martedì 30 ottobre 2007

La ciociara (1)

Solimano
Nelle righe in cima alla home page, appena sotto il nome del blog, c'è scritto che questo non è un blog di critica cinematografia, e penso che gran parte dei post pubblicati confermino che volutamente non ci impanchiamo a critici, ma raccontiamo le nostre esperienze personali con i film di cui scriviamo.
Però non c'è scritto che non avremmo fatto la critica ai critici, ed oggi scelgo di farla, perché ho letto, sempre sul benemerito sito Mymovies, alcune recensioni de "La ciociara" (1960) scritte in tempi di poco successivi all'uscita del film. La conclusione a cui sono giunto è che fra gli addetti ai lavori circolassero dei bei pugnali avvelenati, pugnali spesso truccati da carezze. Commento qui sotto alcune frasi dei critici, ed è questo il modo che scelgo per La ciociara, che è un film importante. Prima scrivo dei critici e poi del film, rovesciando la freccia del tempo.

Giuseppe Marotta su Facce dispari, Bompiani 1963
"Su un piatto di bilancia stanno Vittorio De Sica, Alberto Moravia, Cesare Zavattini, Sofia Loren; sull'altro i nostri dissensi o consensi di gente qualunque, senza un'oncia di rinomanza, di prestigio, magari d'ingegno".
Basterebbero queste tre righe per evidenziare la falsa umiltà di Marotta: sotto la veste di lodare in realtà denigra, facendo intendere che quelli che stanno sopra sono una lobby che la gente qualunque deve subire. Si tratta di puro qualunquismo, di nome e di fatto. In questo, invece di fare opera di acculturazione, vellicava gli istinti di chi voleva sentirsi tagliato fuori, mentre in reltà lo tagliava fuori solo l'ignoranza. Questo atteggiamento di sprezzo vittimistico verso gli intellettuali, è ben vivo anche oggi, ed è pericoloso oltre che sciocco. In realtà Marotta credeva di essere migliore di quelli da cui si sentiva escluso, mentre ad escluderlo erano i suoi ragionamenti di questo tipo. E' una umiltà maligna, stile Uriah Heep. Nel 1954 Marotta aveva collaborato con De Sica e Zavattini al film "L'oro di Napoli", evidentemente non si erano lasciati bene.

"Zavattini mi confidò (è teneramente, poeticamente invaghito di sé): «Ho avuto, per la sceneggiatura, un'idea fenomenale»; di Carlo Ponti mi fu detto che gongolava genericamente: nei limiti, oso credere, del suo buffo cappellino tirolese".
Così Marotta dà una sistemata al narcisismo di Zavattini ed ai limiti intellettuali di Carlo Ponti, che i limiti ce li aveva eccome, basti ricordare "Il disprezzo" di Godard, censurato in Italia per volontà dello stesso Ponti, che invece decise la proiezione integrale in Francia. Ma suvvia, non si vede cosa c'entri il cappellino tirolese, per quanto buffo.

"Mi duole, caro Cesare, ma ti è mancata ogni audacia; le tue ali (indubbie) questa volta non hanno saputo o voluto battere".
Qui lo trovo sgradevolissimo: tira una stoccata sotto l'apparenza di una carezza.

"Le donne e gli uomini di Moravia sono invece ritagliati nei foglietti del calendario".
Prendersela con Moravia era la cosa più naturale, per il mondo a cui apparteneva Marotta. Non dico che sarebbe stato il caso di lodarlo, ma metterla giù in questo modo mi sembra un cercare la compiacenza di chi non sa, e pur di continuare a non sapere, apprezza la denigrazione del cosiddetto ceto intellettuale. Uno che scriveva queste cose, faceva comodo: certe riviste come il Borghese e Candido ci campavano, fra l'altro avendo fra le firme alcuni scrittori ben dotati, che di fondo rimpiangevano le prebende fasciste. Si sentivano tagliati fuori e la loro reazione era simile a quella di Marotta che, avendo una scrittura brillante, era un comodo alibi.

"Valutate questo Michele (a Sant'Eufemia) che s'infiamma di Cesira. È un laureato, un intellettuale dei più nuvolosi e improbabili".
Assai ben detto, Marotta non li poteva vedere, 'sti nuvolosi ed improbabili, i suoi veri motivi sono facilmente intuibili: non si faceva una ragione che per questi nuvolosi ed improbabili ci fosse maggior considerazione di quella rivolta a lui. Il personaggio di Michele (Jean-Paul Belmondo) fu oggetto di critiche delle più varie provenienze.

