Gentlemen Prefer Blondes di Howard Hawks Commedia di Anita Loos, Sceneggiatura di Charles Lederer Con Jane Russel, Marylin Monroe, Charles Coburn, Elliot Reid, Tommy Noonan, George Winslow Musica: Jule Styne, Hoagy Carmichael Fotografia: Harry J. Wild (91 minuti) Rating IMDb: 7.1
Roby
Ho letto da qualche parte che –contro tutte le apparenze- questo è un film profondamente femminista. In effetti, alla base della storia c’è l’amicizia fra due schianti di ragazze, Lorelei/Marylin Monroe e Dorothy/Jane Russell, che insieme s’imbarcano su una nave da crociera alla ricerca di buoni partiti da impalmare, e che insieme fanno girare la testa a tutti i maschi fra gli 8 e gli 88 presenti a bordo (“Ma che ci metti, nel rossetto?” chiede Dorothy a Lorelei, vedendo un tale cadere in deliquio dopo un bacio “CLOROFORMIO?”). Fra ammiccamenti, sbattiti di ciglia, balletti e ancheggiamenti vari, il film arriva alla fine senza che apparentemente sia accaduto un granchè: quello che è successo, invece, è fondamentale, perché qui abbiamo la definitiva consacrazione della Monroe come icona della femminilità assoluta, fuori da ogni tempo e da ogni spazio, che “buca” lo schermo con una vitalità ed una sicurezza non possedute nella realtà.
Adesso sappiamo quasi tutto di lei, della sua fragilità psichica, del suo dramma di maternità negata, degli amori sbagliati con metà del clan Kennedy: ma guardandola, mentre canta “Diamonds are the girl’s best friends” in un tripudio luccicante di gioielli e di raso rosso, si ha l’impressione di trovarsi davanti ad una forza della natura, ad una dea-madre onnipotente alla quale tutto è permesso, ed a cui basta un cenno per ottenere tutto l’ottenibile dall’altro sesso e dalla vita stessa. L’unica consolazione, per le femminucce irrimediabilmente brune come la sottoscritta, è riposta in Jane Russell, la quale, pur non avendo chiome dorate ed occhi cerulei, se la cava comunque benissimo come mangia-uomini. Ed è proprio questo che –absit iniuria verbis- i maschietti rappresentano, nel film: il cibo principale delle due protagoniste, talvolta un po’ indigesto, ma digerito sicuramente meglio se accompagnato da qualche diamante in più.
Ecco da dove ho preso la definizione di "FEMMINISTA" per questo film: vi avverto, l'articolo è lungo e qua e là contorto, ma sostanzialmente mi trova consenziente...
RispondiElimina____________________________
''Gli uomini preferiscono le bionde'' è un film femminista.
Tecnologie di genere nei media.
di Elisa A.G. ARFINI
''Gli uomini preferiscono le bionde'' è un film profondamente femminista.
Questa posizione, che a prima vista può sembrare bizzarra, è stata effettivamente sostenuta e argomentata. E’ stato sottolineato infatti che l’amicizia tra Marylin Monroe e Jane Russell, prioritaria anche rispetto alla “caccia al marito” e i personaggi da loro interpretati, donne forti e indipendenti, costituiscano un sottotesto femminista.
Senza entrare nei dettagli della storia, ho voluto aprire con questa affermazione per poter portare un esempio efficace di come gli approcci della critica femminista ai media siano molteplici, se non contradditori. Da tempo la teoria femminista ha riconosciuto nei fenomeni mediatici un sito di produzione delle tecnologie di genere. La comunicazione di massa viene dunque indagata come un luogo del discorso in cui si intrecciano significati e valori che riflettono e producono la realtà sociale. Senza naturalmente ignorare l’esistenza e l’importanza dei fattori materiali e esperienziali che vanno a sostenere lo sviluppo della soggettività e dell’identità di genere, ci si confronterà qui di seguito con una visione della relazione genere/media sostanzialmente culturale. Una visione attenta quindi a ciò che rientra nella costruzione del simbolico, dei significati e dei valori condivisi nei processi di socializzazione.
