La strada, di Federico Fellini (1954) Sceneggiatura di Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli Con Anthony Quinn, Giulietta Masina, Richard Basehart, Aldo Silvani, Marcella Rovere, Livia Venturini, Gustavo Giorgi, Yami Kamadeva, Mario Passante, Anna Primula Musica: Nino Rota Fotografia: Otello Martelli, Carlo Carlini (108 minuti) Rating IMDb: 8.1
Silvia del blog Passaggi casuali su Stanze all'aria
La strada è un film la cui naturale proiezione sarebbe dentro una palla di vetro in cui, una volta capovolta, magicamente, da un improbabile cielo cade una fitta neve. Anche se è agosto.
Come in un sogno.
Tra brutalità e poesia, fisicità e pensiero, due anime contrapposte, legate da una vita in comune priva di gentilezze, Zampanò la concretezza, Gelsomina il sentimento, sono talmente rappresentativi da ergersi a simboli: il male e il bene.
Giulietta Masina, trentaquattrenne, tratteggia con estrema naturalezza, a volte un po’ maldestra, un personaggio incantato e incantevole, spaventato e indifeso da sembrare un cucciolo malgrado in alcuni fermo immagine trapeli un’espressione di donna così vissuta da trattenere in sé tutte le verità del mondo.
Sono momenti fugaci, quasi impercettibili che affiorano malgrado lo sguardo candido, come non dovessero appartenere a questo esserino privo di femminilità ma grazioso, spesso buffo che ricorda a tratti Marcellino o addirittura Pinocchio.
Il linguaggio onirico e grottesco che Fellini predilige nella narrazione, obbliga la moglie ad indossare una maschera clownesca, cosa che pare naturale alla brava Masina, per spogliarla così di ogni riferimento terreno e mantenerla in un limbo simbolico e universalmente riconoscibile.
Gli elementi circensi, tanto amati dal Maestro, sono già presenti in questo splendido film in cui Zampanò è il crudele Augusto, il capo avvolto da cieca ottusità e presunzione, e il Matto, “il filosofo”, il funambolo, il Grillo parlante, colui che saprà stare in equilibrio sulla corda tesa tra due mondi così diversi: terreno, pragmatico, pieno di bruta fisicità per Zampanò e quello altrettanto ingenuo, informe, spirituale e umano di Gelsomina.
Lei rappresenta la figura marginale un po' ridicola, già ha la faccia da carciofo, le dice il Matto, prendendola in giro, ma un po' è vero, truccata per far sorridere i bambini, col risultato che questo volto dai pomelli rossi e i capelli color polenta, risulta di una tristezza infinita.
E non può che essere così.
Venduta per diecimila lire dalla madre a questo saltimbanco gretto e primitivo, Gelsomina accetta di seguirlo in giro per un'Italia distrutta dalla guerra, su un improbabile carrozzone a tre ruote ricavato da un sidecar infestato di pulci, dove l'igiene e il docoro non sono di casa. Viene trattata come un animale, perfino percossa, ma nel suo intimo anela ad un riconoscimento del suo sentire che la elevi ad essere umano. Non cerca il lusso, non cerca il successo, sempre servile, sempre obbediente, riconoscente come un cane al padrone, ritorna a Zampanò, convinta che lui malgrado tutto le voglia bene e soprattutto che solo lei lo possa amare per quel che è. Lei lo guarda con gli occhi di chi vuole e sa guardare oltre o forse con l'igenuità dei matti o degli idealisti o di coloro che vogliono semplicemente essere amati e basta.
Colei che riesce a dimenticare le angustie della vita perdendosi in una tana di un grillo, o seguendo saltellante dei musici sghangerati, da sembrare Charlot, vuole capire qual' è lo scopo della sua vita.
Zampanò nemmeno se le pone certe domande. Lui sa tutto ciò che deve sapere, dalla tenuta di strada del suo sidecar, all'ampiezza del suo torace, dalla capacità di chiamare a raccolta il pubblico, alla tenuta della catena che deve spezzare con al potenza dei suoi muscoli.
Da questa forma d’amore impari e ingrata, da questo rapporto che non lascia spazio alla comprensione alcuna, scaturirà la tragedia con epilogo di dolore e solitudine.
E pentimento.
Sì perchè la morale alla fine c'è, e insegna che la verità non è solo ciò che si vede.
Lo capirà perfino il rozzo Zampanò, che una volta abbandonata Gelsomina al ciglio di una strada dimenticandosi di lei, condurrà però un'esistenza sempre più gretta e misera, fino a quando verrà a sapere che Gelsomina è morta e questo come per incanto spezzerà la pietra che gli attagnaglia il cuore donandogli un barlume di umanità.
