sabato 4 agosto 2007

Thelma & Louise

Thelma & Louise di Ridley Scott (1991) Sceneggiatura di Callie Khouri Con Susan Sarandon, Geena Davis, Harvey Keitel, Michael Madsen, Christopher McDonald, Brad Pitt Musica: Hans Zimmer, Van Morrison, Toni Child, Paul Kennedy, Charlie Sexton, John Hiatt, Glenn Sutton, Glen Frey, The Temptations, Holly Knight, Michael McDonald, Johnny Nash Fotografia: Adrian Biddle (129 minuti) Rating IMDb: 7.3
Solimano
La storia che Thelma & Louise sia un road movie è al tempo stesso vera e falsa. Suddividere i film per generi è una pedante attività classificatoria, ed è la dimostrazione che non è ancora concezione comune che il cinema non è solo intrattenimento, ma molto di più.
Faccio un esempio. Sappiamo perché i libri gialli si chiamano così: un editore metteva la copertina gialla ad un certo genere di libri, e il colore divenne il nome del genere. Ma possiamo dire che Simenon o Le Carré sono scrittori di libri gialli? A questo punto finiremmo come nel racconto di Thurber: una consumatrice di libri gialli, legge per caso il Macbeth di Shakespeare e cerca di individuare il vero assassino.
Difatti, è esemplare quello che succede in IMDb, che mantiene i generi, ma per Thelma & Louise è costretto a scrivere: Action, Adventure, Comedy, Crime, Drama, Thriller... e la lista non finisce qui. Mi trovo più a mio agio con le nostre viste logiche, che permettono associazioni più feconde, per cui Thelma & Louise è per certi versi vicinissimo a Mulholland Drive, per altri a Il sorpasso (1962), eh sì, che fu fatto ben prima di Easy Rider (1969).
I temi per me essenziali sono la fuga, l'immaginario, la gioia di vivere, l'autorealizzazione. Che poi un film così non abbia il lieto fine lo si capisce nei primi dieci minuti. Ma siamo sicuri, che non ce l'abbia?
La fuga. Laborit sostiene che le vie possibili di fuga sono quattro: la follia, il suicidio, la droga e la creatività. Dell'ultima, l'unica desiderabile, si parla poco e male, un po' perché a tanti fa comodo la cantina fredda e umida o la soffitta arida e calda (di cui regolarmente si lagnano). Creatività è uscirne, accorgendosi che basta spingere la porta e il palazzo è tutto nostro. Quello che succede a Thelma e Louise in quei giorni è che, costrette alla fuga, innescano una creatività che era latente in loro e che ora possono manifestare, e di questo sono felici. La creatività non è un nice to have, vuol dire immaginario, gioia di vivere, autorealizzazione. Noi sappiamo che non ci sarà lieto fine, ma seguiamo incantati le prodezze delle due donne, che così reagiscono alla costrizione degli eventi. Sbagliano, e imparano dagli errori, non danno più niente per scontato.
Un mio amico sostiene che cerca sempre di fare delle cose in cui avere il vento in faccia, difatti fa jogging, barca a vela, va in motocicletta. Lo fa con naturale coerenza, non pianificandosi, ognuno ha la sua via di avere il vento in faccia, lo si riceve anche dalla musica, da un libro, da un film, da una conversazione vis-à-vis o via e-mail. Da un amore. Dentro ce l'abbiamo tutti questa pulsione al vento in faccia, magari negata, rimossa, ma sboccia naturalmente in noi a vedere quelle due che corrono - col vento in faccia - sulla fatale Thunderbird. E' come nel finale de Il mucchio selvaggio, quando i quattro, che hanno salvato la pelle e i soldi, senza neanche parlarsi sanno che non gliela si può far passare, a Mapachi, e vanno verso l'inevitabile conclusione. L'happy end non è obbligatorio nella vita, anzi, ho sempre sospettato che l'avessero inventato perchè dopo l'happy non c'è più niente da raccontare, quindi ci vuole l'end. Quando si vede per la prima volta questo film, scatta quasi subito la nostra identificazione con le due protagoniste, identificazione ottenuta - si badi - non con le consuete e furbesche carinerie tradizionali ad Hollywood, ma perché ci sentiamo accresciuti nella nostra naturale - ma spesso rimossa - capacità di accorgerci che il mondo non è quello che è, può essere altro, il che significa poter scendere o salire le scale di quel benedetto condominio che non abbiamo mai ben conosciuto. Il problema di Thelma e Louise è anche il nostro: che fare di fronte a costrizioni che possono divenire intollerabili.
Ma rassicuriamoci, perché la Thunderbird è rimasta lì, sospesa nell'aria come il calabrone che non si sa come faccia a volare eppure vola. E so che Susan Sarandon e Geena Davis non si sono fatte niente e godono entrambe di buona salute, specie dopo un film come questo, che le farà ricordare per decenni. Qui c'è un mito fecondo, che corrisponde perfettamente (e credo consapevolmente), a quello che diceva il vecchio Jung: vediamolo, il sistema delle cassettine, e ci accorgeremo che si può uscirne.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

In "Thelma e Louise", ad un certo punto, quando ormai una possibilità di ritorno non c'è (beh, in verità non c' era mai stata fin dall' inizio del viaggio...) il paesaggio da desertico si fa infernale. Ho in mente certe inquadrature della Thunderbird ad altezza dell' asfalto nerissimo, con un chiaroscuro molto netto, e le lunghe ombre tracciate dai picchi del canyon, e la polvere sollevata dall' auto...

P.s.- "Mulholland Drive" è una delle mie più tremende ossessioni... ;-) E il post che a suo tempo avevi dedicato a questo superbo film di Lynch mi aveva favorevolmente impressionato!Complimenti! Buona domenica, Oyrad

Solimano ha detto...

Oyrad, fai bene a citare Mulholland Drive di Lynch, perché Lynch, fra tante differenze, ha in comune un talento con Ridley Scott: quello di fare esprimere le cose (da un paesaggio a un oggetto) e di farle diventare nostro sentimento, pensiero, intuizione. Che è ben altra cosa rispetto a certi manierismi visivi di cui sono buoni tutti, quando non sanno cosa dire.

saludos e grazie
Solimano