Giuliano
All’inizio del film, Johnny Depp è un piccolo contabile dall’aspetto timido, mite. Ha un abito a grosse righe, quasi a scacchi, e un cappello che assomiglia molto a quello che portava Buster Keaton. Siamo nell’America leggendaria dell’Ottocento, in ambiente western, su un treno carico di gente che non parla, si muove poco, è assente. L’immagine è in bianco e nero, ma un bianco e nero strano, leggermente virato, come in Stalker: il bianco e nero dei sogni.
Il piccolo contabile tira fuori le carte da gioco, ma è per fare un solitario. Dai finestrini, scorrono i paesaggi sconfinati del vecchio West. Qualche tempo dopo, gli si avvicina un uomo giovane ed elegante, che però ha il volto nero di fuliggine, e gli occhi penetranti, chiari, fiammeggianti. Si siede davanti a lui ed inizia questo dialogo pieno di pause e di silenzi:
- Guarda fuori dal finestrino. Non ti torna alla memoria di quando eri nella barca, e di quando quella notte e eri disteso con lo sguardo rivolto al cielo, e l’acqua di cui ti ricordavi non era poi così diversa dal paesaggio. E tu ti chiedesti: come mai il paesaggio si sta muovendo ma la barca è ferma? E ancora... Da dove vieni tu?
- Da Cleveland.
- Cleveland?
- Lago Erie.
- Lago Erie. Hai genitori laggiù a... Erie?
- Sono morti di recente.
- E hai una moglie? A Erie?
- No.
- Una fidanzata?
- Beh, ne avevo una. Ha cambiato idea.
- Se ne è trovato un altro.
- No.
- Sì invece. Bene, questo non spiega perché tu sia venuto fin qui. Tanta strada per finire all’inferno.
- Io... ho un lavoro nella città di Machine.
- Machine? E’ l’ultima fermata.
- Davvero?
- Sì.
E' un film notevole, e per più di un motivo. E’ più impressionante di tanti horror, anche se non è un horror. Questo non è “The others”: qui si fa sul serio, non si gioca ai fantasmi.
Non sorprende che la critica lo abbia sottovalutato e che il pubblico (i dodicenni per i quali si fanno i film oggi, e gli adulti che a loro si adeguano) non lo abbia capito. Innanzitutto, è ben fatto: magistrale la fotografia di Robby Müller, vitale il bianco e nero (e il virato), ottimi gli attori.
Sembra davvero Kafka: Amerika, o meglio ancora Il Castello. Ci sono scarti continui tra western tradizionale e sovrannaturale, killers da leggenda come ai bei tempi di Billy the Kid ma con ironia e salti nell’horror. Uno stile particolarissimo, quasi un film di Leone, ma girato al Nord e al freddo.
L’uomo con la faccia nera, sporca di fuliggine, occhi penetranti e chiari, è troppo ben vestito per essere un fuochista (come in Kafka) o un macchinista (ricorda i dipinti egizi, la pelle dipinta di nero, gli inferi). Anche il dialogo è strano, perché si riferisce al finale del film: si suppone un’eternità circolare?
Una volta giunto a Machine (l’ultima fermata) il piccolo contabile incontrerà un cattivissimo capitalista di nome Dickinson, interpretato da Robert Mitchum. Non troverà il lavoro, ma una ragazza che fa i fiori di carta, come Mimì nella Bohème. (Mili Avital: esce di scena troppo presto, peccato). Ma questo è solo l’inizio di una serie di avventure, che faranno del protagonista un bandito in fuga, assistito da un indiano che parla per proverbi ma che – evidentemente - conosce un sacco di cose che gli altri non conoscono.
Depp è, per tutto il film, quasi glabro: ciò gli dà un'aria da Carl Rossmann, o da Pinocchio, o appunto da "dead man" (non vive, non cresce: un golem?). Poi, il personaggio di Depp si chiama William Blake, come il poeta inglese, e l'indiano ce lo ricorda di continuo chiamandolo per nome e cognome. E' un film pieno di simboli, quasi junghiano ma anche egizio o sumero: e i riferimenti a Gilgamesh sono molti, soprattutto il finale, con la "canoa dei rami di cedro" e, subito prima, la traversata in barca del protagonista morente.(Tanti simboli - egizi? - anche nella casa del saggio indiano, alla fine della traversata...) (Questo finale d'acqua mi ha anche fatto pensare al viaggio verso Giove di 2001 odissea nello spazio).
E' un film shakespeariano (forse il Lear?) tra simboli, tragedie, buffoni, prestiti, ammicchi, alberi. Ma nel vedere il film, trovo una serie di continui rimandi: direi, dall'inizio, Amerika di Kafka; e poi Metropolis. Johhny Depp è sorprendente, Mitchum è spettacolare, ottimo il trio dei killers, perfetto Gary Farmer (il che non era facile: uno sciamano grasso, che oltretutto pratica il digiuno!).
