Solimano
Oggi è il 25 aprile, Festa della Liberazione, e inserisco nel blog due testimonianze oculari.
La prima è mia, e fa parte delle 54 Novellette degli Odori che ho scritto circa due anni fa. E' intitolata 21 aprile 1945 perché fu in quel giorno che gli Alleati giunsero a Bologna.
La seconda è di un mio amico, Toti Iannazzo, che vive a Monza da decenni, ma che da ragazzo viveva a Bisacquino, un comune in provincia di Palermo. Racconta l'arrivo degli Alleati nel suo paese, il che accadde circa due anni prima. E' una testimonianza singolare, leggendola capirete il perché: è un risvolto a cui probabilmente non abbiamo mai pensato, ma basta riflettere sul fatto che prima del 25 aprile 1945 c'era stata un'altra data: 8 settembre 1943. Il racconto più ampio di Toti, tratto dal libro collettivo di testimonianze "Giocavamo alla guerra", lo trovate qui, e c'è anche la prima attività politica di Toti ragazzo: la preparazione manuale (una specie di tazebao ante litteram) di un grande manifesto di propaganda a favore della Repubblica. E a Bisacquino vinse la Repubblica.
21 aprile 1945 Primo Casalini
Avevo sei anni da pochi giorni e la mattina dell’arrivo degli Alleati ero in via Zamboni a Bologna, in prima fila perché da dietro non avrei veduto. Soldati con uniformi bellissime - erano le tute mimetiche - e un’aria molto vissuta, e pensare che avevano solo vent’anni. Armi di ogni tipo, pulite e luccicanti. Non fu come in certe fotografie di soldati ridenti abbracciati da ragazze. Questi erano seri, presi dal loro compito - arrivare in Piazza Maggiore, credo - e ci guardavano poco. C’erano degli applausi sentiti ma brevi, perché anche gli adulti erano a bocca aperta. Gli odori formidabili di quel giorno vennero dalle benzine e dalle gomme - sia nuove che bruciate. E’ facile dire oggi che sono puzze, ma così non era allora, la prima volta che le si sentiva, così forti e coerenti con quel che accadeva. Tutti erano motorizzati, non vidi nessuna colonna a piedi, salvo alla fine con i partigiani. Nei mesi precedenti non avevo notato automobili o mezzi militari per le vie di Bologna, neppure sfilate di soldati. Stavamo quasi sempre chiusi in casa, sfollati dalla Stazione Centrale troppo minacciata dai bombardamenti. Qualche volta di notte toccava andare nei rifugi antiaerei, che si stava tutti zitti e seduti con la schiena accostata al muro guardandoci in faccia, in attesa della sirena del cessato allarme. Alcune settimane prima ci fu una camminata veloce per via Indipendenza, con la mamma che stringeva forte la mia mano, e dall’altra parte aveva mia sorella. Era la mattina in cui cercava di rintracciare il babbo, preso dalle Brigate Nere. Il babbo era un ferroviere fra i tanti, a sistemare i binari dopo i bombardamenti, ma in quei giorni i fascisti disperati tiravano colpi a caso, per fortuna fu rilasciato. La notte prima avevamo dormito chissà dove su un materasso disposto sul pavimento, mia sorella con la testa da una parte ed io dall’altra, con i piedi ci si scontrava. La consapevolezza venne anni dopo, e compresi anche quel che significava il silenzio, dopo la fine della colonna americana, del grande carro con sopra decine di uomini non in uniforme, con lo sguardo duro, ammirati e temuti dalla gente per strada. Erano i partigiani, gli ultimi mesi erano stati crudeli, molte le spiate e le conseguenti uccisioni. Nel pomeriggio di quel 21 aprile andarono casa per casa, sapevano chi cercare e dove cercarli. Per me quella mattina fu come se mi avessero regalato un colossale gioco, senza che io sapessi che cosa fossero soldati, fucili, carri armati e jeep. Non so dire se ne fossi felice o no, fui semplicemente travolto dalla meraviglia. Un giorno discriminante, del dopo ho tanti ricordi, del prima pochissimi.
