Giuliano
Siamo nel 1423, e la Russia comincia ad attraversare un periodo di pace. I tartari se ne sono andati, il Principe ha preso saldamente il potere, e anche la terribile epidemia di peste è cessata. Si può cominciare a tirare il fiato, e a ricostruire. Il Principe decide che è il momento di fare qualcosa di importante, e anche di simbolico: farà costruire una grande campana per la Cattedrale.
Ma qui cominciano i problemi: l’epidemia di peste è stata devastante, non ci sono più gli artigiani e i maestri che conoscevano la tecnica, i segreti del mestiere. Come fare? I soldati del principe cominciano a girare per i villaggi, e tra i primi posti ad essere visitati c’è la casa del maestro fonditore. Ma la casa è deserta, ad accogliere i soldati c’è solo un ragazzo, figlio del fonditore. Spiega che il padre è morto, da poco; e che anche sua madre è morta, e anche il vicino che faceva il fonditore ha le ore contate, o forse è già morto anche lui. I soldati stanno per andarsene sconsolati, per l’ennesima volta, quando il ragazzo si alza, li rincorre, grida loro che lui conosce il segreto per costruire le campane, che suo padre ha fatto in tempo a dirglielo prima di morire.
I soldati si fermano, non sanno cosa pensare di queste sue affermazioni ma raccolgono comunque il ragazzo, tanto per non presentarsi ancora a mani vuote. Inaspettatamente, il Principe gli darà tutto il necessario per la fusione della campana: soldi, metallo (anche l’argento), uomini, terreno. D’altra parte, non c’è scelta: o il ragazzo, o nessuno; la peste e i tartari hanno fatto un’autentica strage. Ma, se la campana non verrà come si deve, saranno guai seri per gli artigiani che non l’hanno saputa fare...
Tarkovskij ci mostra nei dettagli, passo dopo passo, la fusione della campana. E’ uno spettacolo nello spettacolo: la campana è molto grande, la sua fusione avverrà dentro una grande fossa scavata nel terreno. Ma prima bisogna trovare il posto giusto, e trovare l’argilla giusta per lo stampo; il ragazzo sembra incontentabile, l’uomo che gli fa da assistente non capisce il perché di quella ricerca, ma deve assecondarlo: è al ragazzo che deve obbedire, il ragazzo che conosce il segreto della fusione dei metalli. E’ al ragazzo che il Principe ha affidato l’impresa, e non a lui. E quando tutto è pronto, ecco ancora il ragazzo impuntarsi: non c’è abbastanza argento, ne serve ancora. E il Principe manderà altro argento, piatti e vasellame prezioso, da fondere per la campana.
Anche Andrej Rublev, ormai non più giovane, si aggira tra i presenti, in attesa della prova. Ritrova tra la folla il giullare, che crede di riconoscere in lui il frate che lo aveva denunciato quel giorno lontano: ma si sbaglia, è stato frate Kirill a denunciarlo. Il giullare ha fatto dieci anni di carcere per quella denuncia, ha subito torture, gli hanno tagliato un pezzo di lingua, non può più cantare e del resto non ha più intenzione di farlo, e – passato il primo momento di rabbia - non ha neanche voglia di vendicarsi: che quel monaco se ne vada dove gli pare, ormai quel che è stato è stato.
La campana verrà bene, e suonerà bene; il Principe ne sarà soddisfatto e così tutti i presenti, i sopravvissuti, ai quali il suono della grande campana annuncia che la vita può tornare a scorrere come era un tempo.
Ma quando la campana suona, e riempie del suo suono la valle, tutto si ferma come per incanto; e subito dopo comincia la festa. Solo il ragazzo, il fonditore meraviglioso, crolla senza più forze, come svenuto, in disparte, appoggiato ad un palo che spunta dal fango. E’ Andrej a raccoglierlo, a prenderlo fra le sue braccia, a consolarlo: non c’era nessun segreto, dice il ragazzo piangendo, ad Andrej. Suo padre è morto senza confidare nulla al figlio, forse non ne ha avuto il tempo: “Quel maledetto è morto senza dirmi nulla...”.
La fusione della campana ha qualcosa di miracoloso. Da questo episodio, Andrej Rubliov troverà la forza per riprendere a dipingere, dopo quasi vent’anni senza toccare i pennelli, da semplice monaco.
Dopo l’abbraccio di Andrej al ragazzo piangente, l’immagine si sposta sulle braci di un fuoco poco lontano. L’immagine delle braci ardenti è dapprima in bianco e nero, come tutto il film; ma da qui in avanti, senza cambiare inquadratura, si passa al colore. Dalle braci rosse, ardenti, parte uno sguardo attento e profondo sui dipinti di Rubliov, quelli veri. Il finale del film, a colori, ci mostra tutti gli affreschi di Rubliov, e le icone: dalla critica viene spesso presentato come un documentario ma è un’altra cosa, è lo sguardo che corre sul miracolo della grande pittura, è una parte del film, anch’esso narrazione. Il rosso delle braci diventa il rosso dell’affresco sul muro della Cattedrale; e da qui inizia lo sguardo lento e attento della macchina da presa.
Il volto di Cristo termina la sequenza delle opere di Rublev; da qui parte la pioggia, il temporale, e poi si chiude in dissolvenza sui quattro cavalli in riva al fiume, nell’acqua. Gli ultimi fotogrammi, ancora nella natura, e il passaggio dal volto di Cristo agli elementi naturali, alla Creazione, sono il vero emblema di tutto il cinema di Tarkovskij.
E bè, un post così bello su un film così bello un commento lo deve pura avere. La fusione della campana è uno degliepisodi che meglio ricordo. Mi rivenne in mente il maggio scorso, in Russia, vedendo la campana rotta che fa bella mostra di sè al Cremlino. Ce nperano di belle e grando, ma lo zar ne volle una addirittura imponente, che s'incrinò uscendo dallo stampo.
RispondiEliminaChissà se il campanaro fu messo a morte, così come ttemeva di esser messo a morte quello del Rubliov.
Grazie Giuliano per la bella serie,
Màz