Solimano
Di fronte ad un film come Tutti a casa non so se prevale la contentezza o il dispiacere.
Contentezza per l'importanza del tema, che inutilmente si cercava -e si cerca- di rimuovere, l'8 settembre.
Dispiacere perché il film non la dice tutta, procede un po' con il freno a mano tirato.
Nel rapporto con certe date c'è tutta la storia civile -e incivile- del nostro paese. Faccio alcuni esempi.
Primo maggio. Alcuni non sanno che la festa del primo maggio è nata negli Stati Uniti nel 1886 e credono che sia un residuo paleocomunista. Durante il fascismo, il primo maggio non si festeggiava e si cercò di sostituirlo con il 21 aprile, il Natale di Roma, chiamandola Festa del lavoro italiano. Ci fu successivamente un'altra operazione più sottile, ma che sento molto fastidiosa: nel 1955 il papa Pio XII istitui la Festa di San Giuseppe Artigiano e ne fissò la data al primo maggio. Si badi: artigiano, non lavoratore, non operaio. Ci trovo ipocrisia e indebita invasione di campo, una mancanza di rispetto verso chi la festa del primo maggio se l'era costruita nelle lotte, nelle tragedie, nelle difficoltà.
Venticinque aprile. E' la festa della Liberazione, quindi anche la festa della Resistenza, non viceversa. Anche qui ci vedo una appropriazione di tipo diverso.
Venti settembre. La breccia di Porta Pia. E' una festa che non esiste, esistono soltanto ancora in molte città delle vie XX settembre, ma di nomi del genere probabilmente non se ne danno più. State boni, ragazzi. Cercate di non ricordare che per più di cinquant'anni, dopo il venti settembre, il Vaticano proibì ai cattolici qualsiasi attività politica, con il famoso non expedit. Di questo non parla nessuno. Ogni tanto si parla di Galileo e Giordano Bruno dicendo che sì, sono stati commessi degli errori, ma tutto sommato quei due se l'erano andata a cercare.
Quattro novembre. Per fortuna, questa festa è vicina alla festa dei morti. Così si evita di festeggiare e magari si pensa alla inutile strage della prima guerra mondiale, che si poteva evitare e che è stata la prima grande tragedia del novecento, da cui tutte le altre tragedie sono scaturite quasi matematicamente. In compenso, l'Italia è piena di monumenti alla Vittoria ed ai Caduti, in genere contadini che la guerra non la volevano proprio e che furono mandati a morire a centinaia di migliaia contro le mitragliatrici.
Di date ce ne sarebbero altre ma mi fermo qui. Istituirei il giorno di riflessione fissandolo all'8 settembre, perché in quel giorno vennero in chiaro tutti i secolari mali italiani, solo verniciati dalla retorica del ventennio. Ma la retorica è l'eterna scappatoia, e dell'8 settembre si cerca accuratamente di non parlare, per evitare di farci i conti nel qui e ora.
Beh, Comencini riuscì a fare un bel film, proprio la presenza di Serge Reggiani aggiunse serietà. Me li vedo, come sarebbero stati i siparietti fra Sordi e Manfredi.
I tedeschi compaiono come il male assoluto. Anche su questo non sono d'accordo. Il problema dell'8 settembre non fu che i tedeschi reagissero (non ci si poteva aspettare altro), ma che si trovassero di fronte allo sbandamento generale, ad un paese che collassò su se stesso, soprattutto l'esercito. Dopo la Liberazione ci sarebbe dovuta essere la corte marziale per il Re e per Badoglio, altro che referendum fra repubblica e monarchia.
Naturalmente, i preti fanno bella figura: proteggono i fuggiaschi durante una funzione religiosa, occasione del siparietto di Alberto Sordi nascosto in un confessionale, a cui una vecchietta confessa i peccati attraverso la grata.
E' un film da vedere e rivedere, perché Comencini ha una sensibilità quasi unica nell'individuazione dei sentimenti e nel coglierli nei gesti più ancora che nelle parole. Quindi ammirazione, e tanta, perché non c'è un attimo di noia. Ma anche un giusto fastidio per il politicamente corretto in troppe direzioni: il Vaticano, l'inizio della Resistenza visto troppo moralisticamente, ma soprattutto un perdonismo verso i vizi italici che nell'8 settembre trovarono la prova del nove.
C'è sì, nel Capitano Passerini di Mario Feliciani la lucidità di chi per scampare ha dovuto subire l'onta di mettersi in borghese con vestiti d'accatto, ma che dall'esperienza trae la lucidità del capire che cosa si può fare (andare in montagna). Ma in Alberto Sordi, che recita in modo tecnicamente straordinario, vedi proprio lo stato d'animo, la coscienza morale che cambia a seconda del vestito che porta. A raccontare i nostri vizi, le nostre meschinità, riuscirono (anche se non sempre) Petri e Rosi, oltre al caso di Pontecorvo che fu una felice anomalia.
Più recentemente ci provò Bertolucci con risultati alterni ma indimenticabili (La strategia del ragno, Il conformista, Novecento) e di fronte alla verità dura di Bertolucci i giochi si scompigliarono: non erano film che fosse possibile farsi piacere se non si era d'accordo.