"Questo fondamentale errore del mutamento di Rosetta da verginella a sgualdrina, lo commise l'autore dell'arcigno romanzo. Egli affetta, sulla pagina, una vasta scienza sessuale; mentre è inchiodato, specificamente, al sillabario".
Che nei primi anni Sessanta si potesse ragionare di sessualità e sensualità ancora a colpi di verginella e di sgualdrina pare incredibile ma è purtroppo vero. Su questi temi basta fare tre date. 1898: Senilità di Italo Svevo, 1919: Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi, 1929: Gli indifferenti di Alberto Moravia. Rendono evidente l'arretratezza di Marotta. Un ragionamento di questo tipo era da Barone Cefalù (non da Pietro Germi!), quello di Divorzio all'italiana, che è quasi contemporaneo (1961). La sottocoltura di tipo postribolare era diffusissima, ne erano a loro modo affetti anche Montanelli e lo stesso Fellini. Fra tante critiche che si possono fare al '68, va comunque mantenuta una lode: l'aver innescato una vera rivoluzione di costume di cui c'era assoluto bisogno. L'Italia era un paese più arretrato di quello che oggi immaginiamo.

"Florindo è Renato Salvatori, non fatica molto ad apparire contundente e selvatico".
Indubbiamente un modo singolare per dire che Renato Salvatori era personalmente rozzo, cosa che fra l'altro fu smentita proprio nel 1960 dal film Rocco e i suoi fratelli.


Giulio Cattivelli su Cinema Nuovo 1960
"Per esempio il carattere di Rosetta, l’entità e il significato della sua brusca metamorfosi dalla quasi-santità alla depravazione più sfacciata restano forzatamente generici e appena accennati (e ciò nonostante la corruzione della tredicenne, a poche ore di distanza dal tremendo “choc”, è una reazione difficilmente credibile)".
A molti critici diede fastidio non tanto lo stupro di branco subito da madre e figlia, me il fatto che la figlia, a cui è crollato il mondo addosso, andasse a letto con Florindo e ne ricevesse in compenso un paio di calze. Anche qui, una singolarità: sia il romanzo di Moravia che il film di De Sica sono finzioni, e uno avrà pure diritto a fingere quello che gli pare. Marotta giunse al punto di dire che era andato negli ospedali di Napoli a vedere come si comportavano le ragazze in casi simili, e scrisse che regredivano a livello di giochi con le bambole. Anche Cattivelli, che scriveva su Cinema Nuovo, invece di criticare la rappresentazione che ne dà De Sica critica che la storia (una finzione) andasse così.

Filippo Sacchi sul Corriere della Sera 2 gennaio 1961
"Dopo questo non vedo che bisogno c’era di far andare la piccina con un altro uomo quella sera stessa. Mi pare che sporchi inutilmente tutto".
Filippo Sacchi, come Cattivelli e come Marotta, batte sullo stesso tasto sincronicamente, nessuno che si soffermi sulla cosa realmente importante: l'efficacia rappresentativa che ha De Sica nel dare questa svolta al suo film.

"E quindi non si deve tacere che raramente ci fu esempio di attrice più ostinatamente appoggiata di lei, e nella quale, malgrado i magri risultati, sono stati impiegati sforzi somme e mezzi pubblicitari più ingenti".
Questa frase, che riguarda Sofia Loren, mostra con chiarezza quale fosse l'atteggiamento generale riguardo il rapporto fra una attrice emergente ed il produttore. Quando uscì La ciociara, la TV realizzò una intervista a Sofia Loren. L'intevista non fu mai messa in onda perché si capiva che era realizzata a casa di Carlo Ponti che a quei tempi non era ancora il marito.

Provvisoria conclusione: le critiche negative si rivolsero soprattutto alla figura dell'intellettuale catto-comunista ed al comportamento della ragazza dopo lo stupro. Queste vecchie storie del 1960 sono presenti anche oggi?

5 commenti:

  1. Noli Tangere Zavattinos Meos. La Ciociara è sopravvissuta a tutte le malelingue, con i suoi difetti che pure esistono, ma anche con le sue pennellate vigorose e incancellabili.

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  2. Caro Solimano, tu ti chiedi: "Queste vecchie storie del 1960 sono presenti anche oggi?" La risposta è no, perché oggi non esiste più critica cinematografica. Oggi esistono solo gli uffici marketing e la pubblicità.
    Questi pareri, anche quelli meno condivisibili, erano comunque pareri. Oggi se qualcuno guardasse questo film direbbe di sicuro: "i soldati marocchini": si dà la colpa ai marocchini, ed ecco tutto risolto.

