venerdì 6 giugno 2008

Gli argonauti (3)

Jason and the Argonauts, di Don Chaffey (1963) Da "Le Argonautiche" di Apollonio Rodio, Sceneggiatura di Jan Read, Beverly Cross Con Todd Armstrong, Nancy Kovack, Gary Raymond, Laurence Naismith, Nial MacGinnis, Michael Gwynn, Douglas Wilmer, Jack Gwillim, Honor Blackman, John Cairney, Patrick Troughton, Andrew Faulds, Nigel Green, Ferdinando Poggi, Davina Taylor Musica: Bernard Herrmann Fotografia Wilkie Cooper Trucchi: Ray Harryhausen (104 minuti) Rating IMDb: 7.3
Solimano
Come si vede nell'immagine sopra il post, Medea (Nancy Kovack), giovane di forte fibra, oltre che di stirpe regale, si è ristabilita rapidamente dagli inconvenienti del naufragio. Sta viaggiando sulla nave Argo verso la Colchide, per nulla preoccupata dall'essere la sola donna fra cento uomini, per di più tutti Eroi. E' l'unica immagine in cui si vede Medea senza il diadema in testa, evidentemente se l'è tolto per mettere a proprio agio il suo salvatore Giasone (Todd Armstrong), verso cui prova per lo meno un sentimento di viva riconoscenza.

Appena giunti nella Colchide, ricomincia l'alta politica, perché il re Eéta (Jack Gwillim) è il padre di Medea e non desidera essere privato del Vello d'Oro, che a parte il valore commerciale, è la protezione del paese contro le sciagure, una specie di portafortuna. L'aspetto di Eéta è indubbiamente autorevole, ma guardategli la barba, riflettendo sui film che avete visto. Una barba fatta in quel modo, nei film ce l'hanno sempre o i mariti traditi o i cattivi di tipo sfigato. Però, viste le guardie del corpo, Eéta una sua figura da Amonasro di provincia la fa. E qui occorrerebbero approfonditi studi geografici, perché la Colchide dovrebbe essere a Nord, verso l'attuale Crimea. Come mai le guardie del corpo sono di tipologia nilotica o etìope? Occorrerà una campagna archeologica per dipanare la matassa.


In qualche modo si raggiunge un provvisorio agreement, anche perché c'è Acasto (Gary Raymond), il figlio di Pelia (Douglas Wilmer), che ciurla nel manico. L'intesa si festeggia con una cerimonia propiziatoria nel tempio della dea Ecate, inventata in Anatolia, e da poco importata nella mitologia greca. Il culto alla dea Ecate era normalmente svolto da sacerdoti eunuchi, mentre nel film, con una inesattezza assai felice, sono delle giovani guidate dalla Grande Sacerdotessa che è appunto Medea. Avrò modo, fra qualche tempo, di illustrare il rito svolto ai piedi dell'altissima statua di Ecate, per il momento credo che bastino due immagini per dare una idea delle liturgie in uso nella Colchide.

Eéta, anche grazie ad una soffiata di Acasto, riesce a conoscere appieno le intenzioni di Giasone e lo imprigiona con alcuni suoi compagni. Ma interviene nottetempo Medea, maestra di inganni, che oltretutto ha anche tutte le chiavi delle celle. Così Giasone è libero, e Medea fa in modo che veda il Vello d'Oro. Sembra una pecora mezza morta mezza sempia, ma il valore è inestimabile, sia per l'oro che per la protezione.



Il Vello d'Oro però è difeso da un terribile drago, un'Idra dalle sette teste. Prima ci prova Acasto, ma viene ucciso dall'Idra. Poi entra in campo Giasone, che se la vede brutta e viene avvolto dalle possenti spire della coda del drago, zigrinata come un Cinturato Pirelli, però, anche per qualche spintarella di Hera (Honor Blackman), che dall'Olimpo continua a proteggere Giasone, l'Idra viene uccisa e Giasone si impadronisce del Vello d'Oro.


Medea, sacerdotessa e maga, le virtù del Vello d'Oro le conosce tutte: si sdraia per terra, Giasone ed Argo le distendono sopra il Vello d'Oro e guardate cosa succede: il vello diventa lucente, manifesta tutta la sua bellezza, oltre a poter curare una serie di affezioni psicosomatiche. Medea porta il Vello d'Oro a bordo della nave Argo, dove c'è la maggior parte degli Eroi, mentre Giasone con altri pochi deve affrontare l'ira del furente Eéta.

I denti del'Idra, che sono tanti, visto che aveva sette teste, possiedono una virtù che Eéta conosce: se vengono seminati, immediatamente da ogni dente sorge uno Scheletro Guerriero. Tutti hanno lo scudo personalizzato, non roba di serie.