Un primo approccio teorico (potremmo chiamarlo della “trasmissione”) tendeva a inscrivere la comunicazione in un canale di trasmissione univoco: il messaggio veniva prodotto e quindi diffuso. La critica perciò tendeva a focalizzarsi sul processo di produzione del significato, lasciando in ombra il polo della ricezione, considerando lo spettatore un ricettacolo passivo. Una visione di questo genere non può contemplare l’effetto polisemico insito nella ricezione. Il fatto cioè che anche il ricevente sia parte del processo di elaborazione del significato, il fatto che un testo non possa giungere “intatto” al destinatario. Il processo di comunicazione andrebbe quindi problematizzato. È soprattutto Stuart Hall che negli anni ‘70 incomincia a diffondere un’idea di comunicazione che segue il modello codifica/decodifica. Secondo questa prospettiva anche il destinatario contribuisce, con la sua personale decodifica, alla produzione di significato e acquistano peso le variabili derivanti dal contesto di ricezione e dal cotesto di produzione. Se si considera comunque il punto di vista della trasmissione, la critica femminista che ne scaturisce punta il dito contro l’effetto di distorsione. Si dice, in sostanza, che dai media viene diffusa un’immagine stereotipata, “sbagliata” della donna. Un prima replica a questa posizione potrebbe venire dal considerare il fatto che gli stereotipi spesso sono la controparte di effettive realtà sociali. Se quindi la donna viene rappresentata come madre e casalinga è pur vero che molte donne sono madri e casalinghe. Ma questa replica non è poi così efficace se si pensa agli effetti omologanti dello stereotipo. Chi sottolinea gli effetti negativi della distorsione potrebbe infatti ribattere che se è vero che molte donne sono madri e casalinghe, sarebbe forse meglio evitare quello stereotipo che prospetta alle donne un unico orizzonte. Nessuno nega che sarebbe auspicabile diffondere un messaggio più rispettoso delle differenze, tuttavia, a nostro parere, il vizio più pericoloso insito nella critica all’effetto di distorsione è nel ricorso all’essenzialismo. Se si pensa che quella diffusa dai media sia un’immagine “sbagliata” della donna, allora chi decide quale dovrebbe essere quella giusta? Per evitare la distorsione si dovrebbe ricorrere a una distinzione tra i generi, facilmente identificabile, che dovrebbe essere rappresentata correttamente. La risposta rischia di diventare un nuovo punto di vista, altrettanto parziale e normativo proprio perché altamente codificato. Anche se fossero le stesse donne a codificarlo, i problemi non si esaurirebbero.
A questo proposito è sicuramente da favorire una più alta presenza di donne nel polo della produzione mediatica, ma non si può sperare che questo risolva tutti i problemi. Sarebbe ancora una volta un cadere nell’essenzialismo pensare che le donne possano apportare un loro specifico taglio alla comunicazione, naturalmente diverso da quello maschile. A parte il fatto che questa speranza non è confortata dalle ricerche sul campo, il suo realizzarsi sarebbe un perpetuarsi della dicotomia di genere. Non bisogna poi tralasciare il fatto che il genere non può essere l’unica dimensione rilevante, se si vogliono considerare anche la razza o la sessualità. In generale bisogna avere l’onestà di considerare il fatto che siamo tutti inseriti nello stessa rete di potere; è importante tenere in considerazione questo fatto sia quando si parla della percentuale di donne impiegate nella produzione mediatica, sia quando si pretende di fare della critica alla produzione mediatica stessa. Per muovere una critica al discorso si rischia sempre di perpetuare i termini stessi del discorso che si vuole criticare. Lasciandoci dietro l’illusione di poter fare del metadiscorso, crediamo valga comunque la pena di pensare a una critica di ciò che la comunicazione ci offre, indagare il polo della ricezione, pensare a nuove modalità di ascolto, e magari proporre nuove forme che tengano conto di tutte quelle variabili che porterebbero allo scoperto ogni tipo di instabilità e contraddizione insita nelle soggettività.
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E allora? Avete una soluzione al problema??? Io NO!
[:->>>]
Roby
Roby, l'articolo che hai inserito dice cose giuste, ma condite di tanti meta- e -ismi inutili. Se mi sforzo, li capisco uno per uno, ma il problema è della scrittrice, che gioca a far vedere che di cose ne sa tante, e strizza l'occhio a quelli che fanno come lei, nella speranza che la leggano e ne parlino bene. Che parlasse come mangia, che sarebbe meglio per tutti, e farebbe cultura inclusiva, di cui c'è un gran bisogno.
RispondiEliminaIo preferisco leggere Roby, che parla di sé, quindi ha un bel passaporto per parlare di tutto.