Allora il pentimento, mai provato prima, mai riconosciuto, farà di Zampanò un uomo in lacrime e redento. Il bravissimo Quinn alzerà il volto al cielo, quasi avesse una rivelazione divina nel vedere per la prima volta il firmamento, prima di crollare in un pianto dirotto e sconsolato.
Criticato aspramente dalla sinistra di allora per la rappresentazione di una condizione femminile svilita e svilente e per lesa realtà la critica maggiore che viene mossa al Maestro è la mancanza di rispondenze storiche e geografiche che collochino la storia in una contesto reale. La caparbietà con la quale rimane ancorato ad una ricerca interiore troppo vincolata all'autobiografia, ad linguaggio esageratamente simbolico ed allegorico con cui racconta le sue paure e i suoi tormenti giovanili, regala sì un sogno, che non ha però alcun riscontro culturale e ideologico. Il male di cui viene accusato è la nostalgia che rappresenta in ogni pellicola, amata dal pubblico perchè si riconosce, ma che trasuda un'indulgenza e una leggerezza che stridono non poco con le splendide pellicole del neorealismo italiano. Tuttavia, contemporaneamente proprio questi "difetti" tracciano un nuovo percorso cinematografico, una nuova dimensione trascendente e rappresentativa perchè affondano nell'immaginario e nel ricordo collettivo proprio con la potenza di essere fuori dalla realtà . Raccontano così di ciò che avrebbe potuto essere, di ciò che sarebbe stato, di ciò che si ricorda sia stato, di ciò che si sarebbe desiderato che fosse.
Giulietta Anna Masina, laureata in lettere e filosofia cominciò a recitare in teatro all'età di 21 anni dove si esibì come ballerina, cantante, e attrice. E fu in radio che conobbe Fellini redattore umorista di una rivista satirica. Lo sposò il 30 ottobre del 1943. Reciterà in teatro fino al '51. Nel '46 comincia la sua carriera cinamatografica in Paisà di Rossellini, prosegue con Lattuada in Senza pietà, (Nastro d'Argento) col marito nel '50 in Luci del varietà (Nastro d'Argento) nel '51 nè Lo sceicco bianco, ma è nel '54 che raggiunge la notorietà a livello mondiale con il ruolo di Gelsomina nel film La strada.
Nel '57 raggiunge l'apice della carriera col ruolo interpretato in modo magistrale di Cabiria in Le notti di Cabiria. Anche questo ruolo le valse il Nastro d'Argento e premio come migliore attrice al Festival di Cannes dello stesso anno. Altro Nastro per Ginger e Fred del 1986 e il David di Donatello per Giulietta degli spiriti 1965/66.
Giulietta Masina è la rappresentazione vivente della grande donna in ombra al grande uomo. Non dotata di un fisico particolarmente prorompente si è ha sempre avuto la sensazione che se non avesse deciso di dedicarsi al marito avrebbe ottenuto molto di più dalla sua carriera cinematografica perchè era un'attrice di altissima sensibilità e con uno sguardo tutto particolare che io associo per peculiarità alla Magnani. Donne di grande temperamento anche se la Masina al contrario dell'amica è sempre apparsa mite e dolce, ma con una determinazione e una capacità di tener testa al volubile marito degna di un'imperatrice. Per questo ho ritenuto un bel gesto, quello del Maestro Fellini di dedicarle l'Oscar alla carriera, riconosciutogli nel 1993, che lei accettò, commossa.
P.S. Il film "La strada" di Federico Fellini fu molto amato. Il titolo non fu tradotto in nessun'altra lingua e la fantasia ingenua e vivace dei disegnatori si sbzzarrì nei manifesti. Inserisco qui sotto due esempi. (s)
lunedì 29 dicembre 2008
sabato 27 dicembre 2008
Un bacio appassionato
Ae Fond Kiss di Ken Loach (2004) Sceneggiatura di Paul Laverty Con Atta Yaqub, Eva Birthistle, Ahmad Riaz, Shamshad Akhtar, Shabana Akhtar Bakhsh, Ghizala Avan, David McKay, Raymond Mearns, Gary Lewis, Shy Ramsan, Emma Friel, Karen Fraser, John Yule, Ruth McGhie Musica: George Fenton Fotografia: Barry Ackroyd (104 minuti) Rating IMDb: 7.3
Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce
“Io sono io”, dice Tahara (Shabana Bakhsh), una ragazzina, all’inizio di Un bacio appassionato di Ken Loach e continua affermando di non essere né una pakistana né una musulmana, di essere invece una giovane donna, con un viso e questo corpo, unica e irripetibile, ed esige che la sua vita sia solo sua e che nessuno la definisca con degli stereotipi o decida per lei.