Gli Scheletri Guerrieri sono numerosi, ma Giasone e i suoi compagni compiono prodezze inenarrabili. Nella battaglia uno degli scheletri viene decapitato, e questo nel film si vede. Peccato che togliessero il seguito della scena, in cui lo scheletro decapitato cercava il suo teschio per terra. Ma d'altra parte ridussero al minimo la durata di queste scene: nel film sono quattro minuti in tutto, ma a prepararle ci vollero più di quattro mesi.
Nella battaglia finale due compagni di Giasone muoiono, ma non si tratta di Eroi di alta classifica. Giasone, stretto nell'angolo fra un nugolo di scheletri, sceglie di tuffarsi dall'alto nel mare sottostante, diverse decine di metri sotto. Medea gli rende pan per focaccia: è lei a raccoglierlo dal mare, avendo prima stivato con cura il Vello d'Oro. Li vediamo felici, finalmente insieme: stanno navigando verso la Tessaglia, dove Pelia non immagina la sorte che l'aspetta.
Così finisce il film. Quello che succede dopo? I litigi fra Medea e Giasone? Non ci credete, sono tutti pettegolezzi.

8 commenti:

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, ma io la scena dello scheletrone che cerca la testa me la ricordo... possibile che nel dvd non ci sia?
Per il resto, il Vello d'Oro mi è sempre piaciuto, e rivedendone l'immagine continua a piacermi.
Quella che proprio mi ha spiazzato è Medea: per me Medea è la Callas, questa qui con la Callas non c'entra niente, e neanche con la maga Circe. (Non mi sto mica lamentando, sono solo un po' spiazzato da una Medea così giovane e così bellina).

Anonimo ha detto...

:D:D:D Sapidissimo commento, esimio Maestro. A me pare che il vello l'abbiano dorato con le strisce d'oro natalizie, quelle che si mettono sugli alberi di Natale. Per il resto, gran film da oratorio, me lo sono visto sul finire degli anni '60 al cineteatro San Luigi di Monticello Brianza. Biglietto 50 lire.

All the best!

Brian

Solimano ha detto...

Giuliano, preferisco una Medea come questa, la Callas va bene in altre cose. Sul rotolamento del teschio non ti so dire, può darsi che lo mettono o tolgono perché si preoccupano (cu che poi?). Non si rendono conto che quel giochino l'ha inventato l'Ariosto nell'Orlando Furioso...
Brian, facevano bene a far vedere questo film all'Oratorio. C'è una bellissima funzione liturgica con la Gran Sacerdotessa Medea, mi immagino gli occhi del prete dell'Oratorio. Anche gli occhi di voi ragazzi: tutta cultura!

grazie e saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Per chi no lo sapesse (non è obbligatorio) Amonasro è il papà di Aida.
(opera di Giuseppe Verdi, 1871)

Roby ha detto...

No, non mi ricordavo del nome del babbo di Aida: quasi uno scoglilingua, vero?

Invece i guerrieri-scheletro mi rammentano scene simili in altri film... ma quali? Il Signore degli Anelli? O un episodio della recente saga della Mummia? Mah!

Medea, se non erro, fece fuori i figlioletti in odio al fedifrago Giasone: capostipite, in ciò, di tante -ahimè- mamme omicide di oggi. All'epoca, per fortuna, non c'era Porta a Porta col plastico della villetta di Cogne: poeti epici e tragediografi rendevano il tutto molto più sopportabile...

R.

Giuliano ha detto...

Il ghigno degli scheletroni è una di quelle cose per cui vale la pena di pagare il biglietto... Non ne fanno più di ghigni così, men che meno alla Pulsar o alla Industrial Light & Magic. (son ghigni di una volta).

Quanto ad Amonasro, suona benissimo. Forse perché anch'io sono un po' parmigiano, come Verdi: sembra un bonario insulto in pramsàn. "O, mo vè, ma t'al digh me, amonasro!!"

Anonimo ha detto...

@giuliano, Amonasro suona benissimo, e mi ricorda che da piccolo io pensavo che la condanna a vita alla galera si dicesse "ergastro" e non ergastolo. Suonava coì bene...

Quando mi hanno spiegato che invece si diceva correttamente "ergastolo" non ci volevo credere, mi pareva assurdo che una pena così grave avesse un nome così da pirla, da ottavo dei sette nani. Magia delle parole... :)

Brian

Giuliano ha detto...

Dear Brian, la so ancora a memoria:
"Quest'assisa ch'io vesto vi dica
che il mio re, la mia patria ho difeso...
Fu la sorte a nostr'armi nemica,
tornò vano dei forti l'ardir."
eccetera eccetera.
(però non canto, non sia mai...)
(solo canto interiore, quello sì)