Biruma no tategoto, di Kon Ichikawa (1956) Dal racconto di Michio Takeyama, Sceneggiatura di Natto Wada Con Rentaro Miluni, Shôji Yasui, Jun Hamamura, Taketoshi Naitô, Shunji Kasuga, Kô Nishimura, Keishichi Nakahara, Toshiaki Ito, Hiroshi Tsuchikata, Tomio Aoki, Nobuteru Hanamura, Sanpei Mine, Takashi Koshiba Musica: Akira Ifukube, Fotografia: Minoru Yokoyama (116 minuti) Rating IMDb: 8.3
Solimano
Sono passati più di cinquant'anni da questo film, di cui molti conoscono l'esistenza e l'importanza (ma pochi l'hanno visto). Si può, dopo tutto questo tempo, dirne anche qualcosa di male? A mio avviso si può e si deve, non tanto per criticare il film, ma la situazione civile e culturale in cui ancora oggi si trova il Giappone, quasi sommerso da una ondata di negazionismo appoggiata ad alti livelli politici, cosa che in Germania nessuno si sognerebbe di fare.
I massacri di Nanchino del 1937 (da cui gli ufficiali spedivano i teschi a casa perché i parenti facessero festa). Le donne di conforto coreane (a quali ignominie arriva l'ipocrisia!) durante la seconda guerra mondiale, per tener su il morale delle truppe nipponiche. Ancora oggi, per ogni incontro fra i vertici politici del Giappone, della Cina e della Corea, occorre un negoziato preliminare su cosa dire e non dire di queste due vergogne. D'altra parte, nel nostro piccolo, anche noi non scherziamo.
Provate a chiedere in giro di Debra Libanos, nessuno vi saprebbe rispondere. Lì in Etiopia, dopo l'attentato al maresciallo Graziani, furono massacrati con le mitragliatrici quasi mille fra preti copti, diaconi e seminaristi, spesso ragazzi di quindici anni. Naturalmente facendosi aiutare da tribù musulmane, tutto fa brodo, nelle lotte fra i cristiani. Notate la finezza: in un paese in cui quasi tutti erano analfabeti, eliminare un migliaio di acculturati era certo utile a mantenere meglio il controllo. Quando Del Boca tirò fuori il problema alzando il velo, Montanelli non voleva crederci, ma si arrese di fronte a prove inoppugnabili.
Tutto questo per dire che Kon Ichikawa, nel 1956, non poteva che ignorare tutta una serie di aspetti, in un paese in cui la vera autorità era il generale Mac Arthur. La costituzione tuttora in vigore è quella voluta da Mac Arthur, e meno male. Il film dice benissimo quello che vuol dire, ma pecca di omissioni gravi. Non lo avrebbero accettato, altrimenti.
In positivo c'è da dire che allora il buddismo era sentito con vera profondità, mentre oggi, in Giappone (e non solo) domina la setta Soka Gakkai da cui deriva l'influente partito politico del Komeito. Ma non c'è da preoccuparsi, il buddismo ha la pelle dura (e tenera), dimostra l'impermanenza con l'essere impermanente nei singoli paesi: oggi in India i buddisti sono meno del 2%. Va e viene proprio come noi, che siamo fatti e disfatti. Benissimo.
Il soldato Mizushima sceglie di farsi bonzo e di restare in Birmania, per poter sepppellire i tanti soldati morti insepolti. Il reparto a cui apparteneva, appena ha saputo che la guerra era finita, si è consegnato agli inglesi. Mizushima va per convincere un altro reparto a fare lo stesso, ma lo accusano di viltà e di tradimento.
Tutti vengono massacrati allo scadere dell'ultimatum e Mizushima si salva a stento. Ma non torna al suo reparto, in cui era amato per come suonava l'arpa.
E' un reparto strano. Il comandante ama il canto, e tutti, anche da prigionieri, cantano insieme. Il repertorio cambia a seconda degli stati d'animo e delle evenienze, hanno persino delle canzoni di avvertimento in caso di pericolo. Adesso cercano Mizushima, sarà vivo o sarà morto? C'è un ragazzo che suona l'arpa birmana e il comandante si rende conto che quella certa variazione gliela può avere insegnata solo Mizushima.