Tahara è figlia di pakistani e di fronte a un’intera scuola di Glasgow rivendica di essere vista per quello che lei è come persona.
La reazione di alcuni dei suoi compagni non è come lei vorrebbe che fosse: la insultano, le sputano addosso, le rinfacciano le sue origini, offendono la sua femminilità e il suo corpo. Tahara scappa e trova rifugio e difesa nella sua insegnante di musica di fronte a cui i ragazzi si ritirano in silenzio.
E’ lì che Casim, il fratello Tahara incontra e si innamora della professoressa, la bionda irlandese e cattolica Roisin (Eva Birthistle)
Da questo momento saranno anche loro a cercare se stessi, a lottare contro i pregiudizi e le loro reciproche culture chiuse una all’altra.
Per quanto si cerchi di andare al di là delle “appartenenze”, i conti si fanno sempre con la propria storia e la propria cultura, sia che questo rapporto sia di adesione, di conflitto o addirittura di rifiuto. Il conflitto è sì con il gruppo di appartenenza, ma è anche conflitto interiore: si oscilla tra il desiderio della propria autonomia che però apre porte sconosciute e senza garanzie e la sicurezza dei confini delle comunità abbarbicate a tradizioni ataviche in cui si è abituati a muoversi.
I genitori di Casim vivono in Occidente da quarant’anni ma non si sono mai integrati completamente. Costringono, così, se stessi e i loro figli a vivere nel recinto chiuso delle loro usanze, senza accettare alcun compromesso. Casim è destinato a sposare una cugina fatta venire apposta dal paese natio.
Vivono nella speranza di poter ricreare il loro pezzettino di Pakistan in un paese che li ha accolti ma che ha altre regole e altri sistemi di relazioni sociali. I figli però non sono nati in Pakistan e non l’hanno mai conosciuto, se non attraverso i racconti, sono nati in Occidente e cresciuti a contatto con ragazzi e stile di vita occidentali. Sono orgogliosi di essere musulmani, rispettano e osservano la loro religione ma sono anche cittadini europei, con uno sguardo più aperto a quello che il resto del mondo può offrire.
Roisin, insegnante di musica in una scuola cattolica, rischia di perdere il posto ricattata da un prete intransigente, il quale per controfirmare la sua assunzione in pianta stabile esige l'annullamento del suo precedente matrimonio, la conversione del fidanzato mussulmano, nuove nozze e l'assicurazione che gli eventuali figli saranno battezzati.
Casim tenta di ribellarsi ai suoi partendo con la donna amata per una vacanza clandestina in Spagna, ma viene tosto richiamato a casa dalla mamma: se manda a monte il fidanzamento già combinato, la sorella maggiore vedrà sfumare il matrimonio con un connazionale; e intanto la sorella piccola affronta il babbo che le ha proibito di accettare una borsa di studio all'università di Edinburgo.
Casim e Roisin si amano, e questo sentimento si dimostra forte e tenace anche se con alti e bassi.
Il conflitto allora diventa conflitto tra testa e cuore, tra libertà e tradizione, tra famiglia ed emancipazione.
Il regista dice in un’intervista che ha realizzato il film perché “negli anni sessanta in Scozia c'è stata una forte immigrazione di Pakistani; le seconde generazioni vivono in maniera molto contraddittoria, fra due culture, quella d'origine e quella acquisita, dentro e fuori la tradizione familiare. Questo crea situazioni non facili e un processo di integrazione razziale "a sbalzi”
“Abbiamo fatto delle anteprime per la comunità pakistana e il film è piaciuto, soprattutto ai più giovani che dicevano "Dovrebbero vederlo i nostri parenti, i nostri zii e le nostre zie per capire cosa dobbiamo sopportare!".
Gli anziani invece sono stati più critici, soprattutto per le scene intime fra i protagonisti.
Peccato che nel doppiaggio si perda la forza e l'originalità della lingua degli immigrati, che parlano un mix di panjabi, scozzese e dialetto di Glasgow”
Pellicola abbastanza diversa questa di Ken Loach. "Ae Fond Kiss" prende il titolo da una canzone del poeta dialettale scozzese Robert Burns che racconta di due amanti obbligati a separarsi, dopo un ultimo bacio appassionato.
E in effetti i due si uniscono, poi si lasciano e poi si riuniscono...
