La Belle et la Bête (1946), dal racconto di M.me Leprince de Beaumont, regia di Jean Cocteau, aiuto regista René Clement, sceneggiatura e dialoghi di Jean Cocteau, con Jean Marais, Josette Day, Mila Parély, Nane Germon, Michel Auclair, Raoul Marco Marcel André. Tecnico delle luci Henri Alekan, Scenografie Lucien Carré, René Moualert, Costumi di Antonio Castillo, Marcel Escoffier, Christian Bérard (non accreditato), Musiche originali di Georges Auric, Produzione Èmile Darbon, Francia, 1h 36min., Rating IMDb: 8.3
Gabrilu sul suo blog NonSoloProust
"Il était une fois..."
"C'era una volta..."
Su una lavagna di ardesia che compare subito dopo i titoli di testa, leggiamo il messaggio di Jean Cocteau che invita noi, spettatori adulti, a lasciarci andare alle magiche parole dell'infanzia e dell'ingenuità
La Bella e la Bestia (tit. orig. La Belle et la Bête) del 1946, con Josette Day e Jean Marais nel ruolo della Bestia, fu il primo film scritto e diretto da Jean Cocteau dopo il surrealista Le Sang d'un Poete del 1930. Sebbene apparentemente molto diversi, le metafore visive di entrambi i lavori avevano a che fare con il mito ed avevano come obiettivo di creare un'atmosfera di bellezza da fiaba. Con La Bella e la Bestia, il romanziere, poeta, drammaturgo, pittore Jean Cocteau realizza dunque il secondo film ed il suo primo lungometraggio tornando all'idea, a lui familiare, di mostrare come sia difficile distinguere la realtà dalla fantasia.
La Belle et la Bête di Cocteau è il primo vero adattamento cinematografico della fiaba del 1757 di Mme Leprince de Beaumont, revisionatrice, a sua volta, di un'antica versione già nota nella tradizione orale e precedentemente trascritta da M.me Gabrielle-Suzanne de Villeneuve.
Oltre a quella di Cocteau esistono parecchie altre versioni, tra cui il film di Edward L. Cahn con George C. Scott (1962), il film d'animazione degli studi Disney del 1991, e anche un musical di Broadway del 1994.
Non credo ci sia bisogno, questa volta, di parlare dettagliatamente della trama, penso la conoscano tutti. Belle è una ragazza buona e generosa, che vive con le sorelle intriganti e invidiose e che accetta di prendere il posto del vecchio padre, rimasto imprigionato nel castello della Bestia. Con il passare del tempo si rende conto che quest'ultimo non è così terribile come sembra a prima vista.
Avenant, un giovane del villaggio innamorato di Belle cerca invano di liberarla dall'influenza della Bestia e tenta, con l'aiuto di Ludovic, fratello di Belle, di uccidere il mostro.
Mi chiedo se questo film di Cocteau, che occupa un posto molto importante nella storia del cinema, sia abbastanza conosciuto ed apprezzato o se quando si parla di trasposizione cinematografica di questa fiaba viene in mente soltanto il (gradevolissimo, peraltro) film della Disney.
L'idea del film l'ebbe Jean Marais. Alla fine della seconda guerra mondiale, la Francia non si era ripresa dall'incubo di un passato ancora troppo recente. Marais suggerì allora a Jean Cocteau che un bel diversivo avrebbe potuto essere, per i francesi, un film basato sulla celebre favola di Madame de Beaumont. Cocteau colse al volo il suggerimento e si ripromise di introdurre un nuovo genere cinematografico: il film fiabesco.
Non mancarono i problemi. Innanzitutto, Jean Marais era ancora sotto le armi e non avrebbe potuto girare il film. Cocteau ottenne però dal generale Leclerc una speciale licenza perchè l'attore potesse tornare, con il solo vincolo di presentarsi tutte le settimane a firmare un foglio di presenza a Les Invalides a Parigi. Sarebbe rientrato alla sua divisione in Germania al termine delle riprese.
Poi lo stesso Jean Marais, quando scoprì che in pratica sarebbe stato mascherato per tutta la durata del film minacciò di non interpretare più la Bestia.
Jean Cocteau riuscì a convincerlo ed in seguito girerà con lui tutti gli altri suoi film: L'Aigle à deux têtes (1947), Les Parents terribles (1948), Orphée (1949) et Le Testament d'Orphée (1960).
A metà circa della lavorazione, fu la volta del produttore André Paulvé a minacciare di ritirarsi. Cocteau gli propose di provare a visionare un pezzo del film e Jean Marais suggerì di scegliere la scena più commovente. La moglie del produttore pianse durante la proiezione e André Paulvé cambiò opinione.
