Le parole di mio padre, di Francesca Comencini (2002) Ispirato al romanzo "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo Sceneggiatura di Francesco Bruni, Francesca Comencini, Richard Nataf Con Fabrizio Rongione, Chiara Mastroianni, Mimmo Calopresti, Claudia Coli, Viola Graziosi, Toni Bertorelli, Camille Dugay Comencini Musica: Ludovico Einaudi, Fotografia: Luca Bigazzi (83 minuti) Rating IMDb: 6.8
Solimano
Le quattro figlie di Luigi Comencini si chiamano Cristina, Francesca, Eleonora e Paola. Tutte, in un modo o nell'altro, hanno a che fare col cinema. In questo film la regista è Francesca e Paola è convolta come production design e art direction (così IMDb). Cristina è una regista piuttosto nota ed alcuni suoi film prima o poi verranno qui. Anche Eleonora si occupa di produzione.
Sono quattro anche le sorelle Malfenti del romanzo "La Coscienza di Zeno" di Italo Svevo, a cui si ispira molto liberamente il film: Augusta (Viola Graziosi), Ada (Chiara Mastroianni), Alberta (Claudia Coli) e Anna (Camille Dugay Comencini, che è la figlia della regista). Francesca Comencini non era evidentemente paga di queste due sorellanze, e ne ha inserito una terza: nel film Ada fa l'attrice teatrale e recita una parte ne "Le tre sorelle" di Anton Cechov (non ricordo se Ada facesse la parte di Olga o di Irina o di Mascia, le tre sorelle cecoviane). Così, era quasi inevitabile che il povero Zeno Cosini, qui di cognome Corsini (Fabrizio Rongione) stia un po' in disparte, come succede a Giovanni Malfenti (Mimmo Calopresti) che è difficile che nel romanzo faccia un passo indietro. Sparisce la madre delle quattro sorelle, che nel romanzo procede magnis itineribus per fare in modo che Augusta sposi Zeno, e compare brevemente Guido Speier, quello che sposa Ada, però suona il pianoforte anziché il violino.
Il film fa riferimento a due capitoli del libro di Svevo, quello dei rapporti col padre che gli dà uno schiaffo sul letto di morte, e quello della storia del suo matrimonio, in cui nella stessa sera Zeno si dichiara prima ad Ada, la sorella più bella, poi ad Alberta, la più studiosa, ricevendone due no, infine si dichiara ad Augusta, confessando la sua disperazione per i rifiuti appena ricevuti, ed Augusta gli dice subito di sì, perché Zeno le è piaciuto sin dalla prima volta che l'ha visto. Nel film succede che Zeno goffamente fa cadere per terra degli oggetti ed Augusta, in camicia da notte o quasi vola al soccorso, mentre Anna, la sorellina minore a cui Zeno non può dichiararsi, visto che è ancora una bambina, guarda stupefatta l'accaduto e si forma la pertinace idea che Zeno sia pazzo. Zeno è un po' in disparte per scelta della regista ma anche per il modo interpretativo, giustamente tacciato di mesto da un critico. Per chi conosce ed ama il libro, Zeno non è certo mesto, magari inaffidabile, un po' bugiardo, anche gaffeur, ma qui bisogna capirsi, Zeno che i suoi lapsus avessero una direttrice di marcia lo sapeva prima di andare dallo psicanalista. Non si capisce quindi perché Ada, che nel film è molto sicura di sé, un'aria da pigliona, per breve tempo accetti le avances piuttosto timide di Zeno andandoci pure a letto (chissà come ne sarebbe stato contento Italo Svevo!). Zeno sarà un bel giovane, però taciturno, Ada forse si incuriosisce quando apprende che sa il russo e che ha tradotto in italiano "Le tre sorelle". Mentre ci sarebbero più cose in comune con Alberta, che qui è la sorella che si sente trascurata dal padre e un po' calpestata da Ada, difatti fanno una bellissima litigata proprio la sera della prima in teatro, salvo fare la pace con un abbraccio dopo ore di sfoghi e rinfacci. Della piccola Anna ho già scritto nel post inserito nella vista logica I bambini nel cinema: è quella più fedele al romanzo e che è più a suo agio nella parte.
Dimenticavo Augusta (è facile dimenticarle, le Auguste...): non fa niente per tutto il film in attesa che il girovagare di Zeno approdi inevitabilmente a lei: due sorelle gli dicono di no, la terza sorella è piccola, lui vuole sposare una figlia di Giovanni Malfenti che ammira molto, non rimane che Augusta. A proposito, purtroppo Giovanni Malfenti, un felicissimo personaggio del romanzo, nel film compare troppo poco, anche se è un po' il deus ex machina. Mimmo Calopresti lo fa bene, anche se il Malfenti di Svevo si sarebbe messo a ridere se avesse immaginato che lo si trasformava in un mercante d'arte. Oppure avrebbe fatto finta di indignarsi, perché il Malfenti di Svevo, serissimo quando ci sono in ballo dei soldi (soprattutto i suoi) è uno che vive bene e lascia vivere.
Il film, malgrado la mestizia quasi permenente di Zeno (o dell'attore che lo fa), è di una eleganza fina, truccata da ingenuità. Felici le scelte visive, anche le opere d'arte del mercante Malfenti o il quadro/disegno che Zeno regala alla famiglia per farsi benvolere. Bella l'idea del grande scalone fuori da casa Malfenti, che Zeno sale intimidito come se andasse in un Walhalla che sa di non meritare. Alla fine del film Zeno ne fa un'altra delle sue. Per un anno ha zoppicato somatizzando i il fatto di non vedere più Ada. E' il giorno in cui ha appena sposato Augusta, e i due sposi, ripresi da dietro, risalgono lo scalone. Beh, Zeno o inciampa o perde un oggetto, fatto sta che si piega in due e tocca ad Augusta sorreggerlo.
