sabato 30 maggio 2009

Firenze nel cinema: Incompreso

Incompreso, 1966. Regia di Luigi Comencini. Dal libro di Florence Montgomery Sceneggiatura di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Lucia Drudi Demby, Giuseppe Mangione. Musiche di Fiorenzo Carpi. Interpreti: Anthony Quayle, Stefano Colagrande, Simone Giannozzi, John Sharp, Adriana Facchetti, Giorgia Moll, Graziella Granata. Durata: 105 minuti. Rating IMDb: 8.0

Ermione

I luoghi che fanno da sfondo al film Incompreso sono quelli di una Firenze che, a più di quaranta anni di distanza, è rimasta intatta. Il Ponte Vecchio, i lungarni, la stazione di Santa Maria Novella sono oggi uguali ad allora, e solo le automobili anni sessanta e gli abiti delle donne ci suggeriscono che siamo nel '66.

Così è in una delle scene iniziali, quando Andrea esce dalla scuola,con il Ponte Vecchio sullo sfondo, le cinquecento e le seicento che passano, le donne con lo chignon.

E come avrebbe potuto mai cambiare il Ponte Vecchio, il ponte più antico di Firenze, l'unico che i tedeschi non fecero saltare durante l'occupazione?
Oggi come ieri, quando Andrea e Milo scendono a Firenze per comprare un regalo al babbo, il ponte è sempre affollato, pieno di gente che guarda le vetrine dei gioiellieri, di turisti che si fanno una foto ricordo; come il piccolo Milo che sorride al fotografo.

La città che si intravede dai finestrini mentre il console Duncombe guida è riconoscibilissima: qui siamo in piazza del Duomo, in cui all'epoca si poteva transitare in auto e addirittura parcheggiare lungo le fiancate del Duomo e del Battistero!

Chi non sapesse dov'è il Camposanto degli Inglesi rimarrebbe stupito nell'apprendere che si trova in un piazzale proprio all'interno dei viali di circonvallazione, tra le auto che sfrecciano veloci.

Quando si cominciò a costruirlo, il cimitero si trovava fuori delle mura della città, oltre Porta Pinti - che adesso non esiste più. Successivamente, durante i lavori per Firenze capitale, nel 1865, l'architetto Giuseppe Poggi fece demolire le mura e fece costruire un piazzale, al cui centro si ergeva, su una montagnola, il cimitero. Da allora questo si trovò ad essere all'interno della città, che nel frattempo si era allargata, e fu chiuso.
Oggi appare come una piccola oasi di silenzio e di pace oltre la cancellata che lo separa dal traffico dei viali. Ed effettivamente, quando Andrea si aggira mostrando le tombe allo zio Will, sembra di essere in un giardino ombroso e pieno di verde.

La stazione di Santa Maria Novella, da dove parte lo zio Will, rimane ancora una delle più belle stazioni d'Italia: lineare, semplice eppure ricca coi suoi marmi e le sue vetrate, luminosa e chiara.

Ho trovato su Wikipedia alcune notizie che riporto.

Nel 1932 il Comune di Firenze dovette bandire un concorso per la nuova stazione: ne risultò vincitore un gruppo, il cosiddetto Gruppo Toscano, formato da Pier Niccolò Berardi, Nello Baroni, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna, Giovanni Michelucci, i quali crearono una delle opere più importanti del cosiddetto Razionalismo italiano. Secondo tale stile, teorizzato solo in seguito, la struttura di un'opera doveva riflettere la sua funzione. Essa rappresentò il primo esempio in Italia di stazione eretta secondo una logica di funzionalità moderna. Sebbene l'opera non fosse in linea con le tendenze architettoniche improntate al trionfalismo di stampo fascista, l'opera ricevette il plauso dello stesso Mussolini. Nonostante ciò, la sua realizzazione divise il mondo della cultura fra conservatori insoddisfatti (capitanati da Ugo Ojetti) e modernisti entusiasti, come i giovani intellettuali del Caffè Le Giubbe Rosse di Piazza della Repubblica fra i quali Elio Vittorini, Alessandro Bonsanti e Romano Bilenchi.