E' un film, rispetto ai precedenti di Loach, in cui la storia d'amore ha un ruolo centrale, in cui l'aspetto sentimentale prende decisamente il sopravvento rispetto all'analisi socio-politica, un film, a mio avviso, non del tutto riuscito ma godibile e tutto sommato interessante.
Gli spunti che la pellicola sono tanti, ma affrontati con un po’ di quella superficialità e quegli stereotipi che non ci si aspetta da Loach.
E a chi lo critica per il lieto fine risponde:
«la forza di un profondo sentimento, quello di un ragazzo musulmano e di una giovane cattolica sullo sfondo della città industriale scozzese di Glasgow, molto lacerata nelle sue comunità più integraliste inclusa quella cattolica, va contro qualsiasi pregiudizio: avvicina culture, annulla gli sradicamenti di chi cerca la propria identità nella differenza dell’ incontro e smaschera ogni bugia nascosta, spesso anche per interessi economici, nel privato come nel pubblico».
Loach non prende posizione, ma mostra allo spettatore la complessità della situazione e le ragioni del singolo, invitando a riflettere sul perché sono difese con tanto accanimento. In particolare quelle del padre di Casim, il quale, come immigrato, ribadisce ogni giorno la propria identità attraverso le uniche pratiche quotidiane possibili: la lingua, il punjabi, parlato da tutta la sua famiglia (e tristemente sparito nella versione doppiata italiana) e l'osservanza dei precetti religiosi.
Comunque il film svela quel «fondamentalismo» delle società sia religiose che laiche che possono rovinare la vita personale per il rispetto di precetti arcaici. Anche solo per questo Un bacio appassionato va visto, per capire che la chiusura è a doppia mandata e il pregiudizio divora gli uni come gli altri.
«In questo senso, il pakistano Casim e la determinata, ma vulnerabile Roisin, sono trasgressivi, rompono le tradizione, come fecero Romeo e Giulietta». «Entrambi lottano contro chi osteggia un futuro che i giovani vogliono autonomo nelle scelte sentimentali, libero da ogni coercitivo legame suggerito per rispetto alle tradizioni d’ origine».
Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce
“Io sono io”, dice Tahara (Shabana Bakhsh), una ragazzina, all’inizio di Un bacio appassionato di Ken Loach e continua affermando di non essere né una pakistana né una musulmana, di essere invece una giovane donna, con un viso e questo corpo, unica e irripetibile, ed esige che la sua vita sia solo sua e che nessuno la definisca con degli stereotipi o decida per lei.
Tahara è figlia di pakistani e di fronte a un’intera scuola di Glasgow rivendica di essere vista per quello che lei è come persona.
La reazione di alcuni dei suoi compagni non è come lei vorrebbe che fosse: la insultano, le sputano addosso, le rinfacciano le sue origini, offendono la sua femminilità e il suo corpo. Tahara scappa e trova rifugio e difesa nella sua insegnante di musica di fronte a cui i ragazzi si ritirano in silenzio.
E’ lì che Casim, il fratello Tahara incontra e si innamora della professoressa, la bionda irlandese e cattolica Roisin (Eva Birthistle)
Da questo momento saranno anche loro a cercare se stessi, a lottare contro i pregiudizi e le loro reciproche culture chiuse una all’altra.
Per quanto si cerchi di andare al di là delle “appartenenze”, i conti si fanno sempre con la propria storia e la propria cultura, sia che questo rapporto sia di adesione, di conflitto o addirittura di rifiuto. Il conflitto è sì con il gruppo di appartenenza, ma è anche conflitto interiore: si oscilla tra il desiderio della propria autonomia che però apre porte sconosciute e senza garanzie e la sicurezza dei confini delle comunità abbarbicate a tradizioni ataviche in cui si è abituati a muoversi.
I genitori di Casim vivono in Occidente da quarant’anni ma non si sono mai integrati completamente. Costringono, così, se stessi e i loro figli a vivere nel recinto chiuso delle loro usanze, senza accettare alcun compromesso. Casim è destinato a sposare una cugina fatta venire apposta dal paese natio.
Vivono nella speranza di poter ricreare il loro pezzettino di Pakistan in un paese che li ha accolti ma che ha altre regole e altri sistemi di relazioni sociali. I figli però non sono nati in Pakistan e non l’hanno mai conosciuto, se non attraverso i racconti, sono nati in Occidente e cresciuti a contatto con ragazzi e stile di vita occidentali. Sono orgogliosi di essere musulmani, rispettano e osservano la loro religione ma sono anche cittadini europei, con uno sguardo più aperto a quello che il resto del mondo può offrire.
