativo, e si affaccia alla finestra per fare due chiacchiere con la servetta (che non so come si chiami né chi sia l'interprete) del piano di sopra, che è affascinata dall'intellettuale, ma ad un certo punto lo deve mollare perché ha ancora da finire dei lavori in casa.
Ma è Alberto (Alberto Sordi) a vivere sulla sua pelle la situazione più difficile. Deve essere dura, dopo aver passato ore ed ore in buona compagnia, rientrare a casa di notte e trovare la mamma (Gigetta Marano) che stira, e la sorella Olga (Claude Farell), che si è portata a casa il lavoro dall'ufficio. Una provocazione grave, a cui Alberto reagisce da par suo, facendo continuamente la morale ad Olga perché ha una relazione con un uomo sposato. Olga non entra nel merito, chiede solo ad Alberto se ha bisogno di soldi, e glieli mette in mano. I soldi, Alberto li accetta con dignità sileziosa -e in quei momenti smette di fare la morale.
La situazione di Alberto si fa ancora più grave la mattina presto in cui torna a casa dopo il Veglione di Carnevale: Olga se ne va in macchina col suo uomo, e Alberto la guarda allontanarsi. E' vestito da donna, però la parrucca se l'è tolta. Poi Alberto entra in casa, molto commosso, e incoraggia la mamma: ce la faremo da soli meglio così non abbiamo bisogno dei soldi di Olga. Ciò detto, Alberto si getta su una poltrona. Ci si stanca, a dire certe cose.
L'episodio più famoso è quello del gesto dell'ombrello che Alberto rivolge ad alcuni stradini, etichettandoli con un "Lavoratori!" insultante e successivi rumori non convenevoli. Tutti gli studiosi si sono concentrati sul gesto, sulle parole e sui rumori (inserisco le immagini piccole -però cliccabili- perché a tutti note). Ma c'è un prima ed un poi.
Il prima è che Alberto sta in macchina con gli amici perché è sparita la moglie di Fausto, Sandra, portando con sé il bambino. Sandra se n'è andata perché stanca delle avventurette di Fausto. Non sanno dove sia, sono preoccupati perché temono il gesto insano, e Alberto sceglie questo modo per reagire alla preoccupazione.
Il poi non se lo ricordano tutti. Gli stradini ci rimangono male e vedono la macchina allontanarsi. Ma la macchina -che è un mezzo catorcio- dopo trecento metri si ferma e non riescono a farla ripartire. Allora gli stradini scatenano un piccola caccia all'uomo. I nostri amici riescono a scappare, abbandonando al suo destino il catorcio.
Ma l'intellettuale Leopoldo non coglie la pregnanza della situazione, e perde tempo vicino alla macchina. In tal modo gli stradini hanno modo, come si dice a Parma, di dire a Leopoldo quattro ragioni balorde.
Di questo episodio ho sempre ammirato l'esattezza del giudizio di Federico Fellini: è giusto che quello che paga sia l'intellettuale, perché è il più colpevole, quello che le cose le dovrebbe sapere. Mentre invece pretende di insegnare agli altri ciò che non ha mai provato sulla sua pelle.
Anche il contatto di Moraldo col mondo del lavoro avviene di notte. Prima di rientrare, si siede da solo su una panchina del viale. Sono già passate le tre di notte ed arriva un ragazzo molto giovane, Guido (Guido Martufi). Ha la divisa da ferroviere e sta andando alla stazione, dove lavora quasi sempre di notte. Moraldo comincia a parlare con Guido con amichevole sufficienza: è più grande e certamente pensa di essere messo meglio di Guido. Gli fa domande sulla durezza del lavoro, svolto poi in tali orari, si aspetta che si lamenti, ma Guido lo sorprende: conferma che è dura, ma che è anche contento di avere un lavoro, di bastare a sé. Quando Moraldo, alla fine del film, prende il treno per andarsene nella grande città, trova Guido, che sta lavorando e che lo saluta. "Ciao Guido", dice Moraldo, di cui in quel momento si sente solo la voce, ma è quella di Federico Fellini. Guido, appena il treno si è allontanato, si volta e fa un gioco, quello di camminare in equilibrio su un binario. Lo stesso gioco che farà Willie Starr ( Mary Badham), la sorellina di Alva Starr (Natalie Wood) in This Property is Condemned (1966), grande film di Sydney Pollack.
Quel gioco, da ragazzo l'ho fatto anch'io molte volte, perché avevo i binari a venti metri dal casello ferroviario. E' un bel gioco, perché senti il rischio di perdere l'equilibrio e vorresti non perderlo per molto tempo. Poi senti anche il rischio (da ragazzi ci si inventano tante cose...) che dietro ti arrivi il treno. Essere a rischio vuol dire essere vivi, non come i quattro amici di Moraldo che mentre lui parte ronfano ancora nel primo sonno. E Fellini così ce li mostra, nella implacabile chiusura del film.
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3 commenti:
In realtà, dovendo fare una lista di film sul mondo del lavoro, "I vitelloni" andrebbe messo al primo posto, o comunque in uno dei primissimi posti.
E soprattutto per la scena che tu hai messo all'inizio: Franco Fabrizi cerca di difendersi dal padre, che lo vuole picchiare (anche se è già un uomo sposato) come quando era bambino, perché non ha capito i valori di onestà e di correttezza che una volta erano tipici del Lavoro.
Dico "una volta", anche se a quei tempi lì io non c'ero ancora: però so come la si pensava, "una volta", e purtroppo io ho ricevuto l'educazione sbagliata: nel senso che l'educazione giusta da dare ai figli è quella di Ugo Tognazzi nei "Mostri" (un episodio breve il cui finale è beffardo: ma si sa che nella vita, invece, il ragazzo "educato alla furbizia" avrà avuto gran successo).
Giuliano, resta il fatto che nell'immaginario collettivo questo film è considerato quasi come una esaltazione ironica del gruppo di vitelloni, mentre non è così. Non sono andato con la lente di ingrandimento per raccontare questi episodi, sono proprio la struttura portante del film, ed i personaggio di Olga, la sorella di Alberto, del padre di Fausto (quello che prende a cinghiate il figlio trentenne) e di Giulio, il ragazzo ferroviere, sono personaggi importanti, a cui va evidentemente tutta la simpatia di Fellini.
saludos
Solimano
Ci sono alcune cose in comune con "Heimat", il grande film sulla Germania di Edgar Reitz girato negli anni '80.
Penso che non sia un caso, gli anni di riferimento sono gli stessi, sia per i Vitelloni di Fellini che per l'episodio di Heimat.
Uno dei protagonisti, che è stato aviatore in guerra e che adesso deve reinventarsi un mestiere, lo vediamo mentre vende serramenti e infissi ai suoi paesani, in un piccolo borgo della Germania vicino al confine francese.
Sembra un'occupazione da poco, un ripiego per uno che è stato in aviazione; più avanti scopriamo che in realtà lui rivende gli infissi e i portoni antichi, è su quello che guadagna.
E ci guadagna molto, perché è un ricavo da antiquario e perché lui ai suoi compaesani dice "gli infissi vecchi ve li porto via io, ma solo per farvi un piacere, è roba da bruciare".
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