Giulia
"Ho frequentato una scuola di città ed ho solo brutti ricordi! Ero così infelice, ansioso e disadattato che i miei genitori erano costretti a cambiarmi di classe ogni anno".
"Questa storia mi ha fatto ritornare sui banchi di scuola - dice in un'intervista Nicolas Philibert - e questa volta è stato un vero piacere"
"Essere e avere", un film-documentario, è il racconto di un regista che crede ancora che il cinema possa assolvere all’importante compito di "educare" e far crescere le coscienze degli spettatori.
"L’idea era quella di parlare di una scuola di paese. In Francia esistono ancora migliaia di scuole a classe unica".
"Le ricerche della scuola sono durate quasi cinque mesi. E poi, alla vigilia del ponte del 1° novembre, sono entrato nella scuola di un paese del Puy-de-Dôme, annidato nel cuore del Livradois Forez – Saint-Etienne sur Usson – e dopo un quarto d’ora non ho avuto più dubbi: l’avevo finalmente trovata. (...) Sono stato immediatamente conquistato dalla personalità del maestro, nel quale ho percepito – dietro un’apparenza leggermente autoritaria - un’attenzione profonda, un essere delicato e pudico".
Girare quel film per il regista partiva dal desiderio di seguire da vicino il lavoro e l’evoluzione dei bambini, per consentire agli spettatori di condividerne le prove, i successi, i momenti di scoraggiamento dei bambini quando apprendono.
La prima cosa che si nota è la bravura estrema con cui è riuscito a mimetizzare la macchina, a intromettersi il meno possibile nell'ambiente per poter cogliere con pienezza e autenticità le emozioni in gioco. La macchina da presa è piazzata in un angolo dell'aula scolastica e riprende discretamente dei bambini che disegnano o computano delle parole sotto la direzione del loro insegnante.
Il primo giorno di lavorazione il regista ha spiegato ai bambini dettagliatamente a cosa servivano tutti i loro macchinari: la giraffa, il registratore, il treppiede, gli obiettivi, l’esposimetro. Ognuno di loro ha avvicinato l’occhio alla macchina da presa, ha giocato con lo zoom, si è messo la cuffia in testa. "Dopo avere in parte appagato la loro curiosità, ho esposto le regole del gioco: se fino ad allora avevamo spiegato come avremmo lavorato, da quel momento in poi sarebbe stato il contrario. Il maestro ha ripreso in mano la classe, si sono messi al lavoro, noi abbiamo fatto altrettanto e dopo tre giorni facevamo quasi parte dell’arredamento".
"Essere e avere" è un film discreto e delicato che invece di manipolare la vita cerca di darne testimonianza. Non c'è il gusto del sensazionalismo, non c'è nessuno “scandalo” da raccontare come piace oggi fare ai nostri mass-media. Semplicemente il regista riprende giorno dopo giorno l’attività quotidiana di un maestro sulla soglia della pensione, alle prese con i bimbi di una “classe unica” .
"Nei miei film, io cerco di raccontare una storia, di “trascendere” la realtà immediata. Si tratta di far nascere l'immaginario a partire da luoghi, personaggi, situazioni che io filmo. Insomma cerco non tanto di fare dei film “su” ma dei film 'con'".
Nicolas Philibert lavora con persone vere, non con personaggi. La narrazione non si basa su una sceneggiatura precostituita, ma su una realtà che è passata sotto l'occhio della cinepresa. Naturalmente non tutto ciò che accade in aula entra a far parte del film. Dopo 60 ore di ripresa nell'arco di sei mesi, il montaggio – curato da Philibert in persona – elimina, scarta, seleziona, ma tutto avviene partendo da un progetto condiviso: il maestro, i genitori dei bambini, sono sempre stati informati preventivamente di cosa si stava facendo, l’hanno discusso con l’autore e l’hanno approvato.
Nicolas Philibert ama raccontare la vita, la vita e nient'altro, perchè soltanto imparando a cogliere la quotidianità, quello che di straordinario c'è nella quotidianità, si sa ritrovarne il gusto e solo partendo dalla realtà si può trovare il senso del nostro agire.
Saint-Etienne sur Usson è un paese montano della regione dell’Alvernia, nel cuore del Massiccio Centrale, la catena montuosa del centro-sud della Francia (approssimativamente fra Montpellier e Clermont-Ferrand). La gente che lo abita è abituata a vivere di duro lavoro nei campi, a vivere ogni momento della loro esistenza come una conquista contro le avversità del clima.
