Il toro, di Carlo Mazzacurati (1994) Sceneggiatura di Umberto Contarello, Carlo Mazzacurati, Sandro Petraglia, Stefano Rulli Con Diego Abatantuono, Roberto Citran, Marco Messeri, Marco Paolini, Paolo Veronica, Roberto Zamengo, Ugo Conti, Alberto Lattuada Musica: Ivano Fossati Fotografia: Alessandro Pesci (105 minuti) Rating IMDb: 6.4
Giuliano
Qualcosa di enorme e di prezioso, che nessuno vuole comperare. Qualcosa che ti ha seguito, che non hai cercato ma che ti è venuto a cercare, come se fosse un segno del destino; e che ti segue docile per la tua via. Qualcosa di bello e di forte, ma gli ubriachi ne ridono come di una cosa oscena, e i trafficoni non sanno come piazzarlo. Ma anche qualcosa di vero, di materiale e fisicamente imponente: un toro da riproduzione, il magnifico Corinto, che un lavoratore licenziato (Diego Abatantuono, in una delle sue prove d’attore più riuscite) decide di provare a vendere nei paesi dell’Est, dove ha qualche aggancio.
Non è proprio che lo rubi, il toro: Diego (che nel film si chiama Franco) entra nottetempo nella ditta che lo ha licenziato, ma solo per cercare dei documenti che gli erano stati negati. Documenti che attestano che lui ha lavorato lì per nove anni, e che gli servono per quando andrà in pensione; ma in direzione fanno i furbi, anche su queste cifre piccole ci giocano volentieri. E invece, intanto che è lì, sente un rumore strano: pensa alle guardie notturne, e invece è lui, il toro, il campione dei tori da riproduzione, 800 milioni di lire guadagnati in un anno solo col suo sperma, numero cinque al mondo...
Non si sa come, ma il toro si è liberato e gira tranquillo per la fabbrica deserta. E’ un gigante, roba da non crederci: sembra un bisonte preistorico, e solo la testa pesa più di cento chili; ma è mansueto come un animale da compagnia, e segue il nostro Diego come un cagnolino. Che fare? Nella ditta non c’è proprio nessuno, Diego esce a piedi col toro dietro, e lo porta nella fattoria dell’amico (Roberto Citran) sperando nel suo aiuto. “E’ un segno del destino”, dirà all’amico esterrefatto: e infatti lui a rubare il toro non ci pensava per niente, è il toro che lo ha seguito. Citran gli dà del matto, però poi si fa coinvolgere. Ora il problema è portare Corinto in Ungheria: ed è questo percorso che ci racconta il film. E’ un percorso che tocca la ex Jugoslavia, e siccome siamo nel 1993 siamo in zona di guerra e di sfollati: una tragedia che il film, volutamente, si limita a sfiorare. Questo non è un film così drammatico, e del resto il peggio doveva ancora venire. Ma finalmente si arriva in Ungheria, dove il comunismo è appena finito e l’amico su cui contava Diego è finito un po’ in disgrazia, che è già un guaio; e, come è ovvio, i possibili compratori scoprono subito che il toro è stato rubato. E adesso che si fa?
Siccome il toro è troppo bello e troppo simpatico, con quegli occhi buoni dietro la mole imponente, dirò subito che c’è il lieto fine, per lui come per quei due disgraziati che l’hanno portato lontano e lo hanno fatto anche ammalare. E dirò anche che il film è da vedere: non è perfetto e ha qualche lungaggine, ma di film così ce ne sono in giro pochi. Innanzitutto, ha il merito di toccare direttamente alcuni temi che saranno di triste attualità negli anni immediatamente successivi, e lo fa fin da subito: è da antologia la manata con la quale un dipendente licenziato insieme a Diego (è Marco Paolini, in una breve apparizione) piega l’antina dell’armadietto che stava svuotando. Fin lì, aveva trattenuto tutta la sua rabbia: ma l’antina non voleva chiudersi... E da antologia è anche la breve scena in cui appare il regista Alberto Lattuada: impersona il proprietario dell’allevamento, e a lui si rivolge Diego quando si trova ad essere licenziato: non per sua colpa, ma perché era appena iniziata la moda (una moda, o piuttosto un’ideologia, che continua ancora oggi) di ridurre il personale e di tirare il collo a quelli che restano facendoli lavorare il doppio. Ma il vecchio cinico gli spiega con fermezza che no, lui è proprietario solo dei tori: non è per lui che Diego ha lavorato, è per quegli altri, quelli che hanno in mano l’allevamento...Artifizi contabili ai quali siamo purtroppo ben abituati.