Roisin, insegnante di musica in una scuola cattolica, rischia di perdere il posto ricattata da un prete intransigente, il quale per controfirmare la sua assunzione in pianta stabile esige l'annullamento del suo precedente matrimonio, la conversione del fidanzato mussulmano, nuove nozze e l'assicurazione che gli eventuali figli saranno battezzati.
Casim tenta di ribellarsi ai suoi partendo con la donna amata per una vacanza clandestina in Spagna, ma viene tosto richiamato a casa dalla mamma: se manda a monte il fidanzamento già combinato, la sorella maggiore vedrà sfumare il matrimonio con un connazionale; e intanto la sorella piccola affronta il babbo che le ha proibito di accettare una borsa di studio all'università di Edinburgo.
Casim e Roisin si amano, e questo sentimento si dimostra forte e tenace anche se con alti e bassi.
Il conflitto allora diventa conflitto tra testa e cuore, tra libertà e tradizione, tra famiglia ed emancipazione.
Il regista dice in un’intervista che ha realizzato il film perché “negli anni sessanta in Scozia c'è stata una forte immigrazione di Pakistani; le seconde generazioni vivono in maniera molto contraddittoria, fra due culture, quella d'origine e quella acquisita, dentro e fuori la tradizione familiare. Questo crea situazioni non facili e un processo di integrazione razziale "a sbalzi”
“Abbiamo fatto delle anteprime per la comunità pakistana e il film è piaciuto, soprattutto ai più giovani che dicevano "Dovrebbero vederlo i nostri parenti, i nostri zii e le nostre zie per capire cosa dobbiamo sopportare!".
Gli anziani invece sono stati più critici, soprattutto per le scene intime fra i protagonisti.
Peccato che nel doppiaggio si perda la forza e l'originalità della lingua degli immigrati, che parlano un mix di panjabi, scozzese e dialetto di Glasgow”
Pellicola abbastanza diversa questa di Ken Loach. "Ae Fond Kiss" prende il titolo da una canzone del poeta dialettale scozzese Robert Burns che racconta di due amanti obbligati a separarsi, dopo un ultimo bacio appassionato.
E in effetti i due si uniscono, poi si lasciano e poi si riuniscono...
E' un film, rispetto ai precedenti di Loach, in cui la storia d'amore ha un ruolo centrale, in cui l'aspetto sentimentale prende decisamente il sopravvento rispetto all'analisi socio-politica, un film, a mio avviso, non del tutto riuscito ma godibile e tutto sommato interessante.
Gli spunti che la pellicola sono tanti, ma affrontati con un po’ di quella superficialità e quegli stereotipi che non ci si aspetta da Loach.
E a chi lo critica per il lieto fine risponde:
«la forza di un profondo sentimento, quello di un ragazzo musulmano e di una giovane cattolica sullo sfondo della città industriale scozzese di Glasgow, molto lacerata nelle sue comunità più integraliste inclusa quella cattolica, va contro qualsiasi pregiudizio: avvicina culture, annulla gli sradicamenti di chi cerca la propria identità nella differenza dell’ incontro e smaschera ogni bugia nascosta, spesso anche per interessi economici, nel privato come nel pubblico».
Loach non prende posizione, ma mostra allo spettatore la complessità della situazione e le ragioni del singolo, invitando a riflettere sul perché sono difese con tanto accanimento. In particolare quelle del padre di Casim, il quale, come immigrato, ribadisce ogni giorno la propria identità attraverso le uniche pratiche quotidiane possibili: la lingua, il punjabi, parlato da tutta la sua famiglia (e tristemente sparito nella versione doppiata italiana) e l'osservanza dei precetti religiosi.
Comunque il film svela quel «fondamentalismo» delle società sia religiose che laiche che possono rovinare la vita personale per il rispetto di precetti arcaici. Anche solo per questo Un bacio appassionato va visto, per capire che la chiusura è a doppia mandata e il pregiudizio divora gli uni come gli altri.
