Solimano
Nelle sere calde d'estate ho due scelte, per i cinema all'aperto: l'Arena di Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo e il cortile in Villa Visconti d'Aragona a Sesto San Giovanni. Preferisco di gran lunga Villa Ghirlanda - il più bel cinema all'aperto della Lombardia - anche se le zanzare sono più voraci, ma Respiro di Crialese l'ho visto a Sesto, su schermo piccolo e seduto su seggiole scomode, tipo quelle della Festa dell'Unità, che poi sono le stesse della Festa dell'Amicizia, se le prestano. Grazia è malata di mente, ma una malata a suo modo, per troppa vitalità. Ama riamata il marito e i tre figli, ma dà fastidio alla gente per essere come è. Non ci sono mezze misure, e anche l'isola Lampedusa è così, bellissima e sordida, con i cani che scappano da dove sono rinchiusi e gli isolani che li uccidono a fucilate in pieno paese. Il titolo Respiro è perfetto, nulla di più quotidiano del respiro, la concentrazione sul respiro l'ho provata, non ne ho ottenuto molto, ma è l'esperienza primordiale, la prima cosa che uno fa appena nato e l'ultima che fa il giorno che muore. E' una quotidianità in cui il mito si trova a suo perfetto agio, non è un mito falso, è un mito risolutore. Difatti ero tentato di mettere una immagine di Valeria Golino, ce n'è una bella in cui sta seduta da sola su una spiaggia sassosa ma ho preferito l'immagine corale che chiude il film: tutti insieme a nuotare sott'acqua, un mito che diventa rito. Ma niente tiramenti intellettualistici, niente sguardo che però si chiama fuori e fuori rimane, come se quello che si guarda divenisse un quadro appeso al chiodo di una parete: Respiro è quotidiano, sa di cibo e di amplesso, di litigate assurde e di abbracci definitivi. Vorrebbero mandarla a curarsi a Milano, Grazia, lei si nasconde e il figlio più grande sa dov'è e la va a trovare. Tutto così inventato e così vero. Niente bozzettismi e macchiette, che in questi film isolani sono sempre nel menù. Il Sud è il Sud in presa diretta, con le sue sporcizie e le sue meraviglie, proprio come il mare, amante temuto. Si parla di crisi del cinema perché qui e perché là, poi arriva una sera calda, vai in un cinema bruttarello e ti trovi di fronte a un film come Respiro, per cui una volta tanto l'aggettivo omerico è appropriato: Grazia ha in sè della Calipso, della Circe, della Nausicaa, persino della Penelope, pensa un po'. Miti non falsificati, miti che durano, da riduzionista convinto mi ci trovo bene in miti del genere. E adesso? Non lo so. Libera Valeria Golino di tornare alle gradevoli parti fra l'erotico e il nevrotico, libero Crialese di non farlo più, un film come Respiro. Ma qui entrambi - più tutto il paese adulti, bambini e cani - hanno detto, hanno mostrato cose che ho cercato volentieri di fare mie. Non sono il solo, in rete ci sono commenti entusiasti in tedesco e in spagnolo, certi miti ce li abbiamo dentro tutti, gran giorno quello in cui ce ne accorgiamo.
2 commenti:
Così Mario Sesti su KwCinema:
"Il mare nel cinema è quasi sempre inquadrato frontalmente, come in una cartolina. Fa così Truffaut, fa così Ferreri: una distesa a perdita d'occhio che suggerisce così spontaneamente l'idea che si possa guardare davanti stupiti che esista qualcosa di così esteso e pieno di riflessi di luce, così incomprensibile e maestoso, che è difficile non pensare che anche ciò che si ha davanti, la vita, non possa promettere qualcosa di altrettanto eccitante, imprevedibile e sconosciuto. Emanuele Crialese, che si è laureato in cinema nel Village, a New York, alla Tisch University e che si è messo in luce prima con un cortometraggio che ha catturato l'attenzione di qualche importante regista americano, e poi con un film, We were strangers, selezionato dal Sundance Film Festival di Robert Redford, rovescia con sicurezza istintiva e oscura determinazione questa convenzione visiva. Nel suo film, Respiro, presentato a Cannes nella sezione della Semaine della Critique, il mare è perlopiù inquadrato da altezze vertiginose o abissi profondi. Da altissime rocce a strapiombo, o da fondali remoti. E' il mare immenso, blu profondo e smeraldo che circonda Lampedusa. In un'Italia che fa ancora sognare adolescenti e giovani spose con i 45 giri che strillano nei mangiadischi, Valeria Golino è una delle seconde ed ha fama, nell'isola, di essere un po' pazzerella. Fa il bagno nuda, guida la lambretta, tratta il marito pescatore e i suoi amici alla pari. Ci vuole molto meno per scandalizzare quell'isola e quell'Italia. Lo sanno i compaesani che la disprezzano, lo sa il marito che ne è tanto innamorato quanto imbarazzato, lo sanno i figli, scugnizzi che partecipano senza risparmiarsi alle lotte tra bande degli adolescenti locali. Le quali si affrontano come insetti, spalmandosi gli uni sugli altri, masse di corpi che mimano insieme qualcosa di altrettanto vicino all'eros che alla tortura. Quando Grazia (la Golino), decide di scappare e di mettere di mezzo tra sé e il resto del mondo una grotta e una baia (con la complicità di uno dei suoi figli), iniziano le battute di caccia. Sembra scomparsa come una creatura mitologica più che essere stata vittima di un incidente in acqua. Ambientato nel meridione come su un pezzo di un continente esotico e primordiale, battuto da una pulsazione animale e da vibrazioni di fisicità febbrile, Respiro possiede una impressionante sequenza allegorica in cui tutti i maschi adulti del paese uccidono dai tetti un'orda di randagi bastardi che Grazia ha liberato per i vicoli mandando fuori di testa l'intera comunità. In realtà, dopo metà, coraggiosamente sembra diventare, con sorpresa, un altro film. Non quello che racconta della inevitabile repressione di chi ha troppa vita, ma quello di chi, senza questa vita, non sa più vivere (il marito) e brancola in una disperazione lacerante e sorda. In ogni caso, si tratta di un film vivido e luccicante come un minerale. Non riesce a portare a termine la virata drammatica che imposta dopo la scomparsa di Grazia, ma ha un finale dotato di una trance ipnotica. Grazia ricompare dagli abissi, e l'intero paese si tuffa in acqua: per accoglierla o aggredirla? Non lo sapremo mai perché l'inquadratura è dal basso (come basso, è il clarinetto di John Surman al quale si deve una suggestiva litania che affiora e scompare nel suono di tutto il film). I corpi si stringono intorno a lei, agitano gambe e mani, galleggiano infrangendo all'infinito i disegni di luce della superficie. Un movimento lungo, rallentato, formicolante che scrutiamo come se fosse il cielo di una murena, abituata a scrutare ogni cosa senza stupirsi. E senza respiro".
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