Molto accurata e attenta fu la scelta dei materiali: pietra forte e travertino per gli esterni, marmi policromi e rame per i ricchi interni; e poi vetro, per le grandi vetrate della facciata, dette "cascate di vetro", e per il grandioso soffitto della biglietteria.





Anche se la stazione fu opera collettiva degli architetti del Gruppo Toscano, a Firenze si dice "la stazione di Michelucci".
Giovanni Michelucci è stato uno dei maggiori architetti del '900, ed è anche, fra l'altro, l'ideatore di quella cosa straordinaria che è la chiesa di San Giovanni Battista, la famosa "chiesa dell'autostrada".


Questa costruzione si trova infatti allo svincolo tra la Firenze-Mare e l'Autostrada del Sole, e fu eretta per celebrare i tanti operai morti sul lavoro durante la costruzione della A1.
E' un'opera ardita, assolutamente originale, che ricorda nelle forme quelle di una enorme tenda: il tetto a vela è fatto di lastre di rame, che col tempo ha assunto quella splendida colorazione verde-azzurro, mentre il corpo portante è costruito da blocchi di pietra rosa e pietra forte, con aperture a feritoia che ricordano quelle delle chiese romaniche.

Nei fervidi e creativi anni Sessanta, quando questa chiesa "rivoluzionaria" fu ideata e costruita, molti furono i critici ed i detrattori, un po' meno gli estimatori. Si parlava di "architettura delirante", di sintesi non riuscita tra pietra e metallo, ci sono voluti decenni per accettare definitivamente quest'opera così nuova e particolare.

Personalmente ne rimasi affascinata fin da piccola quando, sulla Fiat 1100 di mio padre, si infilava la Firenze-Mare per andare al Forte dei Marmi. Mi sembrava qualcosa di celestiale, e insieme di assolutamente terreno. Una chiesa diversa e strana, bellissima.

venerdì 29 maggio 2009

Riccardo Mannelli

Solimano

I disegni di Riccardo Mannelli che inserisco in questo post provengono da quattro numeri di Cuore (settimanale di resistenza umana...) del 1991. Precisamente i numeri del 22 aprile, del 29 aprile, del 6 maggio e del 13 maggio. Il titolo che Riccardo Mannelli dette a questa serie di disegni fu "Viaggio al termine degli gnocchi".
Mi è stato d'ausilio in questa ricerca il sito "Una mano lava l'altra" e il link rimanda direttamente alla pagina delle scansioni di alcuni numeri di Cuore. Le scansioni non riguardano solo i disegni ma anche i testi, perché non dimentichiamo cha a Cuore diretto da Michele Serra collaborarono Staino, Vauro, Vincino, Altan, Ellekappa, Disegni e Caviglia, Beppe Grillo, Stefano Benni, Domenico Starnone, Lia Celi, Andrea Aloi, Piergiorgio Paterlini, Alesandro Robecchi ed altri.


Alcune rubriche di Cuore divennero mitiche: Botteghe Oscure (diventa anche tu delatore: fotografa il negozio della tua città con l'insegna più stronza), Niente resterà impunito, Mai più senza, Cronaca di Cuneo, E chi se ne frega. E i titoli! "Scatta l'ora legale, panico tra i socialisti", "Salvo Lima come John Lennon, ucciso da un fan impazzito", "Aiuta lo Stato: uccidi un pensionato"...
Alla fine del 1993, in coincidenza all'avviso di garanzia a Bettino Craxi, Cuore arrivò a 160.000 copie. In totale uscirono 297 numeri, e Michele Serra, il giorno della chiusura, disse: "I giornali satirici sono come lo yogurt. Hanno la scadenza sull'etichetta già quando nascono". Però Cuore durò molto a lungo, considerato anche l'inizio come inserto gratuito dell'Unità: quasi otto anni.