    Quanto a Zavattini, mi associo subito a Brian! De Sica avrà avuto in casa sua un monumentino a Zavattini, e sono sicuro che la Loren ha in casa sua (in tutte le sue case) un altarino con la foto di De Sica.

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  3. Oggi non avremmo difficoltà a pensare che magari al regista stesse a cuore mostrarci subito il risvolto psicologico del personaggio della tredicenne violata, la devastazione dell'abuso che nella ragazzina prende forma scegliendo Florindo e le calze. Una reazione allo stupro "nonostante Rosetta".
    Potrebbe essere che Cattivelli e colleghi, alle prese con una morale bigotta e bacchettona volesse dare una lezioncina freudiana all'Italia facilona di quel tempo, battendo quindi sul principio che non è un branco di uomini a fare di una donna una sgualdrina?
    E' vero che di solito c'è una regressione psicologica nelle ragazze stuprate, un blocco granitico che a volte fa cercare le bambole. Ma se ogni artista si limitasse agli effetti oggettivi di un fenomeno avremmo una quantità incredibile di storie che non ci direbbero granché. La finzione è legittima in ogni artista.
    Rimane il fatto che La Ciociara, così com'è, è una pietra miliare del cinema italiano.
    Cari saluti
    Laura

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  4. Brian, de La ciociara come film devo ancora scrivere, me la sono solo presa un po' con alcuni critici che si impegnarono a fare i Desfibratores del Cactus cum Zavattinos Tuos. Mi ci diverto (un po' anche me la prendo) a leggere le recensioni a caldo, scritte quando uscirono i film. Ci trovo dei notevoli sfondoni ma anche una supponenza ed una malignità notevoli, salvo alcuni come Rondi, che sarà stato uno all'antica, ma che non perdeva la misura anche nelle critiche.
    Giuliano, per me la regola è che non si sono regole, perché il mondo del cinema è pieno di contraddizioni di ogni tipo. Tutti ci volevano (e ci vogliono) mettere il becco: produttori, scrittori, attori, critici, politici.
    E' vero che i film più alti di De Sica hanno le sceneggiature di Zavattini, che però di sceneggiature ne fece più di cento, comprese Suor Letizia, Nel blu dipinto di blu, Amore e chiacchiere. Quindi non aveva la bacchetta magica.
    De Sica era un attore diventato regista: il primo film lo fece addirittura a quindici anni, nel 1917, e dal 1926 andò avanti a due/tre film all'anno. Divenne regista a quasi quarant'anni, ma con l'esperienza di attore che aveva era in grado di cavare sangue da una rapa. E comunque "I bambini ci guardano" lo fece prima che arrivasse Zavattini.
    Altra contraddizione è Moravia, che non entrava nelle sceneggiature dei tanti film tratti da suoi romanzi, ma le cui critiche sono nettamente su un piano più alto rispetto ai soliti critici, salvo forse Flaiano. Moravia non si fa imbambolare dallo specifico filmico, è uno che sa le cose e fa un discorso vasto, che ti dà il senso del tempo culturale e politico, comunque non un discorso arretrato come questi.
    Laura, il discorso è proprio lì, nell'insania della arretratezza italiana di allora per cui la dicotomia era verginelle o sgualdrine, salvo la mamma. A me non sembrò assolutamente una forzatura la scelta prima di Moravia poi di Zavattini e De Sica di fingere per Rosetta un comportamento del genere. Una battuta usuale era che un prete, appena buttava la tonaca alle ortiche (pensa te che bella frase!), si infilava in un bordello. Rosetta, allevata dalle suore (nel film viene ribadito più volte), si comporta esattamente in quei termini. Era normale in quegli anni un tic del genere, e Germi lo sbeffeggiò in Divorzio all'italiana e in Sedotta e abbandonata. Un tipo di sottocultura al tempo stesso bigotta e postribolare, solo che dava fastidio che De Sica mostrasse chiaramente gli effetti nel comportamento di Rosetta. Nella vita reale, come si sarebbero comportate le reverende suore con lei, stuprata in quel modo? E i ragazzi della sua età? Meno male che arrivò il Sessantotto.

    saludos
    Solimano

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  5. La Ciociara è un film duro e bellissimo.
    Io non trovo così innaturale la reazione di Rosetta, la sua è una regressione allo stato ferino da cui tutti proveniamo, che ci piaccia riconoscerlo o meno.
    E' un film che lascia l'amaro in bocca ma che solo agli ipocriti può dare fastidio.

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