Durante la formazione del cast, Marcel Pagnol, che aveva rotto la sua relazione con Josette Day, chiese a Cocteau di prenderla per il ruolo di Belle. L'incontro avvenne ad una cena in casa Rothschild. Sembra che Josette Day si sia presentata alla cena ingioiellata, truccata, molto elegante. Questo non corrispondeva all'idea che di Belle aveva Jean Cocteau. Allora il costumista e decoratore di interni Christian Bérard la portò in bagno, le fece lavare la faccia, le rifece la pettinatura raccogliendo i capelli in uno chignon e poi la riportò a tavola esclamando: "Ecco qui la Belle!"
Gli abiti sontuosi e fiabeschi furono creati da tre grandi costumisti: Antonio Castillo, Marcel Escoffier, Christian Bérard e vennero realizzati da una delle più importanti case d'alta moda dell'epoca, la maison Paquin.
Jean Marais immaginava, all'inizio, una Bestia con la testa di cervo.
Marcel Pagnol gli ricordò però il significato che in Francia -- ma non solo -- ha l'uomo "cornuto", e che dunque era meglio lasciar perdere...
Christian Bérard, da parte sua, gli dimostrò anche che siccome la Bestia doveva mettere paura, non poteva certo essere un animale erbivoro ma un carnivoro.
La famosa maschera della Bestia venne confezionata dal grande parrucchiere parigino Pontet. Ogni pelo era montato su un velo di tulle diviso in tre parti che veniva incollato sul viso di Marais. L'operazione di trucco era molto penosa e prendeva cinque ore al giorno: tre ore per il viso ed un'ora per ciascuna mano. Alcuni denti furono ricoperti di vernice nera per dar loro un aspetto appuntito ed i canini provvisti di zanne tenute da ganci dorati.
Così conciato, Marais durante le riprese poteva nutrirsi solo di purées e di passati.
Assistente alla regia di Jean Cocteau per il film fu René Clement, che all'epoca non aveva ancora realizzato che cortometraggi e documentari. Alcune sequenze de La Bella e la Bestia furono girati personalmente da René Clément, in particolare le scene che si svolgono al villaggio di Belle.
Le musiche originali del film sono di Georges Auric, uno dei componenti di quel gruppo musicale detto "Il gruppo dei Sei" composto da musicisti del calibro di Darius Milhaud, Francis Poulenc, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre (unica donna del gruppo) e Louis Durey.
Per quanto riguarda la fotografia, le citazioni pittoriche sono evidenti ed anche dichiarate. Il mondo di Belle, domestico e borghese, non è fotografato allo stesso modo di quello della Bestia.
Gli esterni del primo sono molto luminosi perchè reali
mentre i suoi interni sono influenzati dalle pitture dei maestri fiamminghi ed olandesi, soprattutto da Vermeer.
Il mondo della Bestia, invece, scuro e misterioso, barocco e surreale, fa riferimento alle incisioni di Gustave Doré che aveva illustrato le fiabe di Perrault. "Ho fatto il mio film pensando a lui" dichiarò Cocteau.
I luoghi della lavorazione furono il Castello di Rochecorbon in Indre-et-Loire, e gli esterni del castello della Bestia il castello di Raray vicino Senlis.
Girare nella Francia del '45 non fu semplice. Il film fu realizzato nell'immediato dopoguerra (precisamente dal 27 agosto 1945 all'11 gennaio 1946). Le condizioni di lavoro non erano le più confortevoli. Ci furono difficoltà a trovare la pellicola, c'erano restrizioni nell'erogazione dell'energia elettrica, interruzioni di corrente, mancanza di luce di studio. Le riprese dipendevano soprattutto dalla luce naturale. Jean Cocteau insistette per filmare in ogni condizione con l'obiettivo di "evocare la bellezza che arriva per caso". Quando la scena richiedeva più luce, si utilizzavano torce e lampade al magnesio. Le persone addette ai costumi ed alle scenografie lavoravano spesso a lume di candela.
In questo film si vede che grande ruolo possa giocare la luce nell'emergenza del fantastico. Per Cocteau, "un film è una scrittura in immagini". La luce, sotto la direzione dell'operatore capo Henri Alekan, diviene uno dei modi poetici privilegiati dell'espressione dell'irreale: in questo "racconto di fate senza fate", come lo definì lo stesso Cocteau, la magia è soprattutto quella del linguaggio cinematografico.
Quando La Bella e la Bestia uscì nelle sale cinematografiche sorprese molto ed ebbe un grandissimo successo e nel 1946 ottenne il Premio Louis Delluc.
