Le mari de la coiffeuse, di Patrice Leconte (1990) Sceneggiatura di Claude Klotz, Patrice Leconte Con Jean Rochefort, Anna Galiena, Roland Bertin, Maurice Chevit, Philippe Clévenot, Yveline Ailhaud, Claude Aufaure, Julien Bukowski, Albert Delpy, Youssef Hamid Musica: Michael Nyman Fotografia: Eduardo Serra (82 minuti) Rating IMDb: 7.3
Laura
C'è una caratteristica nei film di Patrice Leconte che personalmente apprezzo molto ed è quella di arrivare subito al punto, al nocciolo della questione. Sfoglia gentilmente i veli della storia da raccontare come se fosse una cipolla per poi rimanere lì, nel cuore, senza troppe distrazioni. In questo film, si spia. Il regista dà modo allo spettatore di farlo attraverso la vetrina, gli specchi, gli sguardi dei protagonisti. Si spia soggetto, oggetto e il gioco del Fato.
Ne Il marito della parrucchiera Leconte ci racconta del piccolo Antoine e delle sue prime esperienze sensoriali tutte fantasticate attorno alle forme generose di una parrucchiera del quartiere.
La luminosità della pelle, le curve gonfie del petto accolte e incorniciate dalla scollatura, la gentilezza materna e conturbante al tempo stesso sono oggetto del suo primo, profondo desiderio, che gli fa decidere che da grande sposerà proprio una parrucchiera. I capelli non sono mai abbastanza corti e il ragazzino è quasi sempre lì, in quel negozio, fino a quando un giorno scopre che lei, la parrucchiera, si è uccisa. Antoine cresce, diventa un uomo dall'intenso e nobile volto di Jean Rochefort (Leconte lo sceglie anche per L'uomo del treno, Ridicule,Tandem, Il cadavere era già morto) e, anche questa volta complice la vetrina, vede e s'innamora di una parrucchiera, Mathilde, una bravissima Anna Galiena. I due si sposano e Antoine inizia a dare vita a quella fantasia che l'ha inebriato fin dalla adolescenza. Non ha occhi che per sua moglie mentre il tempo scorre quasi lateralmente senza disturbarli. Nulla distoglie la coppia (lei lavora, lui la guarda, si guardano sempre, ogni minuto, ogni ora, tanto da azzerare le lancette.) I clienti entrano ed escono, lui a volte li intrattiene con garbate e divertenti danze turche ma niente interrompe il silenzioso cinguettio erotico-amoroso tra Antoine e Mathilde. Le fantasie si animano di giorno e di notte in quello scrigno a vetri dove vivono perennemente -il negozio, unico spazio in cui i protagonisti si muovono- dando vita, sulle note di Michael Nyman, persino a privatissime feste a due in bagni di acqua di colonia, voluttuose sorsate di profumo lasciate scivolare da bocce e bottigliette che col blu della notte sembrano acquistare mistero e magia. L'harem di Antoine, dove Mathilde è Donna in quanto somma di un intero genere, e Desiderio. Eppure, il negozio è di fatto una gabbia dorata. Perché se è vero che Antoine è riuscito a vivere di quell'antico sogno trasformandolo in realtà, sua moglie ne è prigioniera. Felicemente consenziente, sì, ma pur sempre intrappolata nella spirale di travolgente passione.
Antoine tramite Mathilde raggiunge il suo sogno senza conoscere la delusione. Mathilde invece inizia a nutrire la paura di essere abbandonata, di perdere l'aura irresistibile che suo marito vede irradiarsi attorno al suo corpo, ad ogni suo gesto, ogni sguardo. Le rassicurazioni non bastano e Mathilde si uccide. Fu il destino del piccolo Antoine ad avvertirlo facendo capolino dalla vetrina quel giorno in cui anche la prima parrucchiera si tolse la vita? La morte in acqua di Mathilde diventa un fatto quasi naturale. Ci si scopre ad accettarla quasi senza turbamento, come se per tutto il film concepissimo per lei l'unica via d'uscita da un rapporto claustrofobico. Ovviamente non per la coppia, non per Mathilde che non fugge da Antoine perché amorevolmente onnipresente, bensì dalla paura di non riuscire più a sorreggere il mito, dalla possibilità di non essere più LA parrucchiera di suo marito ma una moglie come tante, con le rughe. Come tutte.