Riccardo Mannelli nasce a Pistoia il 20 gennaio 1955 e comincia giovanissimo; le prime mostre sono del 72/73. E' un autodidatta che fa di tutto: pittura, pubblicità, scenografia, teatro, animazione di strada. Anche l'animatore culturale all'ospedale psichiatrico di Pistoia, ai tempi dell'attuazione della legge Basaglia.

Non ama né il termine satira né il termine fumetto, anche se ha collaborato (dopo essersi trasferito a Roma) con "Il Mago", "Alter Linus", "Il Male" e a tanti giornali: "Manifesto", "Messaggero", "La Stampa", "La Repubblica". I ritratti che ha pubblicato per anni su "La Repubblica" li abbiamo visti tutti. Fino al 1985 ha collaborato anche con Playmen, anche in virtù delle sue grandi capacità di rappresentazione del nudo.
Inoltre copertine di libri e di dischi, manifesti per il teatro e per il cinema, illustrazione di racconti e poesie...
Una attività frenetica: Mannelli è molto veloce nell'esecuzione, ma sempre di elevata qualità grafica, disegnativa, pittorica.
Dal 1995 è il coordinatore del dipartimento di "Illustrazione e Animazione" all' Istituto Europeo di Design di Roma,dove tiene il corso di "Anatomia e Disegno dal vero".



Di lui scrive Fabio Norcini:
"Se fosse possibile pensare uno sponsor per Mannelli non c'è dubbio che dovrebbe essere soltanto Bic. È infatti la casa francese che gli fornisce i principali strumenti della sua attività artistica: accendino e penna a sfera. Il primo per mettere a fuoco sogni e desideri, la seconda per ricavare dai piccoli fuochi straordinarie carte geografiche dell'inconscio, visioni memorabili e fotogrammi implacabili. Cenere e inchiostro, schizzi e sigarette, funziona così l'impressionante macchina mannellica, ordigno che spara disegni in forma di poesia o aforisma, che travasa satira in malinconia, saggezza in follia e viceversa. Per lui disegnare è come respirare e a chi, come chi scrive, resta sbalordito dalla straordinaria mano, dalla formidabile facilità di esecuzione e domanda come ciò sia possibile risponde, con un'alzata di spalle, che perfino le galline avrebbero imparato dopo miliardi di disegni. E, viene spontaneo chiedere, se dovessi risognare tutte le facce che hai ritratto? "Sarebbe un incubo, una sorta di giorno del giudizio, di valle di Giosafat".