Qui Francesca Comencini ha dimenticato le tre sorellanze ed ha dato retta allo Zeno di Italo Svevo, che me lo immagino proprio così: un gaffeur, però furbissimo, di un inconscio che si fa conscio, lui se ne accorge e fa finta che sia ancora inconscio, così lo psicanalista se la prende. Chi ama Svevo è bene che veda questo film: non ne uscirà magari entusiasta, ma certamente con una gran voglia di rileggere il libro.
P.S. Ho voluto riguardare i nomi delle tre sorelle cecoviane ed ho preso in mano il libricino della BUR, quella antica con la copertina grigia. Sentite la notiziola che vi ho trovato:
...il 6 marzo 1959 la televisione italiana trasmise una edizione italiana de Le tre sorelle. La regia fu di Claudio Fino. Interpreti: Enrico Maria Salerno, Milly Vitale, Lilla Brignone, Elena Zareschi, Valeria Valeri, Ernesto Calindri, Gianni Santuccio, Giulio Bosetti, Luciano Alberici, Salvo Randone, Davide Montemurri, Ruggero De Daninos...
Vi risparmio i dettagli dell'edizione italiana de Il giardino dei ciliegi che fu trasmessa il 6 aprile 1956. Gli interpreti erano ad analogo livello.
Ormai da decenni come TV siamo ridotti alle elisedirivombrosa o robe consimili. Vorrei essere molto gentile: ci sono centinaia (se non migliaia) di persone, a partire dai livelli politici più alti, che dovrebbero provare un sentimento che gli farebbe bene: la vergogna.
Non ho visto il film, ma leggendo qui ho scoperto un particolare che mi disturba: il fatto che Malfenti diventi mercante d'arte da fabbricante di vernici quale era in Svevo.
RispondiEliminaEcco, secondo me sono questi i particolari che rivelano cosa c'è che non va nel cinema italiano, e in molto di quello francese: dal lavoro vero bisogna star lontani, guai a parlarne, guai anche solo ad avvicinarsi a quel mondo... ( a meno che non lo si faccia in maniera "poetica": comunque sia, guai a sporcarsi le mani con la vita vera, quella delle persone normali).
Forse Ken Loach esagera, nel parlare sempre e solo di operai: ma avercene, di Ken Loach...
Giuliano, era Veneziani, suocero di Svevo nella vita reale, ad essere produttore di vernici, Giovanni Malfenti è un uomo d'affari che sta tutto il giorno nella Borsa di allora, che era il posto dove si combinavano gli affari.
RispondiEliminaRimprovero al film non di averlo presentato diverso, ma di farlo vedere poco. Comunque nel film c'è una scena molto bella che fa vedere in azione Malfenti. Porta Zeno nel magazzino dove ha i quadri, lascia che li guardi per conto suo, e al ritorno in macchina gli dice: "Adesso mi dici la tua opinione". E Zeno comincia a girare largo, Malfenti lo interrompe e gli dice: "No. Devi dirmi quali ti sono piaciuti quali no e i perché. Ti ho portato non per farti un piacere ma perché tu sai delle cose che io non so".
Io ne ho conosciuti di industriali come Malfenti: ignoranti che però capivano che dovevano chiedere a chi sapeva. I loro figli, generalmente, nelle aziende che il padre aveva costruito sulle competenze, introducevano i loro amici consulenti, e lì cominciavano i problemi.
Restando sull'arte, Pietro Barilla a Parma ed Umberto Severi a Carpi si costruirono due splendide collezioni poi diventate pubbliche, ma la prima cosa che fecero fu di scegliere i veri competenti che li guidassero negli acquisti, e gli davano retta. Come facevano due ignorantoni come Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori, uomini bravissimi negli affari, ma le scelte editoriali della BUR e della BMM le lasciavano in mano a veri esperti. Fecero meglio di Giulio Einaudi, facendo così. Queste persone oggi mancano, ed è un bel guaio.
saludos
Solimano
Primo Levi (dirigente della Siva, un'azienda che produceva vernici per cavi di rame) voleva scrivere una "Storia della Letteratura Italiana attraverso l'industria delle vernici"...
RispondiEliminaLo diceva per scherzo, appoggiandosi su se stesso e su Svevo, ma in fin dei conti non è un'idea così balzana.
La Veneziani vernici aveva un brevetto unico per l'epoca: le vernici sottomarine, per le navi.
(so tutto di Svevo e di Levi, fammi qualche domanda che rispondo al volo...)
Era famoso il test alla rovescia che faceva il Veneziani: gli operai li assumeva solo se non superavano un test di intelligenza, perché si sentiva più protetto riguardo alla sottrazione di informazioni utili alla concorrenza: le vernici sottomarine erano fondamentali per la protezione degli scafi delle navi dalla corrosione marina.
RispondiEliminaI tre romanzi di Svevo hanno una corrispondenza dantesca: Una vita è l'Inferno, Senilità il Purgatorio, La coscienza di Zeno il Paradiso. Definire i tre protagonisti, il Nitti, il Brentani e il Cosini, come tre inetti è stato paradossamente giusto: si doveva rispondere alle grossolane balle del superuomo, in questo Svevo è parente stretto di Gozzano.
saludos
Solimano