Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce
Quando un film mi piace, la mia mente comincia a viaggiare con la mente inseguendo le immagini che scorrono davanti ai miei occhi. Non ho bisogno di trame complesse e di effetti speciali. Anzi…
Mi piacciono molto i film che, apparentemente semplici nella loro struttura, mi trasmettono quelle emozioni che appartengono alla vita semplice, a quella vera e quotidiana, quella che non ha artifici, ma sa cogliere il genuino.
La vita è sempre cammino, è ricerca di un qualcosa che non sempre si raggiunge a cui però si tende, si cammina guardando e cogliendo quello che la vita ci offre nel bene nel male. Il cammino però, se vuole godere di tutto ciò che ci viene incontro, deve essere lento e accompagnato dalla riflessione, dall'attenzione… Altrimenti è fuga, corsa cieca verso il nulla.
Il cinema di Kiarostami sa darmi questo modo di vedere la vita.
“Non deve stupire – egli ci dice - che l'automobile sia cosi presente nei miei film recenti: spesso guardo il mondo attraverso i finestrini della mia auto (...) i miei pensieri sono molto più fluidi di quando sono seduto al mio tavolo.
La ricerca, come sappiamo, è uno degli elementi delle filosofie orientali. È la ricerca senza meta, perché in realtà è l'atto stesso della ricerca ad essere importante e quindi cerchiamo sempre un motivo che ci spinga a muoverci... è un viaggio senza fine, come quando si arriva sulla cima di una montagna e scoprendone altre di fronte a noi siamo subito presi dal desiderio di continuare il cammino verso nuove mete”.
"Noi orientali non diciamo procurarsi il pane ma correre dietro al pane".
Diceva Rossellini che la realtà è lì davanti, pronta per il regista che non ha altro da fare che metterla in scena. Kiarostami, ne è un bellissima testimonianza.
E il film di Kiarostami è semplice, essenziale, ma non per questo povero. Siamo noi poveri quando abbiamo bisogno di evadere in realtà estranee alla quotidianità della gente per trovare “qualcosa”, vuol dire che i nostri occhi non sanno vedere se non realtà fittizie ed artificiali.
Ci vuole, dice il regista, uno sguardo semplice per dire cose complesse “Tutto dipende da chi guarda chi, e dal modo in cui lo fa... (...) Bisogna saper guardare, saper vedere. Tutto si riassume nel modo di vedere. I (...) Un giorno stavo passeggiando per strada con mio figlio, era ancora un bambino, e mi disse: "Papa, l'occhio è proprio una cosa bizzarra!" Allora gli ho chiesto: e perché? Mi rispose: "Perché due vetri rotondi e cosi piccoli sono capaci di vedere tutte queste cose cosi grandi". (...) Talvolta i bambini ricordano agli adulti che bisogna meravigliarsi, che non devono guardare la vita in maniera superficiale, ma aprire bene gli occchi e approfittare dell'istante. Basta guardare in modo semplice”.
Anche per questo ama i bambini. "Io li amo perché piangono facilmente e mostrano le loro emozioni. Li amo perché distruggono ciò che stanno costruendo e non cercano di conservarlo. Li amo perché si lanciano nelle scorribande, e si rotolano sul suolo per giocare nella terra con i loro abiti nuovi, in perfetta noncuranza. E quando fanno a botte tra di loro non c'è traccia di odio nei loro cuori".
Sono parole di un poeta arabo che Kiarostami cita per dimostrarci quanto per lui siano importanti i bambini nella sua filmografia.
Kiarostami non ha scritto film per bambini, ma film sui bambini perché secondo lui sono “magici” “Osservate i bambini, vedrete che essi vivono al modo dei grandi mistici. Non ho mai visto un bambino aver paura della morte, una caratteristica che appartiene appunto ai grandi mistici. Guardate il volto di un bimbo al risveglio: la sua bocca si apre prima dei suoi occhi, egli si invola verso la vita con un sorriso”.
Ma non è facile lavorare con loro, bisogna conoscerli bene, saper entrare in empatia. Un bambino che lavora in un film non lo fa ne per i soldi ne per diventare famoso, “hanno bisogno solo del rispetto per i loro sentimenti interiori. Se non vogliono farlo nessuno è in grado di farli lavorare”.