Il film rimane fedele allo spirito della fiaba del 18° sec., ma attraverso le sue invenzioni Cocteau lo rese inconfondibile e ne fece un modello di riferimento anche per altri registi. Introdurre nel cast nel ruolo della Bestia colui che in quel momento era considerato "il più bell'uomo del mondo" fu un vero coup de theatre.
I candelabri retti da braccia viventi e le cariatidi fumanti e con gli occhi umani non si dimenticano facilmente.
I talismani magici (un cavallo bianco, un globo, una chiave, lo specchio magico ) hanno un grande ruolo in tutto il film e ci si è sbizzarriti sull'interpretazione del loro significato simbolico. Senza contare i giardini incantati, gli oggetti che si muovono, le porte che parlano. L'iconografia, come in molti enigmatici lavori di Cocteau, suscitò discussioni e dibattiti tra surrealisti, junghiani, simbolisti.
Il film, come il racconto su cui si basa, parla del modo di rapportarsi con la diversità: è mostruoso tutto ciò cui non siamo abituati, ci fa paura tutto ciò che non rientra nei canoni abituali.
Nell'elaborare il tema dell'identità (anche sessuale) Cocteau "gioca" molto sul travestitismo ed è molto significativo che Jean Marais interpreti e rivesta i panni, nel film, di tre identità molto diverse: Marais è infatti nei panni di Avenant, l'avvenente giovanotto innamorato di Belle ma è anche la mostruosa Bestia. Lo vediamo infine vestire gli sfarzosi abiti del bellissimo principe in cui la Bestia --- salvata dall'amore di Belle --- si trasforma.
Nel film c'era originariamente una sequenza (chiamata "La farce du drapier" ) di cui Cocteau era entusiasta ma che poi tagliò dalla versione definitiva del film: era una scena in cui Avenant (Jean Marais) in compagnia del fratello di Belle, Ludovic (Michel Auclair) per prendere in giro l'usuraio si traveste da donna ed imitando la voce di Felicie, una delle due sorelle di Belle, dichiara il suo amore all'usuraio. Questa scena di cui Cocteau non parlò mai pubblicamente è accuratamente descritta nel suo diario e lo spezzone di pellicola è stato ritrovato solo qualche anno fa, nella villa di Milly-la forêt in cui l'artista visse gli ultimi anni.
Perchè Cocteau, pur essendo entusiasta della riuscita di questa sequenza, alla fine la tagliò? Molto probabilmente per salvaguardare l'immagine e la carriera di Jean Marais.
Interpretando infatti un ruolo "en travesti" il giovane attore si sarebbe compromesso.
Si trattava, certo, di un travestimento scherzoso, buffo, fatto per far ridere, ma Cocteau lo giudicò talmente riuscito da temere che il pubblico e la stampa, che non ignoravano la relazione tra lui e Jean Marais, e che inoltre assimilavano omosessualità e modi effeminati non gli avrebbero risparmiato frecciate e battute velenose.
Come succede con tutti i libri o i film che sono ormai entrati nella storia, anche sulla genesi, sui retroscena, sugli elementi anche secondari dell'opera non si smette di indagare, scavare, ipotizzare.
Comunque sia, resta il fatto che La Bella e la Bestia di Jean Cocteau rimane una bellissima fiaba raccontata nel linguaggio e con le immagini di colui che fu un maestro in entrambi i campi.
Il film di Cocteau ha ispirato anche altri artisti.
Negli anni tra il 1993 ed il 1996 Philip Glass compose un trittico di opere basato sulla prosa e sui film Jean Cocteau ("Orphée" (1949), "La Belle et la Bête" (1946) ed il racconto "Les Enfants Terribles" (1929) adattato a film nel 1950 dallo stesso Cocteau e da Jean-Pierre Melville) che è anche un omaggio musicale ai Les Six, il gruppo di compositori francesi associati a Cocteau.
La Belle Et La Bête del 1994 è un'opera per voci e il Philip Glass Ensemble o orchestra da camera.
Glass ha espunto dal film di Cocteau tutta la parte sonora, compresa naturalmente la musica originale di George Auric. Proposta come spettacolo dal vivo, il risultato pare che sia una forma di teatro multimediale, in cui lo spettatore assiste contemporaneamente alle dinamiche di tre relazioni: quella visiva sullo schermo tra gli interpreti del film (nei ruoli dei protagonisti Jean Marais e Josette Day), quella tra i cantanti in carne ed ossa, e infine a quella tra i cantanti e i loro 'doppi' sullo schermo.
