Annarita sul suo blog L'angolo di Annarita
Mi sono occupata finora di film per ragazzi o nei quali i ragazzi fossero protagonisti, e questo Andersen - Una vita senza amore fa eccezione.
Fa eccezione perché, pur essendo la biografia dell'amatissimo autore di favole che ha commosso e avvinto generazioni di giovani lettori, non è assolutamente un film adatto a un giovane pubblico per i contenuti e la maniera cruda in cui vengono proposti.
Di fronte a questo film non si resta indifferenti: o lo si ama o lo si detesta, perché può risultare tanto attraente quanto fastidioso.
Due parole sul regista, prima di tutto: l'ottantenne Eldar Ryazanov in Russia è un'istituzione del cinema nazionale e si dice abbia lavorato a questo progetto per oltre vent'anni, regalandoci così un film il quale "...è un delirio immaginifico che mette insieme musical e melodramma, cinema russo per bambini anni '50 e omaggi ad Eisenstein (ma anche al Michael Powell di 'Scarpette rosse'), leggende nordiche e visionarietà sovietica per raccontare la storia dello scrittore di favole danese Hans Christian Andersen, trasformando San Pietroburgon in Copenhagen con uno sfoggio di scenografia, costumi e direzione fotografica eccezionali (ed eccezionalmente costosi). Sfiorando spesso il kitch ed il grottesco (come del resto fanno molte favole nordiche), diretto da un regista che ha spesso usato il tema della fiaba nel suo lavoro, 'Andersen - Una vita senza amore' lascia disorientati, repelle e incanta in misura quasi uguale." (Paola Casella, Europa, 01/08/2008).
La vicenda prende l'avvio dalla visita che il piccolo Andersen, accompagnato dalla nonna, fa al nonno ricoverato in una specie di manicomio in riva al mare e qui avviene l'incontro con un vecchio, che si presenta come Dio, il quale gli preannuncia un grande futuro.
Da questo momento in poi si assiste ad uno strano biopic nel quale scene di vita infantile, adolescente e adulta del protagonista si alternano e si mescolano in una sciarada dai colori sontuosi e nitidi, da regno dei balocchi, in cui le famose favole di Andersen si manifestano come chiave di lettura di episodi della sua vita reale: bellissima in tal senso la ricostruzione della favola Il guardiano di porci nei cui protagonisti Andersen adombra se stesso e, in una sorta di metaforica punizione, la famosa cantante lirica svedese Jenny Lind che non seppe o non volle mai accettare il suo amore.
O la surreale sequenza in cui Andersen adulto inscena un balletto con la propria ombra, che ha le fattezze di Andersen adolescente e si è macchiato della colpa di sedurre la nobildonna russa alla quale presta il vostro sempre la bellissima Jenny Lind.
Tutto sommato la figura di Andersen non esce bene da questa prova: a sua discolpa si possono addurre senza dubbio le grandi difficoltà e i grandi patimenti sopportati,
ma ci viene mostrato come un povero lacché alla merce di uomini potenti e un individuo aggrappato al perbenismo al punto di abbandonare la madre alcolizzata e rinnegare la sorella che si è data alla prostituzione.
Eppure non si riesce a trovarlo odioso, si parteggia per lui e lo si capisce, forse anche per la crudezza di molte scene.
Una per tutte, quella dell'esibizione canora: la nonna conduce con sé il nipote adolescente nel tentativo di fargli avere un lavoro presso una manifattura di tabacco e qui vanta l'ugola d'oro e la voce da usignolo del ragazzo, il quale non esita ad esibirsi. In apparenza la scena si stempera nell'idillio, il pubblico abbrutito di uomini rozzi, ragazzetti volgari e donne sfatte sembra sciogliersi di commozione alla melodiosa esibizione del ragazzo, ma l'illusione dura poco. La crudeltà della vita quotidiana irrompe con brutalità nella selvaggia scena dell'aggressione al giovane Andersen, insultato come omosessuale e spogliato.
In tutto il film, come sottintende anche il titolo, vibra l'impossibilità di Andersen di avere rapporti con le donne, sia fisici (il fallito tentativo di seduzione da parte della moglie dell'odioso direttore della scuola e l'altrettanto fallimentare incontro con una prostituta) che spirituali (l'amore non corrisposto per Jenny Lind e l'incapacità di accettare quello appassionato e fedele negli anni di Henrietta Wulf).