«In questo senso, il pakistano Casim e la determinata, ma vulnerabile Roisin, sono trasgressivi, rompono le tradizione, come fecero Romeo e Giulietta». «Entrambi lottano contro chi osteggia un futuro che i giovani vogliono autonomo nelle scelte sentimentali, libero da ogni coercitivo legame suggerito per rispetto alle tradizioni d’ origine».
giovedì 25 dicembre 2008
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban
Harry Potter and the prisoner of Azkaban, di Alfonso Cuaròn (2004) Dal libro di J.K. Rowlings Con Daniel Radcliffe (Harry), Emma Watson (Hermione), Rupert Grint (Ron), Gary Oldman (Sirius Black), David Thewlis (prof. Lupin), Emma Thompson (prof. Sybil Trelawney), Julie Christie (madame Rosmerta), Maggie Smith (prof. Minerva McGonagall) Musica di John Williams Fotografia di Michael Seresin (141 minuti) Rating Imdb: 7,7
Roby
In una fredda sera di dicembre, nella comoda ma un po' anonima stanza di uno dei più confortevoli hotel di Trento, mia figlia ed io, al calduccio nei nostri lettini gemelli, abbiamo visto in TV questo film - terzo capitolo della saga del maghetto made in UK - divertendoci da morire. Non perchè l'opera sia un capolavoro, tutt'altro: anzi, forse proprio per questo... Il problema principale dei film appartenenti ad una "serie" è che -se non hai seguito attentamente tutti gli episodi fin dall'inizio- non puoi pretendere di capire fino in fondo quello che sta succedendo sullo schermo. Il tuo vicino, magari, si appassiona alla vicenda, andando in visibilio all'apparire di ogni personaggio: mentre tu, ignaro di chi diavolo sia quel ragazzino biondo dall'aria antipatica che si diverte a provocare l'eroe della storia, rimani lì a chiederti cosa mai ci sia tanto da ridere al riguardo.
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Per giunta, le avventure di Harry Potter sono contrassegnate da un'ambientazione, da situazioni e da un linguaggio davvero ostici per i non iniziati (dei quali confesso, non senza vergogna, di far parte). Già è stato complesso, per me, individuare chi siano i buoni e chi i cattivi. A parte Harry ed i suoi inseparabili amici Hermione e Ron, ai miei occhi potevano essere tutti quanti amici o nemici, benchè il cattivo più cattivo fosse chiaramente (?) indicato -anche nel cognome- come tal Sirius Black, e avesse la faccia del bravo Gary Oldman. Una schiera di ottimi attori, a dire il vero, prestano il volto ai personaggi di questa commercialmente assai astuta favola post-moderna: Maggie Smith è una compassata professoressa col cappello da strega, Emma Thompson una svagata insegnante di arti divinatorie, Julie Christie la tenutaria, se ho ben capito, di una locanda chiamata (dovete credermi sulla parola) Stamberga strillante...
Nel primo film della serie era presente anche Richard Harris nei panni di Albus Silente, decano del collegio per aspiranti maghi, una specie di incrocio tra Mr Chips (do you know Goodbye, Mr.Chips, con Peter O'Toole e Petula Clark?) e il Merlino di Walt Disney. Mancato Harris, la parte è stata affidata a Michael Gambon, che lo ricorda molto da vicino. A proposito, nella versione originale il suo nome è Albus Dumbledore, ossia bombo, scelto dall'autrice perchè rendeva bene l'idea di un mago "sempre in movimento". E questo è solo un esempio di come molto del fascino della storia (ammesso che essa ne abbia alcuno) possa parzialmente perdersi nella traduzione - o interpretazione- italiana.
Se a questo punto vi aspettate che vi racconti la trama, potete mettervi l'anima in pace: non posso farlo, semplicemente perchè non ci ho capito un'acca (un'Azkaban, potrei dire, se volessi permettermi una facile battuta). Che razza di filo logico si può trovare in una storia di cui non conosci l'antefatto, nella quale non capisci il lessico usato dagli interpreti e dove continuamente appaiono e scompaiono spaventevoli figure nere (i dissennatori) che si librano in aria tentando di risucchiare il soffio vitale dei personaggi principali???
Se a questo punto vi aspettate che vi racconti la trama, potete mettervi l'anima in pace: non posso farlo, semplicemente perchè non ci ho capito un'acca (un'Azkaban, potrei dire, se volessi permettermi una facile battuta). Che razza di filo logico si può trovare in una storia di cui non conosci l'antefatto, nella quale non capisci il lessico usato dagli interpreti e dove continuamente appaiono e scompaiono spaventevoli figure nere (i dissennatori) che si librano in aria tentando di risucchiare il soffio vitale dei personaggi principali???
Notate bene che questo dovrebbe essere un film per bambini, o perlomeno ragazzini... Se lo avessi visto al cinema, a 9 o 10 anni, avrei sicuramente sofferto d'insonnia fino all'inizio delle superiori: i minorenni di mezzo mondo, invece, paiono gradire moltissimo le cupe atmosfere, le nebbie piene di sinistri fruscii e le apparizioni spettrali nella notte che infarciscono la pellicola. Del resto, le fiabe gotiche e truculente dei fratelli Grimm - con pargoli ingrassati come maialini da streghe cannibale e fattucchiere a loro volta cotte in forno da bambini furbetti - sono indubbiamente servite da ispirazione alla Rowlings, che ne ha fatto spudoratamente man bassa.