Il film inizia con la ripresa di alcuni contadini intenti a governare una mandria di mucche, colta alla sprovvista in mezzo ad una bufera di neve, per condurle al riparo. Si apre così non a caso. Quando si parla di scuola non è secondario dire dove ci si trova, perché ciò che i bambini vivono fuori dall'aula scolastica non è per nulla indifferente.
La macchina da presa si sposta per inquadrare la finestra e dal di dentro si guarda fuori. Al paesaggio grigio e agli alberi sferzati dal vento, fanno contrasto i colori più allegri e solari della finestra.
Ecco poi l'aula ancora deserta Mi ha sempre fatto una certa impressione camminare a scuola quando i bambini non ci sono. Il più delle volte le aule sono assolutamente anonime, non dicono nulla. Sono muri, tavoli e sedie. Altre aule, invece, parlano, ci raccontano qualcosa di chi le ha abitate come questa che si intravede in questo fotogramma dove si scorgono scritte, disegni, piante.
Da dietro un mobile spunta improvvisamente il muso antico di una tartaruga, che a passi lenti e microscopici avanza sul pavimento.
"La scuola è un luogo protetto dal mondo, - dice il regista - dove bisogna imparare a procedere lentamente per crescere» e ci sottolinea il valore della lentezza: quando un bambino apprende, ha bisogno di tempo. Sembra di sentire parlare i nostri insegnanti che dicono sempre: "Non ho tempo, sono indietro nel programma" e nulla, però, ci dicono se i propri allievi stanno apprendendo o no. "Testa ben fatta o testa piena?" si chiedeva già Montaigne.
La tartaruga che si muove flemmaticamente per l’aula vuota nella sequenza iniziale ed il mappamondo adagiato per terra sembrano suggerirci l'idea che solo con lentezza e la tenacia si può conoscere il mondo ed imparare ad affrontare la vita.
La cinepresa, quindi, di nuovo torna fuori. Lungo la strada ghiacciata sta avanzando un pulmino con i fari accesi, per farsi largo nella tormenta. Lo scuolabus effettua numerose soste: i genitori aprono la portiera per far salire a turno i bambini e subito dopo la spingono con forza per richiuderla.
Sono tutte queste scene prive di commento sonoro, perchè ci si predisponga all'ascolto, perchè la mente sia pronta ad ascoltare anche il silenzio. Un silenzio che ci aiuta ad entrare nell'atmosfera di un paesaggio dove regna il freddo e la neve. E corriamo anche noi dentro il pulmino in una strada tutta bianca dove gli unici rumori sono quelli del motore e del vento. Assistiamo al silenzio di questi bambini che, dopo essersi separati dai loro genitori, si preparano ad entrare a scuola e forse si chiedono come sarà, come saranno accolti, come riusciranno ad affrontare le difficoltà che sicuramente li aspettano.
Nicolas Philibert sceglie cosa mostrare non in funzione della bella immagine, della scena riuscita o dell’aneddoto simpatico, ma ci vuole raccontare la tenacia e la fragilità, la dolcezza e la forza, l’incertezza del futuro e il dolore del presente che accompagna la difficile crescita di questi bambini e il costituirsi graduale di quello che si può definire un patto civile, di rispetto e di solidarietà: tra gli allievi, tante piccole realtà differenti, piccole vite in costruzione e il paziente maestro George Lopez, che è anche guida, esempio. Essere e avere non sono solo degli ausiliari della comunicazione verbale, ma anche le basi su cui si poggia la vita.
George Lopez sa fare dell'aula in cui vive con i suoi allievi "un luogo di speranza per tutti" come diceva la filosofa Maria Zambrano.
Quante realtà forse esistono, sommerse e offuscate, lontano dalle luci della ribalta, ma non per questo meno grandi e importanti. Merito di questo regista avercele raccontate.
Nicolas Philibert pratica un cinema di ricerca, di fatto e non di nome, capace di guardare la realtà con occhi attenti, capace di osservare per svelare attraverso l’artificio del cinema delle realtà che spesso rimangono ai margini.
L’autore sembra ricordarci in ogni frammento di film: educazione è lentezza, è farsi carico, è ascolto come ci insegna questo maestro nella sua semplicità e sobrietà.
E' da ricordare che in Francia "Essere e avere" è stato visto da più di due milioni di spettatori. Un record assoluto per un film così.
"Questa storia mi ha fatto ritornare sui banchi di scuola - dice in un'intervista Nicolas Philibert - e questa volta è stato un vero piacere"
"Essere e avere", un film-documentario, è il racconto di un regista che crede ancora che il cinema possa assolvere all’importante compito di "educare" e far crescere le coscienze degli spettatori.
