Giuliano
Non è stato molto fortunato, al cinema, Dino Buzzati. E’ un peccato, perché di storie belle ne ha scritte tante, e molte sarebbero l’ideale per un film, ancora oggi.
Faccio una rapida ricerca su imdb, e trovo poco, i film interessanti li elenco qui sotto:
- Il fischio al naso, 1967, regia e interpretazione di Ugo Tognazzi, dal racconto “Un caso clinico”;
- Il deserto dei Tartari, 1976, regia di Valerio Zurlini;
- Il segreto del bosco vecchio (1993) di Ermanno Olmi e Barnabò delle montagne (1994) di Mario Brenta, allievo e collaboratore di Olmi.
E prima di tutti questi c’era stato “Un amore”, del 1965, regia di Gianni Vernuccio: ma questo film merita un cenno particolare, e ne parlerò per ultimo.
Dino Buzzati è uno dei “miei” autori, e quindi quando uscì il film di Zurlini andai a guardarlo con una certa apprensione. E’ un buon film, girato in Iran in una location memorabile (purtroppo danneggiata dal recente terremoto), ed è anche molto fedele al libro: ma non è che “Il deserto dei Tartari” sia reso al meglio. C’è qualcosa di rigido, di legnoso, in questo film così accurato: avrebbe tutto per essere perfetto, ma non lo è. E, alla fine, devo ammetterlo, sono rimasto deluso.
Molto deludente, sotto tutti i punti di vista, è invece il film di Tognazzi: che non rende nulla della sottile angoscia del racconto, cerca di virare al comico o al grottesco inventandosi un “fischio al naso” che in Buzzati non c’è, e allunga troppo un racconto che ha nella concisione narrativa il suo punto di forza.
Sono invece molto belli i due film di Olmi, che ha saputo cogliere bene lo spirito di Buzzati. Non sono film facili, e non sono nemmeno film per tutti i giorni e tutti i momenti; ma quando si trova lo spirito giusto, vale davvero la pena di cercarli.
Quando uscì “Un amore”, nei primi anni ’60, per i lettori di Buzzati fu uno shock. Buzzati stesso racconta lo stupore, e anche gli insulti, che gli piovvero addosso: perché l’aereo Buzzati questa volta si era immerso per bene nella realtà, raccontando dell’amore di un uomo della sua età per una giovane prostituta, conosciuta in una casa di appuntamenti. Il libro è sincero, di una sincerità disarmante che ha dei precedenti illustri: e vorrei ricordare soprattutto “Senilità” e anche “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, nei suoi capitoli centrali. Ma Svevo non è così esplicito, pur essendo altrettanto sincero; e poi da un signore come Buzzati questo non se lo aspettava nessuno.
Sarebbe un argomento molto complesso, qui mi limiterò a dire che il film del 1965 l’ho solo guardato di sbieco, tanti anni fa; e che il libro di Buzzati ho cominciato ad amarlo da poco: fin qui gliene avevo preferiti altri, soprattutto i racconti. Ci sono tante cose che mi tengono lontano dal film, e che non mi fanno venire voglia di rivederlo; e la prima è la lista degli attori. I protagonisti sono Rossano Brazzi, un attore molto legnoso e poco adatto alle sfumature necessarie per il personaggio, e la sorella di Catherine Spaak, Agnes, allora diciottenne.
Guardo le foto di Agnes Spaak, molto somigliante alla sorella: le confronto con i mille disegni di Buzzati che ben conosco, e non trovo nulla che la renda adatta all’interpretazione di Laide, la protagonista di “Un amore”. Se devo pensare ad un’attrice adatta per il ruolo, mi viene in mente quasi soltanto Ottavia Piccolo (poco utilizzata dal cinema, eppure bravissima); e per la parte maschile, forse Mastroianni – che però all’epoca era troppo giovane. O magari, spostandoci in America, Wynona Ryder e Dustin Hoffmann...
Ma di Laide abbiamo due ritratti: uno disegnato da Buzzati stesso, e l’altro è la descrizione che troviamo al loro primo incontro, all’inizio del capitolo terzo; ed è con questa descrizione che chiudo il mio ragionamento, non senza aver fatto notare il riferimento a Breughel: tutt’altro che casuale.