Ma vi dicevo, all'inizio, del mio divertimento: il fatto di non raccapezzarmi minimamente nella storia, infatti, non mi ha impedito di ridere spesso di gusto e di interessarmi (col dovuto, signorile distacco) alle peripezie del giovane apprendista mago e della sua accolita di compagni di scuola.
Ma vi dicevo, all'inizio, del mio divertimento: il fatto di non raccapezzarmi minimamente nella storia, infatti, non mi ha impedito di ridere spesso di gusto e di interessarmi (col dovuto, signorile distacco) alle peripezie del giovane apprendista mago e della sua accolita di compagni di scuola.
Non saprei farvi il riassunto, neppure concentrandomi al massimo: per questo dovete rivolgervi a qualche accanito lettore dell'intera saga, al quale il compito apparirà senz'altro di una facilità irrisoria. Un po' come se mi chiedeste di illustrarvi le problematiche di Star Trek nel suo passaggio dal piccolo al grande schermo... o il motivo del terrore di Indiana Jones per i serpenti... Semplice per gli appassionati, criptico per chi non conosca la password! Con alcune piccole differenze qua e là, a mio parere non del tutto insignificanti. Per esempio, Harry Potter -che al principio delle sue vicende letterarie e cinematografiche è un occhialuto bambino leggermente imbranato- si trasforma a poco a poco in qualcosa di diverso, direttamente sotto i nostri occhi, attraverso una vera e proprio mutazione dagli aspetti talora inquietanti. Magia nera? Sortilegio? Nient'affatto: pubertà e adolescenza, ecco la formula magica!!! Daniel Radcliffe, scelto come interprete dopo estenuanti provini a legioni di ragazzetti anglosassoni, è ormai un maturo diciannovenne discretamente palestrato che preferisce indossare lenti a contatto e non disdegna di gettare, all'occasione, un'occhiata nel décolleté in espansione della ex-bambina Emma Whatson / Hermione, sua compagna sul set.
Insomma, se su James Bond, tanto per dirne uno, si può ragionevolmente pensare di realizzare ancora un numero imprecisato di film, oltre ai 22 già prodotti, quanti ancora potranno essere gli episodi ambientati a Hogwarts, fra unicorni, ippogrifi e pietre filosofali? Dal college seguiremo forse il maghetto (diplomato) all'università, e poi lo vedremo esercitare la libera professione, accasandosi con una brava ed onesta fatina, magari dai capelli turchini? Scherzo, ovviamente, e spero non me ne vogliano i cultori del genere, che so essere numerosi anche fra i non giovanissimi. Lo confesso, Harry Potter non mi ha mai conquistato, nè sulla pagina stampata nè sullo schermo: non ho potuto fare a meno di notare tutte le somiglianze con leggende già note, tutte le corrispondenze con antiche mitologie ed infine -nei film- tutte le citazioni da pellicole precedenti. Ad esempio, nell'ultima parte del Prigioniero di Azkaban si ripete quasi a pappagallo il finale di Ritorno al futuro, con Harry ed Hermione che tornano indietro di qualche ora, rivedendo se stessi in azione ed intervenendo sulla medesima per modificare -con successo- ciò che già è avvenuto.
Concludo proponendovi alcune foto di scena, nelle quali non è poi così facile distinguere chi siano gli attori e chi il regista, visto l'aspetto estremamente giovanile dello stesso, il messicano Alfonso Cuaròn. Il quale -leggo su Wikipedia- pare sia stato aspramente criticato dagli appassionati della collana in quanto, rispetto a Chris Columbus che aveva diretto i primi due episodi, "omette alcune sotto-trame e ne modifica altre". Accidempolina: a me le sotto-sotto-trame sembravano già abbastanza numerose così ... figuriamoci se il povero Alfonso si fosse preso la briga di inserirle tutte!!!