"L’idea era quella di parlare di una scuola di paese. In Francia esistono ancora migliaia di scuole a classe unica".
"Le ricerche della scuola sono durate quasi cinque mesi. E poi, alla vigilia del ponte del 1° novembre, sono entrato nella scuola di un paese del Puy-de-Dôme, annidato nel cuore del Livradois Forez – Saint-Etienne sur Usson – e dopo un quarto d’ora non ho avuto più dubbi: l’avevo finalmente trovata. (...) Sono stato immediatamente conquistato dalla personalità del maestro, nel quale ho percepito – dietro un’apparenza leggermente autoritaria - un’attenzione profonda, un essere delicato e pudico".
Girare quel film per il regista partiva dal desiderio di seguire da vicino il lavoro e l’evoluzione dei bambini, per consentire agli spettatori di condividerne le prove, i successi, i momenti di scoraggiamento dei bambini quando apprendono.
La prima cosa che si nota è la bravura estrema con cui è riuscito a mimetizzare la macchina, a intromettersi il meno possibile nell'ambiente per poter cogliere con pienezza e autenticità le emozioni in gioco. La macchina da presa è piazzata in un angolo dell'aula scolastica e riprende discretamente dei bambini che disegnano o computano delle parole sotto la direzione del loro insegnante.
Il primo giorno di lavorazione il regista ha spiegato ai bambini dettagliatamente a cosa servivano tutti i loro macchinari: la giraffa, il registratore, il treppiede, gli obiettivi, l’esposimetro. Ognuno di loro ha avvicinato l’occhio alla macchina da presa, ha giocato con lo zoom, si è messo la cuffia in testa. "Dopo avere in parte appagato la loro curiosità, ho esposto le regole del gioco: se fino ad allora avevamo spiegato come avremmo lavorato, da quel momento in poi sarebbe stato il contrario. Il maestro ha ripreso in mano la classe, si sono messi al lavoro, noi abbiamo fatto altrettanto e dopo tre giorni facevamo quasi parte dell’arredamento".
"Essere e avere" è un film discreto e delicato che invece di manipolare la vita cerca di darne testimonianza. Non c'è il gusto del sensazionalismo, non c'è nessuno “scandalo” da raccontare come piace oggi fare ai nostri mass-media. Semplicemente il regista riprende giorno dopo giorno l’attività quotidiana di un maestro sulla soglia della pensione, alle prese con i bimbi di una “classe unica” .
"Nei miei film, io cerco di raccontare una storia, di “trascendere” la realtà immediata. Si tratta di far nascere l'immaginario a partire da luoghi, personaggi, situazioni che io filmo. Insomma cerco non tanto di fare dei film “su” ma dei film 'con'".
Nicolas Philibert lavora con persone vere, non con personaggi. La narrazione non si basa su una sceneggiatura precostituita, ma su una realtà che è passata sotto l'occhio della cinepresa. Naturalmente non tutto ciò che accade in aula entra a far parte del film. Dopo 60 ore di ripresa nell'arco di sei mesi, il montaggio – curato da Philibert in persona – elimina, scarta, seleziona, ma tutto avviene partendo da un progetto condiviso: il maestro, i genitori dei bambini, sono sempre stati informati preventivamente di cosa si stava facendo, l’hanno discusso con l’autore e l’hanno approvato.
Nicolas Philibert ama raccontare la vita, la vita e nient'altro, perchè soltanto imparando a cogliere la quotidianità, quello che di straordinario c'è nella quotidianità, si sa ritrovarne il gusto e solo partendo dalla realtà si può trovare il senso del nostro agire.
Saint-Etienne sur Usson è un paese montano della regione dell’Alvernia, nel cuore del Massiccio Centrale, la catena montuosa del centro-sud della Francia (approssimativamente fra Montpellier e Clermont-Ferrand). La gente che lo abita è abituata a vivere di duro lavoro nei campi, a vivere ogni momento della loro esistenza come una conquista contro le avversità del clima.
Il film inizia con la ripresa di alcuni contadini intenti a governare una mandria di mucche, colta alla sprovvista in mezzo ad una bufera di neve, per condurle al riparo. Si apre così non a caso. Quando si parla di scuola non è secondario dire dove ci si trova, perché ciò che i bambini vivono fuori dall'aula scolastica non è per nulla indifferente.