Quando Forattini se ne andò per la prima volata da Repubblica, indicò in Mannelli il suo possibile erede. Ci furono diversi salti mortali per mettersi d'accordo con Eugenio Scalfari, perché Mannelli non amava la singola vignetta, voleva raccontare delle brevi storie, esattamente come aveva fatto su Cuore, anche per questo "Viaggio al termine degli gnocchi".
Il viaggio si svolge in Emilia, fra Bologna e Ferrara, ed è assolutamente datato nel 1991. Ricordo benissimo, quando ci fu l'invasione di prostitute nigeriane a Bologna. Viaggiavano in treno da luoghi fuori mano per essere sui posti di lavoro alla notte. I posti di lavoro erano ubicati lungo tutta la circonvallazione del centro storico di Bologna. Le prostitute stavano a non più di cinquanta metri l'una dall'altra e naturalmente alle spalle c'era una organizzazione ben oliata, sia in Nigeria che in Italia. Sembra che dovessero pagare un preciso riscatto, prima di poter smettere e rientrare in Nigeria: le famiglie avevano contratto dei debiti, per tirare avanti, e questo era il sistema con cui riuscivano a pagarli.
Dopo alcuni mesi le nigeriane sparirono, non so come andarono veramente le cose, ma rimasi sbalordito una sera, percorrendo la circonvallazione di Bologna, solitamente tranquilla (a parte il traffico), vedendo una invasione a suo modo dignitosa. Non facevano gesti strani, adescamenti. Stavano lì, seminude, ad aspettare che le automobili si fermassero. E si fermavano.
Gli altri disegni sviluppano lo stesso concetto, quello dell'erotismo mercenario, ampliandolo in tutte le direzioni. Colgono anche l'atteggiamento postribolare di tutto quel mondo qualunquista, sordido, che se la prendeva regolarmente con i politici senza avere nessuna voglia di guardarsi in faccia. Mannelli abbina strettamente la componente erotica a quella moralistica, ed utilizza l'esatta ubicazione geografica per aggiungere credibilità. Nessuna distinzione fra riccastri e poveracci, fra operai e studenti, tutti assatanati dalla novità di quegli anni: potere fare sesso spendendo poco. Le extracomunitarie venivano da noi era perché si sapeva che le strade erano piene di possibili clienti. Però, come si nota nell'immagine che metto in apertura di post, già allora c'erano simili aspirazioni nelle giovani con lavoro insoddisfacente. Pensavano alle scorciatoie praticabili per cambiare la loro vita.
Cosa è cambiato, in questi anni? Un discorso analogo a quello che ho fatto per Altan. Un cosa fondamentale: quella che era la sordidezza provinciale è diventata la sordidezza di palazzo, officiante la TV commerciale, che proprio allora produsse quegli spettacoli in cui era normale la ripresa dal di sotto e dal di dietro. Ma il peggio sarebbe venuto successivamente: i reality, che hanno trasformato modi disinvolti di far denaro in modelli di vita. I partecipanti e le partecipanti ai reality sono divenuti una specie di eroi contemporanei. Non c'è soltanto il desiderio di sfuggire ad una situazione umana insoddisfacente, c'è, paradossalmente in positivo, desiderare per sé, oltre che un miglioramento sociale, che da un certo punto di vista sarebbe o comprensibile, ma desiderare proprio di far parte di quel mondo, visto come il migliore dei mondi possibili. Un bel passo in avanti, che Gabriele Muccino ha rappresentato nel film "Ricordati di me".

Da sempre, sono affascinato dallo stile grafico, dall'immediatezza, dalla forza rappresentativa di Riccardo Mannelli. Lo trovo paragonabile, eppur diverso, ad altri due grandi artisti: Heinrich Kley (tedesco del primo Novecento) ed Enric Siò, catalano, che è esattamente l'opposto di Mannelli come produzione (ha disegnato poco) ma alcune sue storie pubblicate su Linus e Alter Linus sono memorabili. Sia Kley che Siò sono già stati inseriti in questo blog.

mercoledì 27 maggio 2009

Ritratti di signore: Isabelle Adjani

L'histoire d'Adèle H. di François Truffaut (1975) Dal diario di Adèle Hugo e dal racconto di France Vernor Guille Sceneggiatura di Jean Gruault, Suzanne Schiffman, François Truffaut Con Isabelle Adjani, Bruce Robinson, Sylvia Marriott, Joseph Blatchley, Ivry Gitlis, Louise Bourdet, Cecil De Sausmarez, Ruben Dorey, Clive Gillingham, Madame Louise Fotografia: Néstor Almendros Musica: Maurice Jaubert (96 minuti) Rating IMDb: 7.4

Solimano

Così François Truffaut:
"Non so perché faccio un film come questo. Così triste. Ma l'idea fissa ha in sé qualcosa di vertiginoso ed io credo di essere stato preso in questa vertigine.
E' molto ingiusto; tutti conoscono Léopoldine Hugo, morta annegata nel 1843, alla quale il padre aveva dedicato tante poesie, e nessuno conosce Adèle. Facendo questo film ho avuto l'impressione di farle finalmente prendere una rivincita su Léopoldine; sfortunatamente troppo tardi, perché penso che Adèle abbia sofferto terribilmente di essere stata la meno amata."
Da "Tutte le interviste sul cinema" ed. Gremese.

