Don Giovanni, di Joseph Losey (1979) Libretto di Lorenzo da Ponte, Idea artistica di Rolf Lieberman, Adattamento di Joseph Losey Con Ruggero Raimondi, John Macurdy, Edda Moser, Kiri Te Kanawa, Kenneth Riegel, José van Dam, Teresa Berganza, Malcolm King, Eric Adjani Musica: Wolfgang Amadeus Mozart Fotografia: Angelo Filippini, Gerry Fischer (185 minuti) Rating IMDb: 7.5
Giuliano
Un’altra impresa impossibile, una scommessa che però viene vinta in gran parte da Losey. Per chi non ne sa niente, si tratta della fedelissima rappresentazione dell’opera scritta da Mozart e Lorenzo da Ponte nel 1787: non un adattamento né un documentario teatrale, ma un film vero e proprio girato per il grande schermo. Il mito di Don Giovanni, seduttore e libertino ingoiato dall’inferno alla fine della sua vita, è antico: la sua prima versione importante e moderna è quella di Tirso de Molina, seguita da quella classica di Molière; e tutte e due le versioni sono ben presenti nell’opera di Mozart e Da Ponte.
L’idea vincente è quella di ambientare il dramma dentro le ville palladiane del Veneto: già questa è una festa assoluta. E poi chi non conosce l’opera (merita moltissimo, anche per il libretto di Da Ponte) ha una buona occasione per cominciare a capirci qualcosa.
I difetti sono quelli inevitabili e prevedibili: il Don Giovanni è concepito per il teatro, ed è un’opera molto lunga. Inevitabilmente, molte scene diventano macchinose o pesanti. E, se i due protagonisti sono formidabili, bisogna però dire che alcuni dei cantanti-attori sono stati scelti molto male. In cima alla lista dei difetti metterei infatti il tenore Kenneth Riegel, pessimo attore e appena accettabile come cantante. E tra i difetti metto anche l’invenzione del “valletto in nero” (è il fratello di Isabelle Adjani) un personaggio muto che nell’opera non esiste e del quale Losey andava piuttosto orgoglioso. Non disturba, ma non serve a niente; e quel che non serve si potrebbe anche eliminare, soprattutto quando il soggetto originale è già così grande e ingombrante.
Gli attori che vedete sullo schermo sono quasi tutti delle autentiche stelle dell’opera, molti dei quali ancora attivissimi. Ruggero Raimondi , basso bolognese, è quanto di meglio ci si potesse aspettare per un’operazione del genere, anche come prestanza fisica. Losey vuole un Don Giovanni decisamente cattivo, prepotente; e la recitazione di Raimondi si adatta molto bene ai desideri del regista. Il belga Josè van Dam è il servitore di don Giovanni: Sganarello in Molière, Leporello secondo Da Ponte. E’ un Leporello serissimo, quasi cupo (a teatro van Dam interpreta quasi sempre Don Giovanni), a tutti gli effetti un doppio di Don Giovanni: un’interpretazione che all’epoca dell’uscita del film fece discutere, perché Leporello era classificato tra i buffi, ma perfettamente legittima. Kiri Te Kanawa, bellissima e bravissima ( maori della Nuova Zelanda, è una delle maggiori cantanti della sua generazione, e interpreta donna Elvira, arrabbiatissima con Don Giovanni che l’ha abbandonata il giorno delle nozze), è però a disagio sul set. Edda Moser (Donna Anna) se la cava bene sia come attrice che come cantante, però passa quasi inosservata. Teresa Berganza, brava attrice e un incanto come cantante, è però poco credibile come Zerlina: la contadina per la quale Don Giovanni intona il celebre “Là ci darem la mano” dovrebbe essere molto giovane, e la cantante spagnola era invece già sui quarant’anni. In teatro si fa normalmente, al cinema non funziona molto.
Il direttore d’orchestra (che nel film non si vede) è Lorin Maazel, altra star internazionale. I peggiori del cast sono il basso Macurdy, che interpreta il Commendatore (lo spettro che trascina Don Giovanni all’inferno alla fine dell’opera) e il tenore Riegel (Don Ottavio, fidanzato di Donna Anna), che è ai limiti dell’ascoltabile: se volete sentire le due arie di Don Ottavio, che sono tra le cose migliori di Mozart, vi consiglio di cercare altrove – ed i momenti in cui appare sono anche visivamente tra i peggiori del film.