Ciò detto, è vero, questo è un film femminista. Basta notare come sono trattati i gruppi di maschi atletici e sportivi: sono harem a disposizione delle due pascià, difatti ognuno dei maschietti cerca di giocarsi il bicipite migliore, gli addominali più asciutti e... lasciamo stare il resto, ci siamo capiti.
Anche il gioco dei soldi e dei diamanti ci sta tutto: proprio perché si vede in modo così diretto lo si esorcizza: la donna delle caverne, quale uomo - pure delle caverne - seguiva? Quello che tornava dalla caccia con il pezzo di carne migliore, e faceva bene, se non non saremmo qui a divertirci con i film, l'evoluzione della specie non avrebbe proseguito il suo corso.
Queste cose vanno dette, altrimenti, sul femminismo, si rischia l'isolamento vittimistico con i relativi piagnistei, che non servono a nulla.
Va detto, però, che Jane Russel è tanta, troppa, da lei mi sentirei violentato, preferisco l'altra, che non mi ricordo mai come si chiama, perdo il bene dell'intelletto quando la vedo.
saludos
Solimano
E' vero, gli -ismi nell'articolo abbondano come le forme di Jane Russell nel film (!!!): ma il termine che preferisco è METADISCORSO, così ridondante, così riempitivo... credo che lo USERO' PIU' SPESSO nei miei post, di solito un po' troppo tranquilli. Quindi, Solimano prepàrati: la vecchia Roby lascerà presto il posto ad un'argomentatrice impegnata ed impegnante, tutta termini tecnici e strizzate d'occhio ai guru mediatici... Però...però, in tal caso, dovrò rassegnarmi a cambiare nickname... che ne pensi di ARTEMIDE? Oppure, più latinamente, MINERVA? o magari -sempre saccheggiando la mitologia- MEDUSA? Certo, correrò il rischio di essere scambiata per una multinazionale dei fiammiferi, o per la rappresentante di Greenpeace in difesa degli invertebrati marini: però, vuoi mettere il fascino, al posto della banale abbreviazione del mio (odiatissimo) nome di battesimo?
RispondiEliminaR.
PS: ma si è capito che scherzavo, vero????
Mi guardo bene dall'entrare nella spinosa querelle film femminista oppure no ;-)
RispondiEliminaPorto invece un piccolo contributo audiovisivo:
il link di YouTube dove potete ammirare Marilyn nella famosa scena in cui canta "Diamonds are a girl's best friend"
http://www.youtube.com/watch?v=p0FDGnAIWpk
Buon ascolto e buona visione :-)
Gabrilu, grazie per You Tube, ci farai un corso prima o poi, sul tuo blog Milstein è meglio della Mutter che possiede però argomenti che Milstein non ha; conclusione, benissimo che ci siano tutti e due.
RispondiEliminaRoby, Minerva, Artemide, Medusa? Naaaa, meglio Roby, vai benissimo così, ti toccherà sopportarti!
saludos
Solimano
Ti faccio una confidenza, Roby: la mitica Marilyn non era una bionda naturale. Ecco qui di seguito alcune curiosità che ho scovato in rete
RispondiEliminaMarilyn è nata bruna, si fece bionda ossigenata dietro consiglio di un fotografo secondo il quale in tal modo avrebbe avuto più fama.
Da alcune fotografie di Joseph Jasgur pubblicate nel 1946 nacque il mito che Marilyn avesse sei dita per ogni piede. Due delle fotografie, pubblicate in The Birth of Marilyn: The Lost Photographs of Norma Jeane, possono farlo pensare, ma sembra che sia effetto della luce. Dato che non vi sono altre prove in merito, la storia è comunemente considerata una leggenda urbana.
Marilyn vinse nel 1946 il concorso di bellezza per
Miss Carciofo.
Marilyn dovette indossare due paia di slip bianchi per girare la scena della grata della metropolitana in Quando la moglie è in vacanza, questo per impedire al regista di vedere troppo quando avrebbe visionato successivamente la scena.
Il regista Billy Wilder (che con Marilyn ha diretto Quando la moglie è in vacanza e A qualcuno piace caldo) disse che Marilyn aveva un seno di granito ed un cervello di groviera. In altre occasioni ha detto che Marilyn era un genio, si può quindi dire che la loro relazione fosse piuttosto incostante.