E più avanti nel film troveremo Marco Messeri, nel ruolo di un traffichino di quelli a cui siamo ben abituati, toscano per forza di cose (se lo interpreta Messeri...) ma antesignano dei signori veneti che fanno la riunione della locale Confindustria in Romania, perché tanto sono tutti a lavorare lì (i nostri operai pretendono troppo, quei discoli: magari di non essere licenziati se si ammalano).
Nel rivedere il film mi ha commosso, oltre allo sguardo dolce di Corinto (vero protagonista, bisogna dirlo: un’interpretazione da Oscar, chissà se è ancora qui tra di noi...), la scena della chiesa, in Ungheria, dove una donna anziana si avvicina a Diego triste e sconsolato, che ha ormai perso ogni speranza, e gli sussurra parole che lui non comprende. Ma il lieto fine si avvicina, e sarà opera di Roberto Citran, che Diego maltratta per il tutto il film in un gioco delle parti ben costruito. Ed è appunto il talento enorme di Roberto Citran, buttato via dal nostro cinema, che prenderei come pietra di paragone. Perché non è solo Citran, ridotto in seguito a fare sitcom ridicole, ad essere stato buttato via dal nostro cinema, ma un’intera generazione di attori, registi, scrittori...
P.S. Non ci sono in rete immagini decorose di questo film, ma abbiamo ottenuto il soccorso di tori più antichi. (s)
Non l'avevo visto. Però bellissima recensione, e Corinto così a pelle mi sta simpaticissimo, col suo fare da cagnolone mansueto. Il lieto fine è lieto lieto? :)
RispondiEliminaSì, è un vero lieto fine anche se un po' da favola. Comunque il torone lo vediamo accasato e contento, ed è questo che conta.
RispondiEliminaPeccato che in rete non ci sia neanche un toro che somigli a Corinto, solo chianine e bufale (e la barba di Abatantuono, ma quella la conosciamo bene).
Incredibile come ogni tipo di magnificenza stenti sempre a trovare un posto nel mondo.
RispondiEliminaIl film me lo ricordo, era una storia semplice ma molto bella. Sono d'accordo con te, Giuliano.
Un caro saluto
Laura
Il film l'ho visto, era curioso e gustoso. Fece parte di una serie di film che cercavano di mostrare le difficoltà che proprio in quegli anni decollarono, quelle della esternalizzazione, del precariato, del dovere a quarant'anni cambiare mestiere. Ci fu un film di Virzì con un titolo amaramente ironico: La bella vita, e Virzì ci tornò con Baci e abbracci.
RispondiEliminaA parte che mi sono divertito a cercare il toro minoico ed i quadri col ratto d'Europa, è una piccola vergogna che tutti questi film siano privi di corredo illustrativo in rete. La colpa vera non è dei retaioli, ma delle case di produzione, dei registi etc.
Cosa ci vuole a mettere venti belle immagini in rete? Poi si lamentano, magari giustamente, di tante cose, ma basterebbe che facessero un blog mettendoci dentro le immagini, e tutti perderemmo molto tempo e film che meritano, come questo, sarebbero meglio conosciuti. Con i film che escono adesso il problema c'è molto di meno, ma per vent'anni di film si suda, tutto tempo perso sottratto alla scrittura di buoni post.
saludos
Solimano