di fronte al palazzo dove ha abitato per anni
Umberto D. di Vittorio De Sica (1952) Storia e sceneggiatura di Cesare Zavattini e Vittorio De Sica Con Carlo Battisti (Umberto Domenico Ferrari), Maria Pia Casilio (Maria, la servetta), Lina Gennari (Antonia, la padrona di casa), Ileana Simova ( La donna nella camera di Umberto), Elena Rea (La suora all' ospedale), Memmo Carotenuto (Il degente all' ospedale), Alberto Albani Barbieri (L'amico di Antonia) Fotografia: Aldo Graziati Musica: Alessandro Cicognini (89 minuti) Rating IMDb: 8.3
Solimano
La degenza di Umberto Domenico Ferrari (Carlo Battisti) all'ospedale dura solo pochi giorni, meno di quello che lui desideri. Ha il tempo di fare una piccola amicizia con un degente (Memmo Carotenuto) più attento di Umberto a procacciarsi la benevolenza della suora (Elena Rea) che in un certo modo fa alto e basso sulla durata della degenza dei malati.
Ecco Umberto all'uscita dell'ospedale, un grande edificio nel centro di Roma, credo sempre attorno alla zona Piazza del Popolo - Via del Corso - Piazza dei santi Apostoli - Ripetta - Pantheon - Santa Maria sopra Minerva. Mentre cammina per Roma, Umberto, visto a distanza, ha sempre l'aria dignitosa, anche quando ha con sé la valigia.
Il dramma di Umberto appare chiaro quando viene ripreso da vicino, in quei colloqui in cui cerca di tenersi su, ma l'obiettivo è chiaro a noi, come è immediatamente chiaro ai suoi interlocutori: procacciarsi del denaro, perché non sa come fare a tirare avanti. La lotta per difendere lo status che ha sempre mantenuto durante la sua vita rende amarissimo il dramma. Con lucida e commossa crudeltà, Vittorio De Sica inserisce tocchi di doloroso e ridicolo grottesco.
L'unica persona (a parte Flaik) che interessi veramente Umberto è la servetta Maria (Maria Pia Casilio). Qui Umberto, senza farsi vedere, guarda Maria che sta parlando con uno dei due militari che frequenta. Il militare, quando sente che Maria è incinta, la tratta male e si allontana, e la ragazza scoppia a piangere nella piazza in cui c'è un piccolo mercato, un'occasione per mostrare un altro aspetto di Roma.
Questo luogo di Roma è facilmente identificabile. Si tratta della Piazza di Santa Maria sopra Minerva, che ha in mezzo l'Obelisco della Minerva (detto Pulcin della Minerva). Di obelischi a Roma ce ne sono altri, questo ha la particolarità di poggiare su una statua d'elefante. L'architettura e il disegno sono di Gian Lorenzo Bernini, la statua dell'elefante fu eseguita nel 1667 dal suo allievo Ercole Ferrara. L'iscrizione sul basamento è questa: "Sapientis Aegypti/ insculptas obelisco figuras/ ab elephanto/ belluarum fortissima/ gestari quisquis hic vides/ documentum intellige/ robustae mentis esse/ solidam sapientiam sustinere." Molto più sapido l'epigramma di Monsignor Sergardi: "Vertit terga Elephas, versaque proboscide clamat: Kiriaci fratres hic ego vos habeo". Lo scherno è rivolto ai frati a cui l'elefante volge il deretano. (Informazioni tratte da Wikipedia).
Nella piazza Umberto incontra un collega di lavoro che lo saluta amichevolmente, ma appena Umberto comincia a raccontargli i suoi guai, capisce e si sottrae.
Al Pantheon, Umberto prova chiedere l'elemosina, tende la mano, ma, guardando la sua mano protesa, non ci riesce e la tira indietro. Manda avanti Flaik col cappello in bocca, ma arriva un altro collega di lavoro del Ministero dei Lavori Pubblici (più che un collega è un superiore gerarchico) e Umberto impastocchia la balla poco credibile che Flaik sta giocando.
Il collega deve prendere una corriera che è in partenza lì vicino. Umberto l'accompagna. Il colloquio è imbarazzante: Umberto in un certo modo si appiccica, il collega non sa cosa dirgli, finché, al momento della partenza della corriera, gli chiede: "Secondo lei, ci sarà la guerra?". Umberto non sa cosa rispondere, la guerra quotidiana lui ce l'ha in casa.
Umberto ha deciso. Fa la la valigia e se ne va, naturalmente portando con sé Flaik. La stanza in cui ha vissuto per anni non è più sua, i muratori ci stanno lavorando. Si dirige verso la fermata del tram, guarda per l'ultima volta il palazzo di via San Martino della Battaglia n.14. Alla finestra c'è Maria che lo guarda andar via. Poi sale sul tram, l'autista gli fa qualche storia per il cane ma poi lascia perdere. Mentre il tram viaggia, si vedono una serie di palazzi anonimi molto simili fra loro.
Quello che succede dopo lo sappiamo: la squallida pensione per cani, Umberto che attende il treno con Flaik in braccio, il cane che capisce e fugge... preferisco chiudere con l'immagine dei magnifici pini del giardino pubblico di Roma in cui Umberto è riuscito a convincere ancora Flaik a giocare con lui.
4 commenti:
Mi sono divertita molto a gettare uno sguardo su questa Roma insolitamente spopolata. Vedere il Pantheon così è un sogno irrealizzabile, oramai. Venerdì ho avuto il piacere di vedere il Colosseo sotto la neve, bellissimo! Le tue viste speciali sono sempre una scoperta. Salutissimi, Annarita
Annarita, in questi due post su un personaggio importantissimo del film "Umberto D." (la città di Roma), l'unica cosa che mi dispiace è non aver potuto personalizzare le singole immagini a un livello di maggior dettaglio: l'ho fatto col Pantheon, con Piazza del Popolo, con L'Obelisco della Minerva, un po' con Piazza dei santi Apostoli. Ma ho fiducia che prima o poi qualche romano de Roma mi dia indicazioni utili, ad esempio per l'ospedale, per la caserma, per il giardino e per alcune strade.
Ma con "Umberto D.", su cui ho scritto tre post, non ho ancora finito: ho in mente almeno altri tre post! Uno dei più grandi film della storia del cinema, tragico, non malinconico, e in diversi momenti persino comico-grottesco. Per chi non l'avesse mai visto: è un film che non annoia! Tanto per essere chiaro che più chiaro non si può.
grazie Annarita e saluti
Solimano
un film assolutamente meraviglioso.
che nostalgia!
Ciao peppe barbera!
Una mia amica dice che la qualità inimitabile di Vittorio De Sica, sia come attore che come regista, è una grazia inimitabile.
Qui, in "Umberto D.", c'è una grazia crudele e commossa. Ho scritto tre post, penso che ne scriverò altri tre, di cui uno in particolare su come De Sica riesce, anche nel massimo suo film tragico, ad utilizzare i tasti del ridicolo, del sorriso, del grottesco, senza diminuire di una virgola la tragedia di Umberto D. Se ti capita, cerca di vedere i primissimi film di De Sica come attore: "Gli uomini che mascalzoni", "Il signor Max". Da mandare a nascondersi Cary Grant e James Stewart!
grazie peppe, a presto
Solimano
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