Un giorno, sono vicini ad una grande statua del Buddha sdraiato. Stanno cantando uno dei loro canti più belli. D'improvviso, il canto è accompagnato da una musica lieve, che sembra provenire dal Buddha. E' l'arpa birmana suonata da Mizushima, nascosto all'interno della statua, che vedrà poi i compagni allontanarsi, ma non si svelerà.
Una donna birmana fa un piccolo commercio con i prigionieri, ed inizia il mirabile tormentone dei due pappagalli. Un pappagallo finisce ai soldati, uno a Mizushima. I soldati insegnano al loro pappagallo a dire "Mizushima, torna con noi". Mizushima insegna al suo pappagallo: "Non posso tornare". Ci sarà un momento in cui Mizushima avrà tutti e due i pappagalli, ma alla fine, sulla nave che è in viaggio per il Giappone, c'è solo il pappagallo che dice "Non posso tornare" e Mizushima ha quello che dice: "Mizushima torna con noi".
Le omissioni sono gravi, forse inevitabili, ma il film è meraviglioso, si regge sulla musica più che sulle parole. Il senso di morte è forte e doloroso come un travaglio da cui sorge la vita.
Il finale è inatteso ( o no?). Sulla nave, il comandante legge la lettera che gli ha fatto pervenire Mizushima e che dice quello che lui si aspettava. I soldati ascoltano commossi e intenti. C'è pure il pappagallo, quello del "Non posso tornare". E dal grande oblò si vede scorrere il mare.
Quale fine più appropriata, pensavo?
E invece no. Finita la lettura, il comandante si aggira per la nave, in cui ognuno attende a qualcosa: mangiare, chiacchierare, ridere, sistemare il bagaglio, guardare le fotografie delle mogli e dei figli che presto (forse) rivedranno. E il comandante chiude dicendo: "Adesso, nessuno più pensa a Mizushima". Lo dice non triste, ma con un sorriso. E' giusto, è quello che dentro, senza saperlo, mi aspettavo.
sabato 19 luglio 2008
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4 commenti:
E' un film meraviglioso in tutti i sensi, uno di quelli che da soli giustificano l'invenzione e l'uso del cinema.
E' una vita che non lo vedo, tra l'altro: dovrò provvedere.
Di Ichikawa ho visto pochissimo, non riesco a farmene un'idea come autore. Penso però che questo sia un film dedicato alla guerra nel suo senso peggiore, qualcosa che si vuole rimuovere e non vedere nella sua verità: quella della morte, appunto.
E' un aspetto che lo apparenta ad Antigone: seppellire i morti.
E, anche se dovrei rivedere il film, è notevole che l'ufficiale sorrida dicendo che adesso non ci si penserà più.
Che è tra l'altro un atteggiamento molto naturale: la vita va avanti, è lo stesso racconto dei reduci da battaglia spaventose, o dei chirurghi che operano in condizioni di epidemie disastrose, o dei sopravvissuti di Auschwitz: si dimentica, cos'altro fare? Dopo un po', dopo poche ore, viene anche fame e si cerca qualcosa da mangiare - e sembra incredibile ma in fin dei conti è naturale.
Molto bello anche il tuo discorso iniziale che inquadra bene la storia: il film è meraviglioso, ma queste cose vanno dette.
E infine: quanti sono davvero i cristiani, in Italia? Secondo me, oggi sono meno del 2% dei buddisti in Giappone: gli altri fanno parte di qualche setta non dichiarata ufficialmente, qualcosa che sta a metà strada tra la superstizione e il "faccio quel che mi pare e non venite qui a rompere con le vostre storie".
"Le vostre storie" intendendo: il Vangelo.
Lapsus: il 2% in India, come dice Solimano - e non in Giappone come ho scritto io.
Giuliano, appropriatissimo il riferimento ad Antigone. D'altra parte Buddha e Sofocle sono degli stessi tempi cronologici, perché Buddha è un personaggio storico vissuto secoli prima di Cristo (cosa che molti ignorano). E' come se la storia della Grecia e dell'India fosse giunta alla stessa meta senza avere rapporto diretto. Ma già Mommsen mostrava con le etimologie il nesso indiscutibile fra sanscrito e greco. E quindi, quando si parla di Oriente e di Occidente occorrerebbe precisare quale Occidente. Quello greco o quello ebraico-cristiano-musulmano? Conclusione: mi piacerebbe imparare il sanscrito, con quelle parolone che non finiscono più, proprio come i significati che hanno.
saludos
Solimano
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