venerdì 30 gennaio 2009

La felicità porta fortuna

Happy-Go-Lucky Regia e sceneggiatura : Mike Leigh; fotografia: Dick Pope; montaggio: Jim Clark; musiche: Gary Yershon; interpreti: Sally Hawkins (Poppy), Alexis Zagerman (Zoe), Andrea Riseborough (Dawn), Eddie Marsan (Scott), Sinead Matthews (Alice); produzione: Thin Man Films; origine: Gran Bretagna 2008; durata: 118’ Rating IMDb: 7.3
Giulia
E’ possibile nel mondo in cui viviamo essere "happy-go-lucky", cioè una persona allegra e spensierata, che prende la vita come viene? E’ possibile imparare ad affrontare con serenità ed ironia la vita quotidiana, a sorridere alla gente, a godere di quello che si ha, anche delle piccole cose?
Per Poppy, la protagonista del film, che molto impropriamente in italiano è intitolato La felicità porta fortuna, si direbbe proprio di sì.
Poppy (soprannome di Pauline) è uno spirito libero, un personaggio come sospeso tra realtà e sogno, ma in realtà una persona molto vera. E’ una giovane maestra elementare e sembra conoscere o voler vedere solo il lato buono del mondo.
Espansiva, curiosa e innamorata della vita condivide la casa con l’amica del cuore, anche lei insegnante, in un piccolo appartamento nel nord di Londra.

Ama stare con le amiche con cui condivide buona parte della giornata, girando per le strade e per mercati, andando a feste o chiacchierando in casa.
Non è un'illusa, né un'idealista, in realtà tiene i piedi saldamente ancorati a terra, semplicemente affronta la vita quotidiana con un pizzico di ottimismo, con autoironia e spontaneità, non si lascia insomma toccare da quel pessimismo esistenziale che sembra caratterizzare la nostra epoca e al quale sembra quasi impossibile sottrarsi.
Poppy sorride, dunque, alla vita, a tutte le persone che incrocia e che sollecita a fare lo stesso. E, in effetti, la sua gioia di esistere diventa contagiosa per molti. Se qualcuno non le stringe la mano è pronta a dirgli “non sono mica infetta”. Se alle sue amiche viene la paura di non farcela, dice “vedrai che ci riusciremo”. Se la definiscono come “l'apologia del caos” non si offende.
Insomma è una persona solare, colorata, a volte un po' eccessiva, ma tutt'altro che superficiale, è talvolta magari un po’ irritante nel suo continuo anche se apparente non prendere nulla sul serio. Tuttavia, proprio la sua capacità di rapportarsi in maniera diretta ed empatica con le persone che la circondano fa sì che riesca a vedere oltre la loro apparenza e arrivare alle loro ferite, cercando di curarle. Parla molto, scherza per lo più, ma sa ascoltare e aiutare chi è in difficoltà. Soprattutto non scappa dai problemi, ma li guarda in faccia ed è come se li sfidasse.
Anche lei soffre come tanti di solitudine, ma non si lascia né abbattere né scoraggiare e l'accetta come una parte di sé da cui non si può scappare. L'unico antidoto: vivere e mettersi in gioco (nel senso letterale della parola).
La vedremo allora cimentarsi con la pedana elastica, prendere lezioni di flamenco, girare, andare a ballare in qualche locale e divertirsi.
Non è cieca di fronte ai problemi degli altri. Se ne sa far carico, con quell’ottimismo che la aiuta a infondere coraggio e ad andare a fondo. Così segue i bambini, riesce a conquistarli, è attenta ai loro problemi e sa farli parlare. Così li aiuta, perché dove gli altri vedono una porta chiusa lei sa trovare la chiave che può pian piano aprirla.
Se uno si aspetta da questo film una vera e propria trama ne rimarrà deluso, la cinepresa si limita a seguire la protagonista e attraverso lei ci fa scoprire un modo di vedere gli altri e la realtà che dovrebbe forse farci riflettere.
L'incipit del film inquadra già subito il personaggio: Poppy va allegramente in bici tra le strade del centro di Londra, facendo attenzione ai posti e ai luoghi che attraversa, sorridendo e salutando chi gli capita. Dopo aver legato la bici ad un'inferriata, visita un mercato di strada e poi entra in una libreria.