Nel 1863 sbarca ad Halifax, Nuova Scozia, Canada una giovane francese, che va ad alloggiare presso una famiglia adottando un nome falso. In realtà si tratta di Adèle Hugo (Isabelle Adjani), la figlia dello scrittore Victor Hugo, che è fuggita dalla casa paterna. Allora Victor Hugo viveva a Guernesey, un'isola fra la Francia e l'Inghilterra, dove era emigrato dopo il colpo di stato monarchico di "Napoleone il piccolo", come Hugo scrive in un pamphlet, cioè di Napoleone III. Adèle ha in mano il ritratto dell'uomo di cui è innamorata, l'ufficiale inglese Albert Pinson (Bruce Robinson), che è ad Halifax, mentre è in corso la guerra civile americana in cui gli inglesi non intervengono.
Nel 1863 Adèle Hugo aveva trentatrè anni. Nel film appare come ventenne. Truffaut fu criticato perché il film inizia con la seguente didascalia: "Questa è una storia vera e fa vedere degli avvenimenti veramente accaduti e dei personaggi realmente esistiti". Truffaut rispose che nel film di Herzog appena uscito, Kasper Hauser aveva ben quindici anni di meno. Penso che a Truffaut interessasse la veridicità della storia, ma interessasse soprattutto che la parte la facesse Isabelle Adjani, allora ventenne, di cui scrisse: "E' la sola attrice che mi abbia fatto piangere davanti allo schermo della televisione e, per questo, ho voluto girare con lei in modo molto veloce, con urgenza, perché pensavo che avrei potuto, filmandola, rubarle cose preziose come, per esempio, tutto ciò che avviene in un corpo e in un volto in piena trasformazione" .


Adèle fa in modo che siano consegnate a Pinson delle sue lettere, a cui lui non risponde. Finalmente un giorno passa a trovarla, e comprendiamo che cosa è successo. Fra i due c'è stata una storia, non si capisce fino a che punto. Pinson era lusingato dal fatto che la figlia di Victor Hugo fosse innamorata di lui, ma appena ha avvertito che era sgradito alla famiglia ha lasciato perdere. Storia chiusa per lui. Adèle cerca di dirgli che l'ostacolo della famiglia lo potrebbero superare, ma Pinson non è interessato, mentre accetta i soldi che Adèle gli dà per i suoi debiti di gioco. Non è lui a chiederli o a sollecitarli in qualche modo, è Adèle che sa che Pinson ha questi debiti e insiste per dargli dei soldi perché crede sia un modo per tenerlo legato a sé. Un'altra tattica che usa Adèle è di ricordargli che lei ha delle sue lettere in mano, che attestano il rapporto che c'è stato fra loro. Adèle aveva scritto di sé: "Quella cosa incredibile da farsi per una donna, di camminare sul mare, passare dal vecchio al nuovo mondo per raggiungere il proprio amante, quella cosa, io la farò". Ma dice anche: "Si può amare qualcuno sapendo che tutto è spregevole in lui".



I contatti con Halifax per Adèle, oltre che con la famiglia che la ospita, che a poco a poco ne scopre la vera identità, sono esclusivamente contatti finalizzati alla sua unica passione, quella di essere sposata da Pinson. Ha bisogno di denaro, quindi per ottenerne scrive al padre che glielo spedisce, sollecitandola a tornare a casa. Quindi Adèle è spesso in banca, presso cui c'è anche l'ufficio per i mandati postali di pagamento e frequenta una libreria, che con i nostri termini sarebbe una carto-libreria, perché Adèle scrive un diario, oltre a spedire lettere anche a Pinson, che non le legge neppure. Instancabile, cerca sempre di sapere che cosa fa Pinson, le feste in cui va, le case in cui è ricevuto, le donne, il gioco, tutto. Elabora continuamente tattiche per riuscire ad inserirsi nella vita di Pinson.