Amore mio, ti lascio prima che mi lasci tu, prima che tu cessi di desiderarmi: perché allora non ci resterebbe che la tenerezza, e so che non sarebbe sufficiente. Me ne vado prima di essere infelice. Porto con me il sapore dei nostri abbracci. Porto con me il tuo odore, il tuo sguardo, i tuoi baci. Porto con me il ricordo degli anni più belli della mia vita, quelli che tu mi hai dato. Ti bacio tanto, tanto da morire: ti ho sempre amato, non ho amato che te. Me ne vado perché tu non mi dimentichi mai più.
RispondiEliminaParole che Mathilde lascia su un biglietto al marito Antoine prima di suicidarsi.
Bene, Laura, questo è il tuo primo post in Abbracci e pop corn, dopo il tuo commento a Il buio della mente, che è diventato un post.
RispondiEliminaQuesto film ha un pregio raro, fa sorridere e commuove. Fa anche ridere, quando lui si mette a ballare sull'onda delle musiche arabe o turche, e avevo anche una immagine, ma uno che non ha visto il film non può cogliere dalla immagine la leggerezza ironica con cui Rochefort balla. L'unica è guardare il film. Peccato che Anna Galiena non ne abbia fatto altri a questo livello, qui è perfetta.
Habanera, hai fatto benissimo a mettere le parole della lettera, certe volte i francesi hanno questo gusto (che approvo) di inserire lettere nei film, come quella lettera bellissima che chiude La vita e niente altro di Tavernier.
Però, secondo me, Antoine non sarebbe mai passato dal desiderio alla tenerezza: ci sono quelli fatti così.
good night
Solimano
Il vostro blog è diventato mio strumento di consultazione...siete sicuri di essere "gratis"? O un giorno mi manderete il conto, Giulia
RispondiEliminaHABANERA, grazie per il tuo preziosissimo contributo che completa il mio post come un bel diamante centrato nel diadema. Io non sono stata in grado di trovarlo, il biglietto di Mathilde, perciò te ne sono grata.
RispondiEliminaSOLIMANO, sarebbe bello che le foto si animassero anche solo per dieci secondi, eh? Ma forse è meglio di no, così la curiosità crea laboriosamente in testa il Pallino per il film di turno. Le lettere nei film francesi? Per fortuna che qualcuno ancora ci pensa. Non nascondo una forte malinconia per la carta da lettere, le brutte e le belle copie, il segno, il colore dell'inchiostro, la stilografica, persino l'odioso sapore della colla della busta sulla lingua. Sensazioni fisiche e gesti che temo con tutta me stessa vadano perduti per sempre. E sì, anche io credo che Antoine sarebbe rimasto identico fino alla morte. Egli stesso sembra fatto della materia dei sogni (infatti è Mathilde che si suicida, che si fa crucci... terreni!)
GIULIA anche io le prime volte che visitavo il blog pensavo la stessa cosa. Ma pensavo anche che persone animate da tanta passione non penserebbero mai di addebitarti nulla.
Se non la speranza di tornare a far visita.
Grazie!
Laura
Ecco un altro di quei post che ti fanno dire "Accidempolina! Ma come ho fatto a perdermi un film così? Devo rimediare SUBITO!".
RispondiEliminaAnche se, cara LAURA, leggerti è stato un po' come assistere ad una proiezione privata...
...GRAZIE!!!
Roby
PS: a proposito del COSTO a carico di chi USUFRUISCE di questo blog...beh, càpperi, non ci avevo MAI pensato... Quasi quasi interpello mia figlia, futura ragioniera, per fargli fare due conticini...
[;-P]
Cara Laura, innanzi tutto benvenuta su Abbracci e pop corn! In teoria anch' io dovrei fare parte del team ma dopo qualche volenteroso tentativo ho preferito lasciare la parola a chi sa veramente scrivere di Cinema, con competenza e passione, come io non sarei mai capace di fare.
RispondiEliminaPer quanto riguarda il biglietto di Mathilde ad Antoine ti confesso che se avessi dovuto cercarlo probabilmente anch'io non lo avrei mai trovato. Ma, per una di quelle strane coincidenze che a volte capitano nella vita, me lo sono trovato sotto gli occhi proprio poche ore prima di leggere il tuo post.
L'ho trovato su Aletheia, il blog di Clelia Mazzini precedente al suo attuale Akatalepsia, esattamente qui: http://aletheia.ilcannocchiale.it/post/448794.html.
A Cesare quel che è di Cesare e a Clelia quel che è di Clelia.