La macchina da presa si sposta per inquadrare la finestra e dal di dentro si guarda fuori. Al paesaggio grigio e agli alberi sferzati dal vento, fanno contrasto i colori più allegri e solari della finestra.
Ecco poi l'aula ancora deserta Mi ha sempre fatto una certa impressione camminare a scuola quando i bambini non ci sono. Il più delle volte le aule sono assolutamente anonime, non dicono nulla. Sono muri, tavoli e sedie. Altre aule, invece, parlano, ci raccontano qualcosa di chi le ha abitate come questa che si intravede in questo fotogramma dove si scorgono scritte, disegni, piante.
Da dietro un mobile spunta improvvisamente il muso antico di una tartaruga, che a passi lenti e microscopici avanza sul pavimento.
"La scuola è un luogo protetto dal mondo, - dice il regista - dove bisogna imparare a procedere lentamente per crescere» e ci sottolinea il valore della lentezza: quando un bambino apprende, ha bisogno di tempo. Sembra di sentire parlare i nostri insegnanti che dicono sempre: "Non ho tempo, sono indietro nel programma" e nulla, però, ci dicono se i propri allievi stanno apprendendo o no. "Testa ben fatta o testa piena?" si chiedeva già Montaigne.
La tartaruga che si muove flemmaticamente per l’aula vuota nella sequenza iniziale ed il mappamondo adagiato per terra sembrano suggerirci l'idea che solo con lentezza e la tenacia si può conoscere il mondo ed imparare ad affrontare la vita.
La cinepresa, quindi, di nuovo torna fuori. Lungo la strada ghiacciata sta avanzando un pulmino con i fari accesi, per farsi largo nella tormenta. Lo scuolabus effettua numerose soste: i genitori aprono la portiera per far salire a turno i bambini e subito dopo la spingono con forza per richiuderla.
Sono tutte queste scene prive di commento sonoro, perchè ci si predisponga all'ascolto, perchè la mente sia pronta ad ascoltare anche il silenzio. Un silenzio che ci aiuta ad entrare nell'atmosfera di un paesaggio dove regna il freddo e la neve. E corriamo anche noi dentro il pulmino in una strada tutta bianca dove gli unici rumori sono quelli del motore e del vento. Assistiamo al silenzio di questi bambini che, dopo essersi separati dai loro genitori, si preparano ad entrare a scuola e forse si chiedono come sarà, come saranno accolti, come riusciranno ad affrontare le difficoltà che sicuramente li aspettano.
Nicolas Philibert sceglie cosa mostrare non in funzione della bella immagine, della scena riuscita o dell’aneddoto simpatico, ma ci vuole raccontare la tenacia e la fragilità, la dolcezza e la forza, l’incertezza del futuro e il dolore del presente che accompagna la difficile crescita di questi bambini e il costituirsi graduale di quello che si può definire un patto civile, di rispetto e di solidarietà: tra gli allievi, tante piccole realtà differenti, piccole vite in costruzione e il paziente maestro George Lopez, che è anche guida, esempio. Essere e avere non sono solo degli ausiliari della comunicazione verbale, ma anche le basi su cui si poggia la vita.
George Lopez sa fare dell'aula in cui vive con i suoi allievi "un luogo di speranza per tutti" come diceva la filosofa Maria Zambrano.
Quante realtà forse esistono, sommerse e offuscate, lontano dalle luci della ribalta, ma non per questo meno grandi e importanti. Merito di questo regista avercele raccontate.
Nicolas Philibert pratica un cinema di ricerca, di fatto e non di nome, capace di guardare la realtà con occhi attenti, capace di osservare per svelare attraverso l’artificio del cinema delle realtà che spesso rimangono ai margini.
L’autore sembra ricordarci in ogni frammento di film: educazione è lentezza, è farsi carico, è ascolto come ci insegna questo maestro nella sua semplicità e sobrietà.
E' da ricordare che in Francia "Essere e avere" è stato visto da più di due milioni di spettatori. Un record assoluto per un film così.
La cosa che mi ha colpito di più l'hai scritta alla fine, Giulia. Che in Francia un film del genere sia stato visto da due milioni di persone. Ho pensato all'Italia: ci sarebbe da baciarsi i gomiti se in Italia si arrivasse a centomila spettatori. E questo fa una bella differenza.