Scorre così sullo schermo tutta la vita dello scrittore Christian Andersen, sicuramente non a tutti nota, una vita all'insegna della lotta di chi è diverso e vuole farsi essere accettato come tale. Dalle difficoltà di un'infanzia povera all'emarginazione della scuola in cui si trova già adolescente, alla mercè del perfido direttore e degli altrettanto perfidi scolari, lui che quasi non sa né leggere né scrivere, ma è conscio dell'immenso tesoro che possiede dentro di sé, sino al successo e ai fasti di corte, per arrivare alla sua morte, dopo i riconoscimenti e gli elogi che tutta Europa gli ha tributato. Bizzarra anche la sequenza del funerale, con il vecchio Andersen che si gode la scena della disperazione, o più o meno sincera, di chi partecipa alla celebrazione.
La bella favola del brutto anatroccolo fatta realtà.
5 commenti:
Annarita, volevo trovare anche altre immagini, e sono ricorso all'arma segreta (che tale più non è...), a cui ricorro soprattutto per i film russi: entrare in Google col titolo in cirillico, in questo caso così: Андерсен. Жизнь без любви.
Ha funzionato, scavando si trovano molte immagini belle e curiose. Ma come vedi ho modificato poco rispetto al tuo post, perché hai molto bene integrato immagini e testo, che è la cosa migliore, perché di copiatori di immagini (fanno bene a copiare!) ne trovi millanta che tutta notte canta, ma per integrare immagini e testo occorrono due condizioni non facili: aver visto il film con molta attenzione ed avere la disponibilità di immagini fra cui scegliere, perché se hai quelle tre, quelle tre metti. Impariamo ogni giorno qualcosa, è divertente.
grazie Annarita e saludos
Solimano
Non so perché, ma non riesco a far coincidere la mia immagine di Andersen con questi volti di attori. Forse perché Andersen mi si sovrappone sempre con le foto di Jacques Offenbach, che come musicista era brillante e molto divertente, e nelle foto sembra un fantasma triste...
Ripensando alle fiabe lette da bambino, ricordo che mi facevano molta impressione queste di Andersen e quelle dei Grimm, perché sono piene di particolari molto macabri e raccapriccianti (più i Grimm di Andersen, va detto).
Per esempio, la storia del soldatino di stagno e della ballerina è bellissima, ma la consegnerei subito a Roby per la sua serie "Un finale diverso per...".
Cara Annarita, sicuramente questo è un Andersen fuori dagli schemi classici! Sbaglio, o negli anni '50 era stato interpretato sullo schermo da Danny Kaye? E' lui che canta Splendida splendida Copenhagen?
Caro Giuliano, anche "La piccola fiammiferaia" non è forse una storia di horror puro, al cui confronto i mostri giapponesi somigliano a teneri gattini???? Magari esagero: ma l'immagine di quella bambina che muore affamata e assiderata, circondata da gente ricca e felice che nemmeno la vede, ha popolato spesso le mie fantasie infantili!
Se permetti, inserirei anche lei nella serie dei finali alternativi...
Roby
Grazie per l'ospitalità, come sempre. Caro Solimanso, stavolta ho trovato proprio le immagini che volevo, o almeno quasi tutte. Caro Giuliano, io invece ho trovato gli attori molto calzanti, forse perché non avevo un immagine precisa, a parte le solite fotografie. Con cordo con te e con la cara Roby, la maggior parte delle favole sono tremende, è quaetsa però la loro funzione: permettere al bambino di elaborare la paura attraverso l'immaginazione. Le favole di Andersen poi sono nate dalla sua dolorosa esperienza personale e assumono per questo un valore in più. Bacioni :-)
Grazie a te Annarita, ed alla prossima. Concordo con ciò che dici sulla funzione delle favole, che permettono ai bambini di elaborare la paura attraverso l'immaginazione. Bambini siamo anche noi, per sempre; guai a chi rimuove da sé il bambino che è stato. E quindi abbiamo anche noi bisogno di favole di ogni tipo: è soprattutto il cinema che ce le ha date nel Novecento, per questo il nostro coinvolgimento in alcuni film è così totale.
Riguardo come fosse veramente Andersen (o come fossero Tostoij e Beethoven) ho comprato definitivamente le parole di Laborit: "E' l'opera che vive di una vita che non inveccchia". Non sono parole di banalità laudatoria: l'Autore non c'è più, e quando c'era aveva certamente dei limiti e delle colpe. Noi per il momento ci siamo. In mezzo sta l'opera, con una sua centralità ed una sua vita che prescinde dall'Autore e da noi (con i nostri limiti e le nostre colpe). Questa è la grande magia inconsapevole: i cosiddetti classici hanno la durata di una vita che non invecchia.
saludos
Solimano
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