domenica 5 agosto 2007

No, o la vana gloria del comando

'Non', ou A Va Gloria de Mandar di Manoel de Oliveira (1990) Sceneggiatura: P. Joao Marques, Manoel de Oliveira Con Luis Miguel Cintra, Diogo Doria, Luis Lucas, Carlos Gomes, Antonio S. Lopes, Lola Forner, Leonor Silveira Musica: Alejandro Massò Fotografia: Elso Roque (110 minuti) Rating IMDb: 6.9
Giuliano
«I portoghesi hanno dentro di loro l’ideale della nobiltà della sconfitta. L’eroe nazionale è un eroe perdente: il Re don Sebastiano, che morì nella disfatta contro i Mori ad Alcacequibir, alla fine del ‘500, e il cui corpo non fu mai più ritrovato. Nacque anche un movimento, il “sebastianesimo”, convinto che il Re sarebbe tornato in una notte di nebbia per ricondurre il suo popolo alla vittoria (...) » (Antonio Tabucchi, Corriere della Sera 15.11.1993)

Ho già accennato a quei film dei quali si ha quasi paura di parlare, un ritegno che nasce dalla presenza di qualcosa che va al di là del cinema in sè, e che ha piuttosto a che fare con esperienze che non hanno nulla a che fare con la nostra esperienza quotidiana. Bene, questo di Oliveira è uno di quei film: non nella sua interezza ma in una sola sequenza, bella e spaventosa come l’apparizione di un angelo, nel finale.
« No, o la folle gloria del comando» è la storia di un gruppo di soldati portoghesi in Angola, negli anni ’70. C’è un tenente, e pochi soldati su una jeep; poi arriva uno scontro a fuoco, il tenente è gravemente ferito e in ospedale, ormai morente, vede arrivare una figura splendente e terribile, un giovane con le sembianze di Don Sebastiano, Re del Portogallo. Siamo proprio a “The spectre of my father, in arms...” : un’apparizione che gela il sangue nelle vene, nella sue perfezione assoluta da dipinto rinascimentale, o da rappresentazione ultraterrena, che a me ricorda volti simili e pose simili in Piero della Francesca. Prima, all’inizio del film, Oliveira aveva alternato le conversazioni dei soldati (in quei periodi in cui pare non succedere nulla, per lunghe ore, e che precedono spesso qualcosa di rovinoso e di immediato), alla ricostruzione in costume delle imprese di Vasco de Gama, colui che portò i portoghesi in Africa, tramite la lettura da parte del tenente dei versi del poema nazionale portoghese, “I Lusitani” di Camoes. (il tenente, quando racconta, diventa don Joao, cugino di Don Sebastiano)
Dopo questo film, teorizzo la superiorità di Oliveira rispetto a Rossellini. L'avesse fatto lui, la vita di Sant'Agostino, o quella di Cartesio... Rossellini è sempre grande, ma nei suoi film "storici" (didattici?), sia pur perfetti, gli capita di essere pedante e soporifero. Oliveira è un grande poeta, anche solo nel farci vedere un'armatura; e l'episodio dell'Isola dell'Amore, in questo film, fa venir voglia di leggere Camoes.
E' un film magico, onirico e reale. L'immagine finale di Don Sebastiano, che appare al tenente quando è ormai in punto di morte, mentre stringe la spada con le mani e dalla spada gocciola il sangue, è terribile e bellissima. E' l'apparizione di un angelo, per l'appunto. Il sorriso del soldato Manoel, alla fine della scena che riporto qui, è un sorriso magico: e magico è il gesto di levarsi il cappello. E anch'io mi levo il cappello, davanti all’immagine di Dio, certo: ma anche davanti a questo grande vecchio portoghese, uno dei grandi del Novecento. Anche se non azzecca tutti i film, e se vederli fino alla fine è sempre un’impresa, che importa?

(Finisce la sequenza "mitologica" di Vasco de Gama)
Tenente: "...prendendo per sè la dolce gloria, della quale nel mondo resterà sempre memoria..."
Primo soldato: Se Camoes potesse trasformare questo posto nell'Isola dell'Amore, e ci mandasse le ninfe dei negri, sarebbe bello, no? (...)
Tenente: "...solo per far versi piacevoli serviamo, / e se mai tratti umani ci potete dare / è solo il nome nostro che a questa stella / il vostro ingegno ha posto..."
Secondo soldato: Cosa voleva dire il poeta con questi versi?
Tenente: Voleva dire che questa metafora mitologica degli dèi non è altro che un prodotto dell'immaginazione umana. Camoes conclude dicendo che la dea Teti portò Vasco de Gama sul punto più alto dell'isola, e gli mostrò la "macchina del mondo".
Secondo soldato: Che cos'è la macchina del mondo?
Terzo soldato: E' il sesso, la macchina del mondo. (ridono insieme)
Tenente: La macchina del mondo è la legge che regola e stabilisce, è l'armonia cosmica. I doni dei portoghesi al mondo sono la scoperta delle nuove terre, non sono alcuni fatti isolati della storia del Portogallo.
Terzo soldato: Ma un dono è qualcosa che si fa dicendo "prendilo".
Tenente: Non è così. E' il frutto di uno sforzo meritato da chi comprende ed è capace di trasmetterlo alle future generazioni. Il dono deve stimolare lavoro e ricerca.
Terzo soldato: Allora si tratta di qualcosa di superiore, di soprannaturale. Di soprannaturale e di fecondo.
Secondo soldato: Fecondo?
Terzo soldato: Sì, Brito. Fecondo nel senso della sapienza. Ricco culturalmente.
Tenente: Certo. Quelle scoperte hanno rappresentato un grande progresso per l'umanità. Oggi possiamo dire lo stesso del viaggio sulla luna, o dell'esplorazione della stratosfera con le navi spaziali. Sono imprese utili alla conoscenza scientifica e al progresso tecnologico.
Primo soldato: Anche per arrivare a conoscere le origini del cosmo.
Terzo soldato: E poi, probabilmente, sciogliere l'enigma di Dio.
Tenente: Non lo credo. Non sono cose sullo stesso piano. Il concetto di Dio è superiore a tutto questo.
Terzo soldato: E' una pazzia, lo so: ma alle volte penso che l'Universo e l'umanità esistono per un momento di distrazione di Dio.
Secondo soldato: Questa non me l'aspettavo, Manoel. Pensavo che tu avessi i piedi ben appoggiati per terra.
Terzo soldato: (sorride): L'apparenza inganna, mio caro Brito. (si toglie il cappello, sorride; poi si fa serio).
- Cambio di scena. -
Manoel de Oliveira, da "No, o la vana gloria del comando" (i soldati portoghesi sono in Angola, nel 1974)

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