Una riga ancora per Lorenzo Da Ponte: un poeta meraviglioso, molto musicale, molto chiaro e divertente, che ebbe una vita simile a quella di Casanova e che in vecchiaia (1819) emigrò in America, fondandovi scuole prestigiose che continuano ancora oggi. Da Ponte è stranamente ignorato dai nostri programmi scolastici. O forse bisogna dire che è una fortuna, altrimenti sarebbe odiato come Leopardi...
Un po' troppo pieno di "pero'", mi sembra, questo post. Capisco che quando ci si trova di fronte ad un capolavoro assoluto come il Don Giovanni si vorrebbe la perfezione, ma la perfezione non può esistere, anche perchè ciascuno ha in mente, al riguardo, un proprio modello di perfezione al quale gli interpreti dovrebbero corrispondere.
RispondiEliminaHo anch'io questo video, e a me piace molto la chiave di lettura per molti versi parecchio originale e fuori dagli schemi che all'opera di Mozart-Da Ponte ha dato Losey.
Per fortuna non mi hai toccato Ruggero Raimondi, luciferino e splendido Don Giovanni e cantante e attore che io adoro al punto da autodefinirmi da me stessa medesima una "integralista fondamentalista raimondiana" :-)
Saluti ed ossequi a tutta la compagnia :-)
Cara Gabrilu, Raimondi mi ha "battezzato" alla Scala nel Borsi Godunov del 1979-80, direttore Abbado regia di Ljubimov.
RispondiEliminaAlla prima Boris era Nicolai Ghiaurov, cantante immenso e persona magnifica, e Raimondi faceva Varlaam: una parte piccola ma da applausi, e Raimondi era così a suo agio sul palcoscenico da far sembrare gli altri dei dilettanti...
Poi nelle repliche ha fatto anche la parte di Boris, e me lo ricordo ancora: impressionante, diverso da Ghiaurov e più simile a Scialiapin nel Don Chisciotte (più sofferente e meno maestoso, intendo).
Quanto ai però, la prossima volta ci sto attento: però il Don Giovanni è una cosa che ognuno di noi ritiene propria, se ce la toccano i però fioccano...
(non mi è successa la stessa cosa con Il Flauto Magico diretto da Bergman, che sottoscrivo in pieno).
Un caro saluto dalle brume lombarde.
Giuliano
PS: invece il mio Don Giovanni fu proprio Van Dam, diretto da Muti, parecchi anni dopo il film.
Gabrilu e Giuliano, sono un po' diverso da voi. Io sono un utilitarista. Mi basta che gli interpreti non offuschino il contatto diretto con la musica di Mozart ed anche con le parole di Lorenzo da Ponte, e non sono in grado di dire è meglio questo, è meglio quello, però quando qualcosa non va si ridiscende su questa terra. E' questo il dramma dell'opera lirica: ci sono troppe variabili al contorno che fanno diventare per forza sofistici. Con un trio, un quartetto, un quintetto succede molto di meno, quindi la fruizione vera è più agevole.
RispondiEliminaNel Don Giovanni, le cose più semplici: il catalogo, la serenata, l'aria dello champagne, Zerlina trovo che siano le più belle, nell'improprietà di una classifica in una tale meraviglia.
Se rieco a ricostruire nomi e posti e mi aiutate, farò un post sulle ville venete che Losey ha usato, una decisione perfetta.
saludos
Solimano
Per spiegare i miei commenti pesanti sul tenore che interpreta Don Ottavio, dirò che ho qui in casa le incisioni di Tito Schipa (anni 30)e di Alfredo Kraus, che all'epoca del film era ben presente e in forma perfetta; per tacere di Cesare Valletti e di tanti altri più o meno famosi che ho ascoltato in teatro.
RispondiEliminaNon sono arie che richiedono un cantante fuori dal comune (non come in Verdi, che richiede quasi sempre doti anche fisiche eccezionali), bastano voci normali e cantanti intelligenti...
E' da notare la foto dove si vede Don Giovanni intento a fissare qualcosa: siamo in una vetreria, anche questo un ambiente molto veneziano e ben scelto da Losey.