Molto belle le musiche di Neil Young. Il cast: il fochista (Crispin Glover) , il capocontabile (John Hurt), Mr. Dickinson (Mitchum) , il figlio di Dickinson (Gabriel Byrne), la bellissima Thel Russell (Mili Avital). E il trio dei killers solitari: Cole Wilson il cannibale (Lance Henriksen), Conway Mc Twill il chiacchierone (Michael Wincott), il ragazzino nero Johnny Pickett (Eugene Byrd), il grande Nobody (l'indiano Gary Farmer). C'è anche Iggy Pop, che fa "Sally" (cioè Salvatore), cacciatore di opossum.
All’inizio del film, Johnny Depp è un piccolo contabile dall’aspetto timido, mite. Ha un abito a grosse righe, quasi a scacchi, e un cappello che assomiglia molto a quello che portava Buster Keaton. Siamo nell’America leggendaria dell’Ottocento, in ambiente western, su un treno carico di gente che non parla, si muove poco, è assente. L’immagine è in bianco e nero, ma un bianco e nero strano, leggermente virato, come in Stalker: il bianco e nero dei sogni.
Il piccolo contabile tira fuori le carte da gioco, ma è per fare un solitario. Dai finestrini, scorrono i paesaggi sconfinati del vecchio West. Qualche tempo dopo, gli si avvicina un uomo giovane ed elegante, che però ha il volto nero di fuliggine, e gli occhi penetranti, chiari, fiammeggianti. Si siede davanti a lui ed inizia questo dialogo pieno di pause e di silenzi:
- Guarda fuori dal finestrino. Non ti torna alla memoria di quando eri nella barca, e di quando quella notte e eri disteso con lo sguardo rivolto al cielo, e l’acqua di cui ti ricordavi non era poi così diversa dal paesaggio. E tu ti chiedesti: come mai il paesaggio si sta muovendo ma la barca è ferma? E ancora... Da dove vieni tu?
- Da Cleveland.
- Cleveland?
- Lago Erie.
- Lago Erie. Hai genitori laggiù a... Erie?
- Sono morti di recente.
- E hai una moglie? A Erie?
- No.
- Una fidanzata?
- Beh, ne avevo una. Ha cambiato idea.
- Se ne è trovato un altro.
- No.
- Sì invece. Bene, questo non spiega perché tu sia venuto fin qui. Tanta strada per finire all’inferno.
- Io... ho un lavoro nella città di Machine.
- Machine? E’ l’ultima fermata.
- Davvero?
- Sì.
E' un film notevole, e per più di un motivo. E’ più impressionante di tanti horror, anche se non è un horror. Questo non è “The others”: qui si fa sul serio, non si gioca ai fantasmi.
Non sorprende che la critica lo abbia sottovalutato e che il pubblico (i dodicenni per i quali si fanno i film oggi, e gli adulti che a loro si adeguano) non lo abbia capito. Innanzitutto, è ben fatto: magistrale la fotografia di Robby Müller, vitale il bianco e nero (e il virato), ottimi gli attori.
Sembra davvero Kafka: Amerika, o meglio ancora Il Castello. Ci sono scarti continui tra western tradizionale e sovrannaturale, killers da leggenda come ai bei tempi di Billy the Kid ma con ironia e salti nell’horror. Uno stile particolarissimo, quasi un film di Leone, ma girato al Nord e al freddo.
L’uomo con la faccia nera, sporca di fuliggine, occhi penetranti e chiari, è troppo ben vestito per essere un fuochista (come in Kafka) o un macchinista (ricorda i dipinti egizi, la pelle dipinta di nero, gli inferi). Anche il dialogo è strano, perché si riferisce al finale del film: si suppone un’eternità circolare?
Una volta giunto a Machine (l’ultima fermata) il piccolo contabile incontrerà un cattivissimo capitalista di nome Dickinson, interpretato da Robert Mitchum. Non troverà il lavoro, ma una ragazza che fa i fiori di carta, come Mimì nella Bohème. (Mili Avital: esce di scena troppo presto, peccato). Ma questo è solo l’inizio di una serie di avventure, che faranno del protagonista un bandito in fuga, assistito da un indiano che parla per proverbi ma che – evidentemente - conosce un sacco di cose che gli altri non conoscono.
Depp è, per tutto il film, quasi glabro: ciò gli dà un'aria da Carl Rossmann, o da Pinocchio, o appunto da "dead man" (non vive, non cresce: un golem?). Poi, il personaggio di Depp si chiama William Blake, come il poeta inglese, e l'indiano ce lo ricorda di continuo chiamandolo per nome e cognome. E' un film pieno di simboli, quasi junghiano ma anche egizio o sumero: e i riferimenti a Gilgamesh sono molti, soprattutto il finale, con la "canoa dei rami di cedro" e, subito prima, la traversata in barca del protagonista morente.(Tanti simboli - egizi? - anche nella casa del saggio indiano, alla fine della traversata...) (Questo finale d'acqua mi ha anche fatto pensare al viaggio verso Giove di 2001 odissea nello spazio).