Adèle si trascura, esce d'inverno senza coprirsi in modo adeguato, sviene sulla neve appena fuori dalla libreria. Ha un inizio pleurico, durante la malattia vengono a sapere chi lei è veramente. Il libraio, credendole di fare cosa gradita, le presenta un pacco-dono contenente i volumi rilegati de "Les Misérables", ma è proprio l'essere figlia di suo padre quello che Adèle non vuole: "Io denuncio l'impostura dello stato civile e la truffa dell'identità. Io sono nata da padre completamente sconosciuto... e allora io non conosco mia madre...". Adèle si veste addirittura da uomo, per essere presente ad una festa a cui sa che ci sarà Pinson.
Qui c'è l'altro tema, quello personale di Truffaut, che per tutta la sua vita non seppe chi fosse realmente suo padre.



Adèle riesce a tenersi informata di quello che succede a Pinson, specialmente riguardo alle donne. Ha un atteggiamento strano: non le dà fastidio che Pinson abbia altre donne, giunge persino a pagare una prostituta perché vada da lui. Un'altra volta spia la relazione di Pinson con una signora che ha un cagnolino (una citazione da Cechov); ci tiene a saperlo ma non ne è turbata. Ma quando capisce che Pinson ha una rapporto con una ragazza di ottima famiglia e che si parla di matrimonio, Adèle agisce di persona: si presenta alla casa della ragazza, che l'accoglie sicura di sé sull'alto delle scale (evidentemente già prevenuta da Pinson), ma Adèle prevarrà, dicendo che è incinta di Pinson, che non verrà più ricevuto da quella famiglia. Il matrimonio andrà a monte.

E' come un culto religioso, quello di Adèle: in una valigia ha tutto quello che riguarda Pinson, e ne tiene il ritratto fra due candele. Adèle assiste ad uno spettacolo di ipnotismo e vorrebbe pagare l'ipnotista in modo che suggestioni Pinson che così sarebbe forzato a sposarla sotto ipnosi. Ma si accorge che l'ipnotista è un truffatore e lascia perdere. Curiosamente, Victor Hugo ricorreva perfino allo spiritismo per riuscire a trovare una soluzione riguardo al suo rapporto con Adèle. Adèle è ossessionata, ma non ha perso l'intelligenza e riesce ad inventare un matrimonio inesistente con Pinson informandone il padre, che a quel punto è costretto a fare una dichiarazione di annuncio. Naturalmente, non è vero niente: il matrimonio non c'è stato. Il risultato è che Adèle è riuscita ancora a procurare dei guai a Pinson.


Finché, per l'ultima volta, Adèle compare di fronte a Pinson, offrendogli ancora del denaro e gettando il cuscino con cui fingeva di essere incinta. Lui non sa cosa fare, le dice soltanto che è ridicola. Non è così: Adèle sta perdendo completamente la ragione.



Sola in riva al mare Adèle si identifica con la sorella Léopoldine, morta annegata. Adesso Adèle non sta più presso quella famiglia: dorme su un letticciolo in un ricovero, strigendo a sé la valigia con i ricordi ed i diari. Il reparto di Pinson viene trasferito alle isole Barbados e tutto dovrebbe chiudersi qui.


E invece no. Il film mostra una giovane donna con le vesti stracciate che si aggira in una piazza tropicale. Attorno ci sono ragazzini neri incuriositi e sfottenti. La ragazza sviene e di lei ha pietà una donna nera, Madame Baa (Madame Louise), che comincia ad assisterla.


Adèle cammina da sola per le strade, non più nella piazza. Cammina in fretta, come se dovesse andare in un posto preciso per incontrare una precisa persona. Non è così.



Un ufficiale degli ussari la vede e comincia a seguirla: è Pinson, che non l'incontra da tempo e che ha pietà di lei. Pinson la sorpassa per guardarla in faccia e la chiama per nome: "Adèle!". Ma la ragazza non lo guarda e non lo sente neppure, continua a camminare.Il suo mondo è ormai del tutto estraneo al mondo reale.

Adèle tornerà in Francia grazie all'assistenza della donna nera che si mette in contatto con Victor Hugo, e sarà ricoverata in una casa in cui si occuperà per decenni di giardinaggio e di musica. Morirà il 21 aprile 1915 ad 85 anni e nessuno ne parlerà. Suo padre Victor Hugo era morto il 22 maggio 1885, e la sua salma fu esposta per una notte sotto l'Arco di Trionfo. Tre milioni di persone vennero a rendergli omaggio e i cronisti riportano che in quella notte le prostitute di Parigi lavorarono gratuitamente.