L'arrivo degli Alleati a Bisacquino Toti Iannazzo
Che lo sbarco fosse avvenuto lo constatai di persona qualche giorno dopo che era avvenuto. Mio padre, non ricordo più per quale ragione, dovette andare in paese, ed io volli ancora una volta accompagnarlo. Era sempre una distrazione, dopo un lungo periodo di giorni monotoni in campagna. Il tragitto, come ho detto sopra, si compiva sempre a piedi, per sentieri, e durava un'ora o poco meno. L'unica alternativa era andare a cavallo, con un mulo od un asinello del mezzadro. Ma vi si ricorreva solo in caso di emergenza, poiché gli animali servivano al mezzadro per i suo lavoro quotidiano. Si partiva presto, non dopo le sette, per scansare la calura del giorno. Dopo l'arrivo, visitati gli zii, salutati alcuni amici che si incontravano per strada, fatti alcuni acquisti - tra cui, immancabile, il Giornale di Sicilia del giorno prima - ci recammo a casa nostra, sulla strada principale del paese. Qui mio padre si diede a sbrigare il lavoro per cui era venuto, mentre io leggevo un giornalino - sarà stato "Il Vittorioso"? - che mio padre mi aveva acquistato. Fummo attratti da un rumore di motori, proveniente dalla strada, che era cominciato poco a poco ma che cresceva sempre di più. Ci affacciammo entrambi al balcone, che dava sulla strada. E fu così che vidi, per la prima volta, le jeep, che mi sembrarono allora dei veicoli stranissimi. Mio padre non sembrò sorpreso. Probabilmente dai discorsi degli amici che aveva incontrato aveva appreso le ultime notizie, e quindi si aspettava di vedere quel che vide. Per cui rientrò quasi subito, scuro in volto. Io invece rimasi al balcone, affascinato. Intanto la carovana di veicoli - alle jeep si erano aggiunti, numerosissimi, degli enormi camion stracolmi di soldati - diventava sempre più fitta e rumorosa. La gente cominciava a scendere in strada, applaudendo; e i soldati americani, armati di tutto punto ma allegri e sorridenti, rispondevano agli applausi gettando alla folla caramelle e gomma da masticare, quest'ultima una novità assoluta per tutti.
Poco dopo mio padre mi chiamò: era pronto ad andare. Scendemmo le scale e ci trovammo per strada, tra la folla plaudente ed i camion che continuavano a sfilare. Notai che mio padre non aveva più sorriso da quando aveva visto gli americani. Adesso sembrava ancora più arrabbiato. D'improvviso si rivolse alla gente, che lo salutava affettuosamente - molti di loro erano probabilmente stati suoi alunni - e pronunciò - metà in italiano e metà in dialetto - queste parole, che mi rimasero impresse indelebilmente nella memoria:
"Sì, battete le mani, battete le mani!". Lo disse per due volte in rapida successione. "Ma poi ve lo metteranno in c***!", soggiunse con tono che non attendeva repliche.
Io, e penso anche gli altri, non l'avevo mai sentito pronunciare in pubblico una parola scurrile, né mai lo sentii farlo di nuovo dopo quell'episodio. E infatti tutti lo guardarono esterrefatti, io per primo, e si zittirono di colpo. Mio padre intanto mi afferrò per mano, attraversò, mentre mi tirava, la folla e la colonna dei camion, ed imboccò un vicoletto che in breve ci condusse fuori dal paese. Raggiungemmo in silenzio il nostro fondo.
Mio padre, che aveva avversato - con i rischi che ciò allora comportava - il fascismo, vedeva con favore la fine, ormai inarrestabile, di quel regime. Ma aveva anche combattuto, giovanissimo, sul Grappa durante la Grande Guerra. Gli sembrò, evidentemente, che l'entusiasmo apparente di quella folla verso i vincitori fosse un atto di sottomissione eccessivo, e la redarguì aspramente.
Caro Solimano, intanto fai i complimenti a Toti Iannazzo, che so tuo amico.
RispondiElimina(i complimenti a te mica te li posso fare qui...)
Anzi no: ormai il conflitto d'interessi è legale e benedetto:
complimenti anche a Solimano.
1) Magnifiche letture in questo giorno di festa un po' in sordina, con gente che sembra giocare al tiro alla fune col 25 Aprile. Emozionante pensare a Solimano bambino in via Zamboni a Bologna... tragicamente profetiche le parole del padre di Iannazzo...
RispondiElimina2) Giuro, non sapevo che Era notte a Roma fosse di Rossellini! Questo è uno dei pochi film "italiani" che ho visto da ragazzina in TV insieme ai miei genitori, di solito ostili alla cinematografia nostrana. La storia degli alleati nascosti in soffitta mi colpì moltissimo, soprattutto per il loro tentativo di comunicare in latino con quella che credono una suora; e così pure -nel finale- ricordo con commozione il pianto di Giovanna Ralli su Salvadori ucciso.
Abbracci e baci
Roby