martedì 23 dicembre 2008
La pittura nel cinema: Il Decameron
Il Decameron di Pier Paolo Pasolini (1971) Dal libro di Giovanni Boccaccio, Sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini Con Franco Citti, Ninetto Davoli, Vincenzo Amato, Angela Luce, Giuseppe Zigaina, Pier Paolo Pasolini, Vincenzo Ferrigno, Guido Alberti, Gianni Rizzo, Silvana Mangano Musica: Ennio Morricone Fotografia: Tonino Delli Colli Costumi: Danilo Donati (112 minuti) Rating IMDb: 7.1
Solimano
Le novelle del Decamerone che Pier Paolo Pasolini inserì nel suo film del 1971 sono otto: Ciappelletto, Andreuccio da Perugia, Masetto da Lamporecchio, Lisabetta, Peronella, Tingoccio e Meuccio, Donno Gianni, Caterina e Ricciardo. Alle novelle si aggiunge un'altra storia, che fa un po' da fil rouge: quella di un pittore, "il migliore allievo di Giotto", che giunge a Napoli per dipingere un affresco nella chiesa di Santa Chiara. Il personaggio del pittore è interpretato dallo stesso Pier Paolo Pasolini, che sostituì il poeta Sandro Penna, che rifiutò dopo avere in un primo tempo accettato il ruolo. Il pittore è molto trasandato come aspetto, difatti così gli si rivolge un napoletano che gli vuol bene: "Maestro, tu credi che se ci venisse incontro un forestiero che non ti conosce e ti vedesse conciato così, potrebbe mai pensare che tu sei uno dei migliori pittori del momento?"
Inserisco tre immagini che riguardano l'esecuzione dell'affresco. Nella prima, si vede il maestro all'opera, con gli allievi accosciati vicino a lui. Nella seconda, la squadra (maestro ed allievi) guarda l'affresco. Stanno al centro dellla chiesa per vedere l'effetto che fa. Nella terza si vede solo l'affresco, su cui c'è l'ombra dell'impalcatura. Si tratta di due affollati episodi della vita di un santo che fa miracoli. Cicli del genere furono eseguiti da molti pittori giotteschi: Bernardo Daddi, Agnolo Gaddi, il Maestro di Tolentino (presumibilmente Pietro da Rimini), Altichiero, per citare solo alcuni dei maggiori. Varrebbe la pena di studiare in modo più approfondito questa parte del film, ma c'è un'altra parte ancor più significativa: il sogno del pittore, a cui compare una realtà che sembra una pittura. Una realtà di Paradiso e di Inferno.
Ecco la visione del pittore che sogna: la Madonna (Silvana Mangano) seduta in trono, con in braccio il Figlio. La Madonna è rinchiusa nella Mandorla. A lato, ci sono alcuni Santi su scranni, ma soprattutto Angeli, ragazzi con l'aria napoletana. Più in basso, le persone comuni: virtuosi, sofferenti, peccatori.
Successivamente, il regista esplora i particolari, qui un santo seduto, alcuni ragazzi-angeli, parte della Mandorla. E il coro angelico.
Due particolari infernali, caratterizzati dalla nudità dei peccatori e degli uomini-diavoli. Si vedono degli impiccati e una coppia nuda che cerca di sfuggire verso il basso, ma in basso ci sarà l'inferno.
Quattro donne piangenti, come le tre Marie di tante raffigurazioni in pittura e scultura.
Un ragazzo regge sulla spalla il modelletto di una chiesa.
E' chiara l'ispirazione di questa bellissima parte del film: gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova. Questi affreschi sono stati eseguiti nel primo decennio del Trecento, molto probabilmente negli anni 1304-1306.
Pier Paolo Pasolini agisce in modo acuto e sottile, il riferimento non è mai diretto ed inserisce, anche nei singoli particolari, alcune differenze. Vediamo alcuni esempi, guardando le immagini degli affreschi di Giotto.
Negli affreschi della Cappella Scrovegni, non c'è una rappresentazione a cui possa globalmente rapportarsi la visione totale del pittore giottesco che sta sognando: il coro di angeli e santi è nel riquadro dell'Ascensione.
Enrico Scrovegni offre la cappella, che è dedicata alla Vergine, in espiazione dei peccati usura del padre (Dante, amico di Giotto, mette gli Scrovegni nell'Inferno, proprio fra gli usurai). Un canonico sorregge il modello della chiesa, evidentemente pesante. Questo particolare è nel Giudizio Universale, dipinto sulla parete interna dell'ingresso nella Cappella.
La Mandorla c'è anche agli Scrovegni, ma racchiude la figura di Cristo. E' al centro del Giudizio Universale.
Questi due particolari diabolici, a cui evidentemente si ispira Pasolini, sono a destra in basso nel Giudizio Universale.
Inserisco una immagine curiosa in chiusura del post: Silvana Mangano in una immagine in bianco e nero (o una foto di scena?) del film Il Decameron.
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