Confortata in ciò dall'esempio di esimi filosofi e pensatori dell'antichità, ardisco confessare che NON SAPEVO alcunchè sul film di Cocteau così ben presentato da Gabrilu, almeno fino a quando non ho letto compiutamente il suo post. Ora però sono invogliata a vederlo, questo La Belle et la Bête, io che -ahimè- conoscevo soltanto la versione disneyana (che fra l'altro costituì la prima, choccante esperienza cinematografica per la mia pargoletta treenne). Ecco, per inciso, da dove Disney ha preso l'idea del candelabro umanizzato, e degli altri oggetti che parlano e si muovono ballando e cantando! E poi, non ero informata neppure dell'omosessualità di Cocteau e Marais -il che, ovviamente, non pregiudica affatto la mia stima nei loro confronti- per cui non avrei capito, sulle prime, il taglio della scena en travesti. Certo, quando si imparano tanti piccoli e grandi particolari senza apparente sforzo, anzi divertendosi, il merito non è solo della nostra (indubbia!) intelligenza, ma anche della capacità didattica dell'"insegnante"...
RispondiElimina...Bisous, Gabrilu!!!!
Roby
Cara Roby, riuscire a far scoprire a qualcuno qualcosa di bello di un passato nemmeno poi tanto remoto costituisce sempre, per me, una grande soddisfazione. Di questo film esiste il DVD ed è importante sapere che esiste, e che prima o poi magari può capitare di vederlo.
RispondiEliminaGrazie a tutti voi :-)
Cocteau ha fatto del grandissimo cinema, con idee originali e valendosi di grandi professionisti come il direttore della fotografia Henri Alekan.
RispondiEliminaNon tutto è perfetto, e a tratti può irritare; ma quando Cocteau trova la via giusta l'immagine rimane nella memoria per sempre.
Purtroppo, ho visto poche cose di Cocteau: questo, l'Aquila a due teste, I parenti terribili (che non mi è piaciuto) e soprattutto Il testamento di Orfeo, che è dei primi anni '60 e fa sfilare, tra l'altro, un bel po' di star nel cast (stelle vere, mica bruscolini: c'è anche Picasso).
un inchino a Gabrilu che ha trovato questo film.
(a me manca sempre il primo Orfeo...)
PS: chi vuol sapere come lavorava Henri Alekan può andare al "Cielo sopra Berlino" di Wenders: quel bianco e nero magnifico ed evocativo è lo stesso dei film di Cocteau, e di tanti altri film magnifici di quel periodo.
Di Cocteau praticamente non ho visto niente, ho letto pochissimo, conosco un po' i bellissimi disegni. I motivi di questa mia mancata conoscenza ci sono, ma li racconterò un'altra volta. Da quello che scrive Gabrilu appare evidente come nella Francia dell'immediato dopoguerra ci fosse un grande fervore culturale, in particolare attorno al cinema, malgrado le difficoltà di ogni tipo. Sarebbe interessante un confronto con l'Italia degli stessi anni.
RispondiEliminaOso una osservazione.
In Italia c'era una supponenza culturale riguardo al cinema maggiore di quella che c'era in Francia (in cui il grande cinema degli anni Trenta aveva permesso di superarla), ma ci fu la grande fortuna (non casuale)dell'emergere di grandi talenti. Più che una emersione fu una conversione, difatti De Sica era soprattutto un attore notissimo dall'inizio degli anni Trenta, e Visconti, Rossellini, lo stesso Fellini avevano operato nel cinema durante la guerra o addirittura prima. Tutto questo, accadde per merito a volte diretto, spesso indiretto, di Cesare Zavattini, il cui ruolo è stato a volte sottovalutato, ma molte idee primarie sono sue, non dei registi.
Ha fatto bene Giuliano a citare il bianco e nero de Il cielo sopra Berlino: vederlo per la prima volta è stato meraviglioso, ma tutti gli spettatori del cinema in cui lo vidi, che era pienissimo, ne erano del tutto soggiogati.
grazie Gabrilu e saludos
Solimano
Al tempo del "Cielo sopra Berlino" Alekan aveva già ottant'anni, o quasi. Wenders lo sceglie di proposito, per avere QUEL bianco e nero, e il francese tira fuori le meraviglie che sappiamo, in interni e in esterni.
RispondiEliminaIl circo del film si chiama Circo Alekan, e la chiatta del film successivo "Così lontano così vicino" ha il nome Alekan sulla chiglia, ben visibile: il capitano della chiatta è proprio Henri Alekan, e vicino a lui c'è il suo fedele aiutante e amico Louis Cochet. Alekan avrebbe voluto fare il direttore della fotografia anche per quel film, ma l'assicurazione non pagava per un uomo di ottant'anni, e allora pur di avere i due vecchioni sul set (sembra che fossero due belle sagome) Wim Wenders si è inventato questa piccola parte.