Isabelle Yasmine Adjani nasce a Parigi il 27 giugno 1955, da padre cabilo e madre tedesca. A quattordici anni ha il suo primo ruolo nel cinema. E' un film per bambini: "Le petite bougnat". Ma è il teatro che la fa conoscere nel 1973, per la porta principale della Comédie-Française: il ruolo di Agnès in "L'École des Femmes" di Molière. In due anni, due film diversissimi: "La gifle" (1974) di Claude Pinoteau, che le dà il successo popolare e "L'istoire d'Adèle H." di François Truffaut che le dà il successo intellettuale. Ha vinto quattro volte il César per la migliore interpretazione femminile:

1982 Possession di Andrzej Zulawski
1984 L'été meurtrier di Jacques Becker
1989 Camille Claudel di Bruno Nuytten
1994 La reine Margot di Patrice Chéreau

Nel 1996 si è trasferita in Svizzera, a Ginevra. Al suo arrivo ha dichiarato: "Quando si ha la possibilità di offrire ai propri figli una qualità di vita migliore, non si deve esitare". Ha due figli.
Appoggia i berberi nelle lotte per il riconoscimento della loro lingua e della loro cultura.

Mi soffermo su quello che hanno detto e scritto François Truffaut ed Isabelle Adjani durante la realizzazione del film "Adele H" (da "Il piacere degli occhi", Marsilio editore):

Non conosco Isabelle Adjani.
Durante le riprese, la guardo recitare, l'aiuto come posso, dicendole trenta parole quando ne vorrebbe cento o dicendogliene cinquanta quando gliene occorrerebbe una sola, perché, nel nostro bizzarro sodalizio, è tutta questione di vocabolario.
(Truffaut)

Quando mi consegnò la sceneggiatura, Truffaut non mi diede spiegazioni. Compresi che aveva voglia di giocare con me per guardarmi attraverso la macchina da presa.
(Adjani)

Non conosco Isabelle Adjani, eppure, la sera, i miei occhi e le mie orecchie sono stanchi per averla guardata e ascoltata troppo intensamente tutta la giornata.
(Truffaut)

Con Truffaut bisogna parlare di direzione della cinepresa, piuttosto che di attori. Non si mette mai al loro posto: li guarda come un uomo guarda una donna.
(Adjani)

Conoscerò Isabelle Adjani tra qualche settimana, quando ci lasceremo, cioè quando le riprese saranno terminate. Lei andrà per la sua strada, non so dove, e tutti i giorni io la riguarderò sul tavolo di montaggio, in tutti i modi ed a tutte le velocità. Allora non mi sfuggirà più niente e comprenderò tutto a scoppio ritardato.
Talvolta dico a Isabelle Adjani: "La nostra vita è un muro, ogni film è una pietra".
Lei mi dà sempre la stessa risposta: "Non è vero, ogni film è un muro".
(Truffaut)

I film di cui inserisco le immagini sono in ordine cronologico.

"La gifle" (1974) di Claude Pinoteau

"Le locataire" (1976) di Roman Polanski

"Violette & François" (1977) di Jacques Ruffio

"Nosferatu: Der Phantom der Nacht" (1979) di Werner Herzog

"Clara et les Chic Types" (1981) di Jacques Monnet

"Possession" (1981) di Andrzej Zulawski

"Mortelle randonnée" (1983) di Claude Miller

"L'été meurtrier" (1983) di Jacques Becker

"Subway" (1985) di Luc Besson

"Ishtar" (1987) di Elaine May

"Camille Claudel" (1988) di Bruno Nuytten

"La reine Margot" (1994) di Patrick Chéreau

"Diabolique" (1996) di Jeremiah S. Chechik

"La repentie" (2002) di Laetitia Masson

"Adolphe" (2002) di Benoît Jacquot