RispondiEliminaMolto interessante il discorso della lentezza. Non perché la lentezza sia di per sé una virtù, ma perché l'insegnamento andrebbe personalizzato ai ritmi dei singoli ragazzi. La cosa curiosa è che oggi sarebbe possibile più di ieri, perché la tecnologia aiuterebbe, specie nel caso della matematica, ma non solo. Esistono dei programmi informatici che cadenzano l'apprendimento nozionistico sul ritmo del singolo, in modo che l'insegnante faccia il lavoro sul versante della qualità, non della quantità. In azienda noi li usavamo correntemente per l'istruzione tecnica (ma va bene anche per le lingue ed altro). Il risultato è che non si crea quella situazione in cui i migliori si annoiano e quelli in difficoltà si scoraggiano: ognuno giunge agli stessi risultati mettendoci il tempo necessario a lui.
grazie Giulia e saludos
Solimano
La lentezza non vuol dire, Solimano, che qualcuno sta fermo ad aspettare altri. Vuol dire insegnare prima di tutto come ci si comporta a scuola, poi a lavorare anche se l'insegnamte non è lì vicino con il fucile spianato perchè a farlo hanno tutti dei vantaggi. Questo lavoro non lo fa quasi nessuno. Io l'ho fatto e ti assicuro che si riesce. Certo ci vuole pazienza e tutto va insegnato anche il comportamento.
RispondiEliminaIo spesso uscivo apposta di classe e li lasciavo soli: il bidello si fiondava sulla classe per "tenere la disciplina", io lo mandavo via; dopo quando tornavo mi chiedevano: come fa? Si fa..
In questo modo è possibile anche individualizzare l'insegnamento. A volte poi essere più svelti non vuol dire essere bravi, perchè la riflessione è di per sè lenta. A volte imparano in fretta perchè semplicemente hanno pèiù memoria, ma se cominci a fare domande che implichino un pensiero rallentano tutti.
Grazie e ciao
Un bellissimo film, Giulia; in genere i film sui bambini sono pericolosi, si rischia sempre di cadere nel melenso e di farne degli ometti saputelli. Invece qui si tratta proprio di "bambini", così naturali e credibili. Sarà il fatto di aver scelto di girare un film-documentario; sarà per la bravura del regista; sarà per il fascino di questo paesino sperduto, di questa scuola piccola e però ricchissima; fatto sta che ricordo con grande piacere questa pellicola. Ed il fatto che in Francia sia stato un successo, e che invece da noi sia sparito dopo due giorni, la dice lunga...
RispondiEliminaMi dispiace non averlo visto, mi hai dato uno spunto interessante. Sarebbe bello proporlo in visione nelle nostre scuole. L'elogio della lentezza come intendi tu, Giulia, che coniugata all'applicazione suggerita da Solimano darebbe senz'altro ottimi risultati. Oggi in classe si annega tra le scartoffie e il momento che stiamo vivendo non aiuta certo i docenti ad applicarsi serenamente al loro difficile compito. Salutissimi, Annarita
RispondiEliminaSolimano, anche in Italia ha avuto un discreto successo, ma è rimasto poco nelle sale. Io però conosco molta gente che lo ha visto in DVD.
RispondiEliminaA tutti è piaciuto. Sono d'accordo che le lantezza non è di per sè una virtù, ma è necessario che si rispettino i ritmi di apprendimento di ognuno. Io avevo allievi molto bravi, ma più lenti di altri più superficiali e mnemonici nell'apprendimento. Se si rispettano i ritmi di ognuno tutti apprendono secondo le loro capacità e caratteristiche personali.
Gli strumenti informatici possono essere utili, ma in Italia in questo senso siamo all'età della pietra. Se ci sono computer hanno programmi vecchissimi oppure ce n'è uno ogni dieci allievi.
Elena, sono contenta che sia piaciuto anche a te e concordo pienamente con quello che dici.
Annarita è un film assolutamente da far vedere anche e soprattutto alle insegnanti. Guardalo anche tu, sono sicura che ti piacerà molto. Credo che si trovi in DVD.
Saluti cari a tutti
Concordo pienamente con la recensione di questo bellissimo film. L'ho trovato di una raffinatezza quasi commovente: in un'epoca in cui si rincorrono cose materiali e futili, è confortante sapere che c'è ancora qualcuno che si interessa alle cose semplici e desidera condividerle. Arrivo con più di due anni di ritardo a commentare questo post, ma solo in queste feste ho avuto modo di guardare e di gustarmi quest'opera. Da quasi un mese si parla in rete di Own Air, la prima piattaforma current in download, così mi sono finalmente decisa a sperimentarla. E non solo sono rimasta colpita dall'ottima qualità audio/video, ma anche e soprattutto dal vasto ed interessante catalogo (non è facile trovare in giro film belli come questo).
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