Il bambino non segue la sceneggiatura del film che si sta girando, “bisogna usare sceneggiature molto semplici, fatte di tanti pezzetti, e come in un rosario ogni granello va attaccato all'altro. I frammenti di sceneggiatura compongono la storia complessiva”.
Dietro un'apparente semplicità assoluta, Kiarostami è abituato a lavorare con il minimo dei mezzi disponibili, in un paese pieno di problemi come l'Iran. Riesce in modo straordinario a filmare frammenti di vita quotidiana e piccoli contrattempi del vivere, egli ingaggia soltanto attori non professionisti, in molti casi presi dalla strada, tanto che nelle sue opere troupe e gente del luogo finiscono per mescolarsi, diventando tutti attori, che recitano se stessi, tornando spesso sul set dove erano finite le scene del film precedente.
"Io cerco le realtà semplici, ma nascoste dietro le realtà apparenti. Al momento di fare un film io mi imbatto, a volte, in eventi e in relazioni che si svolgono al di fuori del mio tema principale, dietro la cinepresa, più interessanti e avvincenti del tema principale del film che si sta girando. Così avvincenti che mi viene voglia di voltare la cinepresa verso questi eventi"
E quello che lui spera che nel film entri in qualche modo anche lo spettatore “Se l’arte – dice – arriva a cambiare le cose e a proporre delle idee nuove, ci riesce esclusivamente grazie alla libera creatività di colui al quale si rivolge: lo spettatore”
Scrive Goffredo Fofi che il cinema, inteso come arte pura, ha in Kiarostami un regista cui affidarsi totalmente, in un'epoca sempre più dominata da criteri di commerciabilità, marketing e, fuor di metafora, imbecillità. Il suo cinema ha la semplicità e la schiettezza della poesia che solo un regista colto e ipersensibile, esperto come lui può realizzare.
Kiarostami è un Maestro e un Poeta: per una volta uso le maiuscole.
RispondiEliminaLa cosa più bella, per noi, è che lui si dichiara sempre discepolo di Vittorio De Sica: ed è verissimo, basti guardare come filma i bambini.
Grazie, l'avete molto vlorizzato. Sono d'accordo con te Giuliano, i suoi film sono molto poetici pur essendo ancorati alla realtà. Belle fotografie. Giulia
RispondiEliminaKiarostami è l'ultimo regista che mi abbia "sorpreso", prima che smettessi di andare al cinema e, in pratica, di vedere film. Fa ancora dei film? E' in Iran o in Europa? (Amaro destino, essere costretti tra il regime che censura e gli esperti di marketing che non vogliono sorprese).
RispondiEliminaDi Kiarostami ho visto tre film, e sono d'accordo: si sente positivamente l'influenza di De Sica. Lo trovo buonista, perché è più quello che non dice che quello che dice, ma credo sia inevitabile: fare i registi in certi paesi (ma anche gli scrittori, forse anche i matematici)deve essere un mestiere in cui scatta un meccanismo di autocensura probabilmente tanto abituale che diviene quasi inconscio. Lo vediamo anche da noi, quando si tratta del fondamentalismo islamico si tende a girare la testa da un'altra parte. Mi fa piacere che Giulia intenda scrivere altri post sui film di Kiarostami, e starò all'erta, il problema so già quale sarà: trovare le immagini, cosa relativamente facile solo per quei tre o quattro film più noti.
RispondiEliminagrazie Giulia e saludos
Solimano
Il Sapore della Ciliegia si chiude (mi sembra) con i due protagonisti che recitano dei versi di Kayyham dal contenuto decisamente ateo. Nei film di Kiarostami, infatti, la religione non appare mai, se non di striscio. Un'autocensura che pare anche una censura; una rimozione dell'esistente che è anche un auspicio -non utopico, dal punto di vista stilistico- per il futuro.
RispondiEliminaAmo i film di Kiarostami; leggere queste tue note, Giulia, me li fa capire ed apprezzare in modo più consapevole.
RispondiEliminaChi è il poeta che parla in modo così bello dei bambini?
A presto, al prossimo Kiarostami
Elena
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