E' un film shakespeariano (forse il Lear?) tra simboli, tragedie, buffoni, prestiti, ammicchi, alberi. Ma nel vedere il film, trovo una serie di continui rimandi: direi, dall'inizio, Amerika di Kafka; e poi Metropolis. Johhny Depp è sorprendente, Mitchum è spettacolare, ottimo il trio dei killers, perfetto Gary Farmer (il che non era facile: uno sciamano grasso, che oltretutto pratica il digiuno!).
Molto belle le musiche di Neil Young. Il cast: il fochista (Crispin Glover) , il capocontabile (John Hurt), Mr. Dickinson (Mitchum) , il figlio di Dickinson (Gabriel Byrne), la bellissima Thel Russell (Mili Avital). E il trio dei killers solitari: Cole Wilson il cannibale (Lance Henriksen), Conway Mc Twill il chiacchierone (Michael Wincott), il ragazzino nero Johnny Pickett (Eugene Byrd), il grande Nobody (l'indiano Gary Farmer). C'è anche Iggy Pop, che fa "Sally" (cioè Salvatore), cacciatore di opossum.
Ho visto appena 4 film di jarmush e mi sono già innamorato di lui. Questo film per me è un capolavoro assoluto, che solo jarmush può girare. Depp è veramente bravo. Se vuoi, fai pure un salto sul nostro blog. E se vogliamo scambiare link non c'è assolutamente problema.
RispondiEliminaFilm come questo sono così rari che ci si chiede come mai è stato possibile girarli e metterli in circuito. Io ho iniziato con Bergman, "Il settimo sigillo", tanti anni fa, e da allora non ho più smesso di cercarli.
RispondiEliminaTi consiglierei Tarkovskij, ma è molto difficile e richiede pazienza. (soprattutto Solaris e Stalker).
grazie della visita, e grazie anche del bel blog che sono andato subito a visitare.
Giuliano
Giuliano, questo film stranamente mi ha colpito molto. Dico stranamente perché sulla carta da storie così sto molto lontano: mi sembrano confuse, misticheggianti, di una oscurità voluta e fastidiosa.
RispondiEliminaMa questo film è diverso: c'è un peso molto forte della realtà vera, non sognata, e l'incontro/scontro fra il mito e la realtà. Ciò è fra l'altro perseguito con mezzi tecnici che tu hai ricordato, come il tipo di bianconero adottato.
Anche il vedere che il Prometeo della situazione è un indiano enorme e grasso è una idea grandiosa, come se il mito si manifestasse volutamente in una forma del tutto inattesa. Le frasi che tu hai riportato nell'altro post, quello con la poesia di Blake, uniscono il banale e il sublime, come, con paragone azzardato, fa Borges con l'Aleph.
saludos
Solimano
Caro Solimano, più che misticheggiante direi metafisico, o qualcosa del genere. Io metto questo "Dead man" con "Il settimo sigillo" di Bergman, con Stalker e Solaris di Tarkovskij, e ovviamente con Kafka: niente di mistico o di misticheggiante, come vedi (Bresson ogni tanto è mistico)
RispondiEliminaGiuliano, vedo se riesco a spiegarmi (anzitutto a me stesso). Faccio un esempio singolare. Uno viene da me e mi dice: "C'è anche del mistero nella vita, ma l'evoluzione darwiniana e post-darwiniana è acclarata", io l'ascolto. Se viene invece uno che mi dice: "C'è del mistero nella vita, quindi anche l'evoluzione darwinina mbah!", io non l'ascolto.
RispondiEliminaCiò che chiamiamo mistero è l'area del non conosciuto, ma appena una certa zona si illumina, quello non è più un mistero, è un fatto.
Ho vissuto per anni immerso in un olismo senza piedi per terra, pieno di curiosità ingiustificate, mal poste. Era quindi ora che passassero di moda tutti una serie di libri in cui tutto era possibile, di tutto e di più, con costruzioni tanto affascinanti quanto del tutto ingiustificate, cosa che si è verificata in particolare quando ci fu il riflusso del Sessantotto, in cui tutto sembrava possibile e nulla sottoposto all'esame-finestra della prova di realtà.
Dead Man non appartiene però a quel genere di opere d'arte ambigue, Dead Man è credibile perché sta molto con i piedi per terra, come ci sta - e tu lo rilevi giustamente - Bresson.
Su Tarkovsky ho seri dubbi, spero che sia tu a chiarirmeli.
saludos
Solimano
Sai quale è il vero problema? Che ci sono cose su cui prima o poi nella vita ci si interroga, ma sulle quali non si trovano risposte, e se si trovano sono stupide.
RispondiEliminaE' una risposta alla Pogo, ma anche Marconi sarebbe sembrato stregoneria, duecento anni fa, e invece siamo tutti qui con i telefonini...