L'uomo che lavora lì non risponde alle sue chiacchiere allegre, perché lei non rinuncia, se ne va, ma prima di uscire gli dice “sembri un coniglio spaventato, non mordo mica: sorridi alla vita” ed esce senza comprare nulla.
Le rubano la bicicletta, ma la ragazza non si lascia andare ad alcun gesto di rabbia: "Mi dispiace solo non averle detto addio" e il suo commento. In fondo davvero che cosa serve prendersela? Tanto la bici non ritorna indietro. E' un accidenti della vita e questo lei lo sa, per questo non si lascia rubare anche il buonumore e tanto meno la serenità.
Continua la sua vita e con Zoe, anche lei insegnante in una scuola elementare, pensano a come far realizzare dai bambini delle loro classi delle maschere con delle teste di volatili. Sembrano prima divertirsi loro, perché anche il lavoro va affrontato con quella creatività e immaginazione che lo può rendere ogni giorno una sorpresa.
A scuola, Poppy insegna ai bambini la migrazione degli uccelli. Poi, loro dipingono le maschere che ha preparato e corrono nella classe con lei facendo finta di essere dei volatili.
Non ricompra la bici rubata, ma decide, invece, di imparare a guidare. Iniziano così le sue lezioni di guida con un insegnante burbero e senza il minimo senso dell’umorismo. Ma Poppy non si lascia intimidire e iniziano con lui duelli verbali veramente esilaranti.
Lo scontroso istruttore vorrebbe irreggimentare la sua allieva, a cominciare dagli stivali, non adatti ad una lezione di guida e a proposito dell’insegnamento le dice: “il compito dell’insegnante è istillare dei concetti giusti e sradicare quelli sbagliati e lo si fa usando il metodo della ripetizione, creando immagini chiare e distinte che possano imprimersi nella mente dell’allievo”… con questi presupposti e con un’allieva come Poppy, è naturale che ogni sforzo del maestro di guida risulterà vano, anzi sarà il suo mondo di certezze ad andare in frantumi. La rigidità dell’uomo porta Poppy a stuzzicarlo e a provocarlo causando in lui vere e proprie reazioni di isteria tipiche di chi è completamente privo di humor.
Il regista racconta in un’intervista che le lezioni di guida sono tutte vissute dal vivo e il dialogo è lasciato scorrere in modo spontaneo e spesso improvvisato. “E’ stato eccitante, pericoloso, terrificante, esilarante… - ha detto - Ero sempre seduto dietro e non sapevo se sforzarmi di non ridere o invece preoccuparmi della mia schiena”.

Esilaranti sono le scene alla scuola di flamenco con cui Poppy decide di cimentarsi: tutti seguono con serietà le lezioni della maestra e lei, anche questa volta, invece osserva con ironia tutta quella messa in scena come capita a chi non riesce a prendere né se stessa né l’umanità in genere troppo sul serio.
E il suo atteggiamento, un po’ dissacrante, fa da contrasto alla partecipazione emotiva della maestra che pronuncia in modo solenne queste parole “ricordate che questa danza viene dal dolore, dalla sofferenza. E' un ballo che viene dai Gitani , delle persone che sono state calpestate dalla società per secoli e secoli e dicono: abbiamo orgoglio, dignità, cuore, abbiamo il flamenco e ognuno di loro dice: questo è il mio spazio, il mio spazio…” e intanto batte con forza e determinazione il piede sul pavimento. Poi si lamenta con le allieve che non sentono la passione, il sangue, non si immedesima … racconta la sofferenza delle donne, le loro drammatiche storie fino a scoppiare a piangere. Ed è lì che Poppy non può che uscire chiedendole: “si sente bene?”. Dopo all’amica dirà “avrei voluta abbracciarla”, perché la sua empatia la unisce sempre a chi vede soffrire, pur nella consapevolezza che l’altra non avrebbe certo gradito il suo gesto.
Poppy è consapevole che tutto non è risolvibile con un sorriso o con una battuta. Sa che la realtà spesso è difficile da accettare, come quando incontra un barbone di notte e di fronte al quale misurerà la sua impotenza. Ma sa anche che non serve a nulla versare lacrime inutili che non portano da nessuna parte.

Alla fine si innamorerà e sarà ricambiata e il suo è un amore tenero, dolce.
Il film termina con lei e un'amica che remano sul laghetto, lo fanno con calma, con quella capacità che hanno certe donne di resistere, di intraprendere un cammino e andare fino in fondo. L'amica conversando con lei le dice “Non puoi rendere felici tutti” e lei candidamente risponde “sì, ma che male c’è a provarci, a portare il sorriso nel mondo”, ma non pronuncia in modo solenne questa frase come farebbero molti che sono convinti di avere la verità, in tasca lo dice accompagnandolo da un sorriso autoironico come di una che è pienamente consapevole che non può cambiare nulla, ma che neanche rattristandosi o arrabbiandosi il mondo migliorerà: tanto vale provare con la gentilezza ed il sorriso.
Remano così, come si rema nella vita: “Fammi sapere quando arriviamo” "Tranquilla te lo dico io(...) tu continua a remare e io continuo a sorridere”.
E noi dovremmo forse imparare un po' da lei, perchè dietro una persona allegra e solare non si nasconde sempre una persona superficiale, anzi...
Sally Hawkins è straordinaria. Per interpretare un personaggio del genere era indispensabile trovare un talento naturale e Mike Leigh conosce bene l'attrice che ha già lavorato con lui più volte, il ruolo, infatti, sembra ritagliato proprio sulla sua personalità, sulla sua esuberanza e l'attrice sa rapire l'attenzione dal primo all'ultimo secondo.
l film si è aggiudicato l'acclamazione internazionale vincendo diversi premi, tra cui l'Orso d'Argento per la migliore attrice a Sally Hawkins, qui alla sua terza collaborazione con il regista, e il Golden Globe 2009 nella categoria miglior attrice in un film commedia sempre alla protagonista.

