Nicola
La società inglese ha un fortissimo senso di classe e il cinema inglese rappresenta benissimo questo fatto. E' forse per questo che in Inghilterra non è di pochi registi sperimentali e politicizzati la rappresentazione della classe operaia: gli operai offrono buone storie come chiunque altro. [Nel cinema italiano, il ceto cinematografico più frequentato, oltre alle ovvie borghesia e nobiltà, che a far delle storie funzionano in ogni nazione, è il mondo contadino; il che dice tante cose sulla nostra recente modernità].
Così, in Inghilterra, un'opera d'arte fatta di memoria non deve oscillare con ampiezza tra il faubourg St. Germain e le località turistiche della Normandia, ma può anche essere tutta racchiusa nel breve tratto di spazio che porta da un appartamento popolare con tappezzeria giallo-ocra al pub di quartiere.
In questo film straordinariamente intenso, Terence Davies saccheggia la vita sua e della sua famiglia per mettere in scena una storia di famiglia che è anche un discorso sulla memoria. Memoria emotiva, intendo, e anche involontaria -come quella analizzata e messa in scena da Proust.
Il film oscilla tra due temi forti. Uno è il padre alcolizzato e violento con la famiglia, che picchia la moglie riempiendo d'odio e timore i figli. Il figlio maschio e le due figlie crescono comunque, con la madre che cerca di proteggerli da quello che vedono, ma crescono in qualche modo "storti".
L'altro tema sono le canzoni ascoltate alla radio, cantate al pub con gli amici o con un famigliare in casa: il film rasenta a tratti il genere musical. E non a caso: se tutte le esperienze sensibili secondarie (non visuali) sono accessibili alla scrittura, la narrazione cinematografica può rappresentare solo quelle uditive, che qui si stagliano contro una percezione visiva volutamente uniforme -virata verso colori caldi e scuri-, che rappresenta la relativa uniformità emotiva della memoria volontaria, legata al senso della vista.
La prima parte del film, girata due anni prima della seconda, racconta la famiglia col padre ancora vivo. Come in tutto il film, gli episodi si sussueguono non secondo il loro effettivo succedersi cronologico, ma come seguendo il richiamo casuale alla memoria, simile a quello che ci coglie prima d'andare a dormire, o quando passiamo un'ora a guardare fuori dal finestrino d'un treno. E in questo affollarsi di eventi grandi e piccoli, soprattutto piccoli, s'alternano le scene dell'abuso e l'allegria del ritrovarsi con gli amici e coi parenti al pub.
La seconda parte del film avviene dopo la morte del padre, con i figli che crescono, vanno a lavorare, si sposano, hanno i loro problemi -una figlia ha sposato a sua volta un uomo violento e possessivo- che sono legati sia alla modestia della loro condizione, che a vicende più personali. Il film va verso un finale cinematogaficamente dolce e cronologicamente amaro. L'ultima scena del film luminosamente riporta la bella festa di matrimonio del figlio maschio, allegra e piena di colore. Ma quando la vediamo, già sappiamo che di lì a poco Tony e il cognato, che gli aveva trovato lavoro, moriranno in un incidente in fabbrica, precipitando da un'alta impalcatura. Lo sappiamo perché, con una delle tante inversioni temporali, l'incidente, l'accorrere delle ambulanze e il pianto delle mogli li abbiamo già visti nelle scene immediatamente precedenti.
E così accade anche nelle nostre memorie dei morti, dove l'ultima immagine di raccapricciante dolore è quasi subito seguita dalla penultima immagine, felice e rassicurante.
Caro Nicola, purtroppo sono tragedie che vengono presto dimenticate: ne rimane il ricordo solo in famiglia. Io penso sempre a quel processo (mi pare che fosse a Marghera, ma ce ne sono stati di tanti così scandalosi che è facile scambiarli l’uno per l’altro) dove la sentenza fu che gli operai erano morti di cancro, ma siccome molti di loro fumavano e bevevano qualche bicchiere di vino, non è detto che la causa della malattia fossero stati proprio i vapori cancerogeni in mezzo ai quali lavoravano... (E di cose da dire sulla sicurezza, e non solo in fabbrica, ce ne sarebbero tante: del tipo delle porte di sicurezza bloccate nei supermarket e negli autogrill “perché se no entra la gente che ruba”).
RispondiEliminaGrazie per aver portato qui questo film, ce n’era bisogno.
Nicola, ho già detto altre volte quanto apprezzo il tuo stile di scrittura, quindi non starò a ripeterlo qui (?!). Non conoscevo minimamente il film, ed ora invece mi piacerebbe vederlo. Un simile risultato, credo, è fra i motivi di esistenza di questo blog! Solo che -nel complesso- sembra un film molto più amaro che dolce: ed io, in questo momento, ho un gran bisogno di cioccolata e caramelle a chili...
RispondiEliminaRoby
Roby: lo hai ripetuto! (Arrossisco sotto il mio cappello rosso di folletto).
RispondiEliminaE' un film a tratti duro, ma non proprio amaro. Anzi, c'e' tanta speranza in questa famiglia che tira avanti sempre e comunque, e pure cantando.
Giuliano. Dove lavorava mio padre un giorno salto' la valvola di un reattore durante un ciclo di manutenzione, rilasciando un forte getto di vapore bollente. Un operaio mori' quasi subito, l'altro passò diversi mesi in agonia senza speranza.
Hai ragione, sono cose di cui non ci si dovrebbe dimenticare mai.
Poco tempo dopo la laurea, lavoravo ad una grande officina di manutenzione ferroviaria di Verona, in cui c'erano centinaia di macchine utensili. Un giorno un operaio fu ferito al volto da un pezzo di ferro volante che era partito da un tornio. Col mio capo ci avviammmo in tutta fretta. La scena faceva molta impressione, l'operaio aveva il naso quasi completamente staccato. Molti erano agitati. Vidi il mio capo, persona di solito molto calma, dare un pugno violento su un tavolo. Poi si rivolse a me e disse: "E adesso la vittoria fra le officine che fanno meno giorni di infortuni ce la possiamo scordare!" Questo era il suo problema. Quel giorno cominciai a capire come vanno le cose, e come si portano le persone a ragionare e a sentire in un certo modo, e purtroppo non ho cambiato idea.
RispondiEliminasaludos
Solimano