A te un saluto carissimo
H.
Cara Roby, cara Habanera io non m'intendo affatto di cinema, sapete? Scrivo solo il mio punto di vista da spettatrice entusiasta. Altrimenti, di scrivere, non mi verrebbe proprio. Questo blog mi è sempre piaciuto perché a parlare non sono i soliti espertoni che fanno a gara su chi la sa più lunga. Qui ognuno fa cinema a modo proprio, lo fa sentitamente, con cura. Io sono stata invitata a esprimermi e per questo ringrazio. Faccio quel che posso, soprattutto per rendere omaggio a quei film che mi hanno emozionato con la speranza - e non il contrario!- di incuriosire persone che se lo sono perso.
RispondiEliminaGrazie, ragazze!
Laura
p.s. Grazie anche a Clelia Mazzini!
Cara Laura, quando scrivi: « io non m'intendo affatto di cinema, sapete? Scrivo solo il mio punto di vista da spettatrice entusiasta. ... Faccio quel che posso, soprattutto per rendere omaggio a quei film che mi hanno emozionato con la speranza - e non il contrario!- di incuriosire persone che se lo sono perso. » stai dicendo esattamente l’idea che c’è dietro alla nascita di questo blog: qui siamo tutti così.
RispondiEliminaIo ho fatto una gran fatica a trovare certe informazioni, e adesso mi fa piacere condividerle con qualcuno. Non mi piace parlare a nome degli altri, ma penso che sia lo stesso spirito che c’è dietro al blog di Clelia, di Brian, di Giulia, di Stefania, di Habanera, di Annarita (ho dimenticato qualcuno? spero di no, sto scrivendo al volo). Altrimenti è solo un parlarsi addosso, uno “scrivere e non leggere” che è proprio quello che si rimprovera alla maggior parte dei blog. (io ho trent’anni di appunti arretrati, è solo per questo che qui ci sono duecento post col mio nome).
Scorro l’elenco dei link e mi accorgo che di sicuro ho dimenticato Oyrad (a lui, e a tutti quelli che fanno dei blog belli da leggere, chiedo scusa). Mi accorgo poi che ho scritto Stefania mentre pensavo di aver scritto Simona. Non credo che per voi sia importante, solo che “Questo sì che è un bel lapsus, - mi sono detto - adesso vado di là e me lo spiego da solo, se no per spiegarlo a tutti ci vorrebbero una quarantina di puntate”.
RispondiEliminaGiuliano, aggiungo alla tua lista, come è giusto, Gabriella, Simona e Oyrad. Sono i blog che leggiamo ogni giorno e in cui spesso scriviamo. Ma di blog ce ne sono anche altri, solo che occorre autolimitarsi, non si può andare a spasso tutto il giorno (anche se è molto piacevole) prima bisogna lavorare a casa propria. Curiosamente, ma non tanto, sono tutti blog che si muovono secondo un progetto magari semplice ma preciso, e che leggiamo per due motivi: ci dà piacere leggerli e troviamo informazioni utili. L'utilità è una categoria che andrebbe tenuta ben presente, se ne parla poco, ma è importante: vuol dire avere più tempo a disposizione.
RispondiEliminaConcordo del tutto con quello che Giuliano ha detto a Laura.
saludos
Solimano
P.S. Giuliano, non nasconderti dietro i trenta anni di appunti, ti stai facendo un bel mazzo pure te! E ti fa pure piacere...
Giuliano, nella tua lista sta benissimo anche il nome Stefania perchè Squilibri (di Stefania Mola) è uno dei blog più belli che ci siano in giro e corrisponde in pieno allo "spirito" di cui parli. A chi non lo conoscesse consiglio di fare un giro qui: http://squilibri.splinder.com/
RispondiEliminaCome vedi non tutti i lapsus vengono per nuocere.
Un caro saluto
H.
Caro Capo, i trent'anni di appunti ci sono davvero, mica sono scuse: li hai anche intravisti...
RispondiEliminaMi sono dimenticato di Gabrilu, ed è grave (ma lei è a Parigi, speriamo che non se ne accorga mai...)
cara Habanera, cara Stefania e cara Simona: Stefania era al posto giusto, e anche Simona. Però sono due nomi molto complicati, la mia confusione è stata un lapsus di quelli che farebbero felici tre generazioni di psicoanalisti...
saluti a tutti e grazie a tutti, soprattutto a quelli di cui non ho scritto il nome