3 commenti:

Solimano ha detto...

Benvenuta Giulia, è il tuo primo film come guest e sono sicuro che ne seguiranno altri, tuoi e di altre persone.
Questo film non l'ho ancora visto, ma certamente lo vedrò perché è di Mike Leigh, di cui apprezzo alcuni film ed in particolare uno dei film più belli e importanti degli anni Novanta: Segreti e bugie un film profondamente moralico, cioè morale di fatti, non di facciata, cioè moralista.
Due considerazioni.
Persone del genere, come la protagonista, esistono per fortuna veramente nella vita reale. Ho notato che spesso infastidiscono chi non è come loro, perché si sentono nudi, scoperti, di fronte alla gioia di essere vivi che loro non sanno nenche dove stia di casa e che cercano con tutte le scuse di non sperimentare. Danno fastidio perché li privano degli alibi, delle pezze giustificative. L'ho notato spesso, mi chiedevo il perché, poi me ne sono accorto: è proprio la gioia che li infastidisce, non la gioa-concetto, ma la gioia-fatto.
Poi c'è il rapporto che queste persone riescono a stabilire col dolore, il dolore vero, non quello che si indossa come alibi dei propri fallimenti, ma quello esperito da persone, lutti, eventi, malattie. Queste persone accettano il dolore, se si presenta (e si presenta), ma non diventano tristi per questo, pur soffrendo.
Io sostengo che a volte proprio l'esperienza del dolore vero, accettato e superato, può essere quella che permette di uscire dai consueti e diffusissimi schemi di sofferenza autoprodotta, che anche in rete folleggiano. Gente che crede di essere chiusa in cantina, ma la porta è lì, non chiusa a chiave, basta spingerla. Ma troveranno tutte le scuse per non farlo, perché la tristezza è comoda e la gioia impegnativa.

grazie Giulia e saludos
Solimano

annarita ha detto...

Anche a me questo film è piaciuto. C'era il rischio di scivolare nel ridicolo mettendo in scena per tutto il film un personaggio come Poppy, ma Mike Leigh e Sally Hawkins sono riusciti a dare credibilità ed equilibrio a una storia che avrebbe potuto incrinarsi e colare a picco facilmente in qualsiasi momento. Credo che nella realtà, come nel film, sarebbe difficile per molte persone non perdere la pazienza o non irritarsi davanti ad un personaggio singolare come Poppy, perché sono personalità che ci spiazzano con il loro comportamento e ci mettono di fronte ai nostri limiti. Sono pienamente d'accordo, se affrontassimo sempre i problemi con un pizzico d'ironia e soprattutto con il sorriso sulle labbra, forse tante cose andrebbero meglio. A volte però è troppo faticoso, come dice giustamente Solimano, e preferiamo barricarci nel nostro guscio di autocommiserazione. Ben vengano perciò iniezioni di sano ottimismo come queste. Salutissimi, Annarita.

giulia ha detto...

Solimano e Annarita devo dire che all'inizio, guardando il film. ero un po' perplessa. Forse cercavo una trama, una storia, non so... Ma poi, man mano che procedeva è stato davvero il personaggio a prendermi. La scena del flamenco l'ho trovata personalemente molto bella, perchè mi sono ritrovata. Anch'io spesso in situazioni analoghe non riesco mai a essere sempre seria, mentre intorno a me tutti sono molto compresi. Non è che non do importanza a quel che sto facendo, ma a volte è più forte di me, vedo il lato buffo di certe situazioni.
Po davvero viene da pensare: perchè dobbiamo essere così lugubri, a volte un sorriso, una battuta ti aiutano a vivere meglio.
Il volto della sofferenza non è unico, anzi a volte è più dietro a gente che non lo dà a vedere che non dietro quella maschera che lo esibisce...Concordo in tutto e per tutto con te Solimano su questo.
E sono d'accordo con questa tendenza di cui parli tu, Annarita, di chiuderci in questo guiscio di autocommiserazione.
Ho visto anch'io Segreti e bugie e mi è piaciuto molto.
Grazie
Cari saluti,
Giulia