Il pubblico ha raramente guardato oltre l'immagine di scena di Marilyn, ma di lei si diceva che fosse piuttosto intelligente, ancorché nascosta dietro il cliché della bella bionda svampita. Lei rimpianse sempre di non aver potuto continuare gli studi, scrisse poesie e fu molto appassionata di letteratura.
Pare che Marilyn Monroe, per mettere in risalto la propria andatura ancheggiante, calzasse scarpe con i tacchi di diversa altezza.
Era solita dormire svestita, dimostrazione ne è l'espresione "Io dormo solo con due gocce di Chanel" da Marilyn pronunciata nella pubblicità tramite la quale sponsorizzava appunto il profumo Chanel n°5
Bentornata Habanera.
RispondiEliminaMarylin Monroe aveva una gran voglia di arivare, chissà cosa ha sofferto ed ha dovuto combinare negli anni di gavetta, probabilmente anche offrirsi, l'ambiente era quello.
Ho pensato a lungo che sapesse recitare solo certe parti un po' da oca brillante, ma mi sbagliavo, i primissimi film come Giungla d'asfalto e Niagara sono drammatici ed anche l'ultimo, Gli Spostati, che è commovente, perché c'è il suo disagio di vita di allora, a parte il personaggio del film.
saludos
Solimano
Come diceva Bernie Taupin?
RispondiEliminaGoodbye Norma Jean
Though I never knew you at all
You had the grace to hold yourself
While those around you crawled...
Marilyn è stata tra le prime a sentire "di che lacrime grondi e di che sangue" la palma del successo.
E' vero, il film la consacra l'icona che tutti noi conosciamo. Definirlo un film "femminista" mi pare esagerato. MI chiedo di Norma Jean cosa resterà, tra 40-50 anni.
Solo polvere di stelle?
Non ho una passione sfrenata per Pasolini (spero con questa dichiarazione di non scatenare disordini in sala) ma questa poesia mi sembra bella:
RispondiEliminaMARILYN VISTA DA PIERPAOLO PASOLINI
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli piu' grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri,i loro coltellini,
tu sorellina piu' piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non hai mai saputo di averla,
perche' altrimenti non sarebbe stata bellezza
Spari', come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata.
Cosi' la tua bellezza divenne sua.
Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre cosi' facilmente nudo.
E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci mendicanti di colore,
le zingare, le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma
Spari', come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnato,
e cosi' la tua bellezza non fu piu' bellezza.
Ma tu continuavi ad esser bambina,
sciocca come l’antichita', crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere
si mise tutta la stupidita' e la crudelta' del presente
te la portavi sempre dietro come un sorriso tra le lacrime
impudica per passivita', indecente per obbedienza.
Spari' come una bianca ombra d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta del mondo antico,
richiesta dal mondo futuro, posseduta
dal mondo presente, divenne cosi' un male.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: “E' possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?”
Ora sei tu, la prima, tu la sorella piu' piccola, quella
che non conta nulla, poverina, col suo sorriso,
sei tu la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.
Brian, polvere di stelle?
RispondiEliminaApparentemente sì, ma le cose cambieranno, è successo altre volte nelle arti. Nei palazzi del Vaticano operarono Mantegna, Piero della Francesca, Giovanni da Verona, Lorenzo Lotto: pochi anni dopo il capriccio di papi nuovi che volevano modernizzare, portò a distruggere le loro opere. Solo che oggi di quei papi ci ricordiamo a stento i nomi, mentre non è così per gli artisti, che continuano a dirci la loro. Succederà anche per il cinema, anche se troppi non hanno ancora preso atto del portato strabocchevole di bellezza, umanità e cultura che c'è stato nel cinema del Novecento.
Succede così, bisogna farci il callo: metti insieme gli ultimi dieci Premi Strega e non fai un Federigo Tozzi, dimenticato per tanti anni. L'arte è esposta a tutti i venti, ma ha il fiato lungo.
Gabrilu, grazie per Pasolini, ho provveduto ad inserirlo fra i post cercando una immagine che dicesse cose non diverse. Certamente Pasolini, per come era fatto, era in sintonia con la bellezza e la fragilità di Marilyn Monroe, e qui si vede in modo commovente, non trovo altra parola.
saludos
Solimano
Grazie a Gabrilu e a Habanera per il video e le curiosità su Marylin: però è buffo... anche nelle foto da bruna, mi sembra che la Monroe abbia sempre la "faccia" da bionda!!!
RispondiEliminaCiao!
Roby
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