Sichinin no samurai di Akira Kurosawa (1954) Con Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Yoshio Inaba, Seiji Miyaguchi Musica: Fumio Hayasaka Fotografia: Asakazu Nakai (206 minuti) Rating IMDb: 8.8
Solimano
Federico Zeri diceva che ogni secolo ha una arte guida e che l'arte guida del '900 è stata il cinema. Sosteneva che molta fra la musica migliore del '900 la si trova fra quella realizzata per i film, e la trovo una osservazione illuminante. Non tutti sono d’accordo con Zeri, c'è persino la discussione se il cinema sia un'arte o no, Suso Cecchi D'Amico ad esempio propende per il no. A me sembra una excusatio non petita, viste le sceneggiature che ha scritto con troppa facilità, una via l'altra; poteva scriverne molte di meno e sarebbero usciti dei film più tosti, meno di superficie. E’ una discussione che lascia il tempo che trova: tutti amiamo i film della nostra vita, ognuno i suoi, e non ci poniamo il problema arte o non arte. Ma che dire, di fronte a I Sette Samurai? Che è la prova ontologica dell’esistenza dell’Arte del Cinema...
I Sette Samurai è del 1954. Non è un film di guerra, è un film epico, che è cosa diversa. L'edizione originale era lunga 206 minuti, tantissimo per quei tempi. Ma in Italia circolò una copia di meno di 140 minuti. Fu tagliata la parte in cui comparivano i contadini, il loro mondo, che Kurosawa, proprio come il suo amato Tolstoj, prediligeva e riteneva indispensabile per equilibrare il racconto. Solo in anni recenti è stata doppiata l'edizione completa, che uscì abbinata all'Unità. Riporto qui le ultime parole del film, quelle che pronuncia il capo dei samurai superstiti vedendo i contadini che si avviano ai lavori dei campi: "Ancora una volta abbiamo perduto… Non noi, ma i contadini sono i veri vincitori". Questa storia della copia tagliata ha fatto sì che io mi sia innamorato due volte de I Sette Samurai, smentendo così l’amico partenopeo che diceva che non ci si può innamorare due volte della stessa persona. Come identificazione, è sempre stato Kikuchiyo il personaggio a cui aderivo totalmente, è grandioso anche quando commette sciocchezze: quando segue da lontano i veri samurai perché vorrebbe essere con loro che non lo vogliono, ma anche quando si stufa di essere sfottuto e pesca con le mani il pesce mangiandolo alla faccia dei samurai regolari. Poi, il colpo di genio quando arrivano nel villaggio e tutti i contadini stanno nascosti: è Kikuchiyo che risolve la situazione suonando un gong, così tutti credono che arrivino i briganti e saltano fuori. Ma Kikuchiyo continuerà ad invidiare, ad ammirare, ad amare Kyuzo, il samurai zen, formidabile schermitore e capace di contemplare un fiore mentre arrivano i nemici. Fra i tre samurai superstiti non ci saranno né Kikuchiyo né Kyuzo, ragione in più per dire che hanno vinto i contadini. Ci sarà il samurai più vecchio e più esperto, che al giovane meravigliato che gli chiede come mai sa tante cose risponde che le ha imparate perdendo tutte le battaglie a cui ha partecipato. Va ricordato che i samurai erano tutti dei morti di fame: non c’era più la guerra ed erano dei disutili a spasso, al villaggio almeno mangiavano ogni giorno. Si capisce che la pace alla fine del film non è una non guerra, una situazione tranquilla ma senza sapore, è proprio la pace felice che i contadini desideravano: hanno veramente vinto, la frase non è una furbata dello sceneggiatore. Riuscire a costruire un film in cui la guerra è così vera, così rapinosamente trascinante, e al tempo stesso in cui la pace ha una sostanza sua, non di assenza di guerra, è stata forse la meraviglia più grande di Kurosawa, in questo film che di meraviglie trabocca in ognuno dei 206 minuti della edizione integrale. C'è di tutto, ne I Sette Samurai: l'acqua lenta del fiume, l'acqua scrosciante della pioggia nella battaglia finale, le prime armi da fuoco, i boschi frondosi, i prati fioriti, la ragazza a cui il padre taglia i capelli per fingerla maschio, il samurai più giovane che se ne accorge, la cavalcata per insidiare i briganti nel loro covo, Kyuzo che nella nebbia notturna va a sottrarre un archibugio, Kikuchiyo che salva un bambino, Kikuchiyo che mostra l'albero geneologico fasullo, Kikuchiyo a cui non bastano mai le spade, la musica per onorare i samurai e i contadini caduti, il contadino sempre impaurito, l'altro contadino sempre coraggioso, quello a cui i briganti hanno sottratto la moglie. Si discusse allora se Kurosawa fosse più occidentale od orientale, ci furono anche delle azzardate stroncature in Giappone e fuori. In questo film onnivoro e insaziabile ce n'è per tutti, Oriente e Occidente, adulti e bambini, che se vedono presto I Sette Samurai ameranno il cinema per tutta la vita.
Ho da sempre l’impressione che la vera anima di Kurosawa stia in Dersu Uzala, che è il suo primo film che ho visto al cinema. Rivedere I sette samurai dopo Dersu Uzala spiega tante cose; peccato solo che non si possa più farlo davanti al grande schermo, perché i film di Kurosawa (come quelli di Kubrick, come Novecento di Bertolucci) ci parlano per immagini più che con i dialoghi, e in tv diventano più piccoli e quasi incomprensibili (anche con le tv al plasma...)
RispondiEliminaGiuliano generalmente siamo amici di film abbastanza diversi, il che è una bella cosa, aggiunge varietà al multiblog. Ci sono ogni tanto le eccezioni, ne abbiamo visto una, quella di Cable Hogue, amicissimo ad entrambi. Apprezzo Dersu Uzala e forse hai ragione a dire che la vera anima di Kurosawa fosse lì, però amo di più la sua anima falsa, quella de I Sette Samurai!
RispondiEliminaRiguardo al grande schermo, condivido questa battaglia, che è di civiltà prima ancora che di cultura, e mi darò da fare qui a Monza appena finirà la campagna elettorale, adesso non ascolterebbero. Solo che io vorrei che i comuni prendessero in affitto una sala bella in un multisala, non il solito cinemino da addetti ai lavori o da cinefili grilli parlanti: essere presenti in un multisala significa che prima o poi entra chi quei film non li ha mai visti, e sono tanti. Dopo, può cambiare: la forza del cinema è nell'avere da dire non solo a pochi, ma a tanti. E' un'arte popolare, come erano l'opera lirica e il romanzo nell'Ottocento.
saludos
Solimano
L’anima di Kurosawa, nei “Sette samurai”, secondo me sta nei personaggi più quieti e riflessivi, quelli che sanno sempre che cosa fare e lo fanno, proprio come il piccolo esploratore Dersu Uzala. Lo dico perchè ho letto da poco la sua autobiografia, e ci ritrovo molto della sequenza iniziale del “samurai capo”; ma somiglia molto a Kurosawa anche il “samurai grasso” (non ricordo mai i nomi), quello che viene ripescato mentre fa il cuoco. Kikuchiyo è un personaggio splendido, ma non so quanto rispecchiasse le idee dell’autore: forse un po’ di invidia per la spontaneità, ma a questo punto sto tirando un po’ troppo Kurosawa dalla mia parte, e mi fermo.
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