(...) Nel salotto, per così dire, c'era un divano ad angolo, un tavolo rotondo, un altro divano lungo, un armadietto, un armadio a muro. Mobili cosiddetti moderni, tipo Svezia, abbastanza semplici, un vago senso di pulizia. Stupiva la presenza, sui muri, di due grandi riproduzioni di Breughel il vecchio: le famose scene di contadini. Chissà come erano capitate là, o erano state scelte.
Era là, seduta sul divano lungo. Lui ne ebbe al primo sguardo un'impressione gradevole però niente di straordinario. Un faccino pallido, reso arguto dal naso dritto e prominente, dalla bocca piccola, dagli occhi tondi e attoniti. C'era qualcosa di fresco, di popolaresco, ma non volgare. Guardò, cercando di misurare il piacere che ne sarebbe presto seguito. Si accorse che l'ovale del volto era bellissimo, puro, benché non avesse niente di classico. Ma soprattutto colpivano i capelli neri, lunghi, sciolti giù per le spalle. La bocca formava, muovendosi, delle graziose pieghe. Una bambina.
La bocca aveva labbra sottili ma rilevate non apertamente sensuali, però maliziose. Il labbro inferiore, relativamente, sporgeva un poco, tanto più che il mento era piccolo, stretto e di profilo rientrante. Non aveva rossetto. La bocca era ferma e tesa, molto piccola in proporzione alla faccia, ma importante. Tutta la faccia era compatta per la tensione estrema della giovinezza. Era una faccia decisa, spiritosa, ingenua, furba, pulita, provocante. Lui si ricordò di una Madonna di Antonello da Messina. Il taglio del volto e la bocca erano identici. La Madonna aveva più dolcezza, certo. Ma lo stesso stampo netto e genuino. In questi approcci Dorigo era sempre imbarazzato. Il giudizio segreto di lei lo atterriva. Sapeva di non essere bello. Anzi. La sua faccia gli aveva sempre procurato dispiacere. Ancora da ragazzino, passando davanti alle vetrine dei negozi, gli capitava di guardarsi, trovando sul vetro la propria immagine. Ogni volta era una umiliazione. Che faccia odiosa, che faccia da cretino, a che donna sarebbe mai potuto piacere? (...)
(Dino Buzzati, Un amore, inizio capitolo terzo)
Il tema della prostituta, o comunque della donna leggera, che viene disprezzata ma a cui si è sottomessi, è diffuso nella letteratura italiana: Tozzi, Svevo, Moravia, Buzzati, forse meno nei film. Quello che ci ha fatto i conti meglio è Svevo, che ha trasfigurato probabili esperienze personali in due figure assai vive come Angiolina Zarri e Carla Gerco. Il punto è sempre quello: amare una donna pretendendo che sia diversa da quella che è, che è una cosa molto diffusa e del tutto sbagliata: non si cambia a comando. Così si ingenera un conflitto, perchè si oscilla come un pendolo fra dominanza e soggezione. E' una situazione che capita frequentemente agli intellettuali perché hanno la fisima di avere qualcosa da insegnare agli altri ed... alle altre! Dicano quello di cui sono convinti, lo mostrino bene e stop, basta ed avanza. Se si fa così, se non si cerca di limitare la libertà altrui, la situazione migliora, o comunque si arriva ad una rapida definizione. Il rischio è che una situazione del genere duri mesi e mesi, anche anni. Ma il problema non è Carmen, il problema è Don Josè.
RispondiEliminasaludos
Solimano
Io sposterei il tema di "Un amore" da quello della prostituta, che è molto generico, al carattere della ragazza che qui viene presentata, e che è molto più interessante.
RispondiEliminaCi vedo dei tratti in comune con la Maria Bakò di "Un'anima divisa in due" di Silvio Soldini, che non è una prostituta, o con la maggior parte delle interpretazioni di Jeanne Moreau: una donna vagamente assente, che "lascia fare", e che può anche essere distruttiva.
Di solito sono donne molto sensuali, attraenti.
Ma anche questo è un discorso complicato, troppo complesso per un commento al volo...
Il disegno a colori è di Buzzati, proviene da una sua versione dell'Orfeo che ha il titolo "Poema a fumetti", molto anni '60 ma con tante cose da vedere.
RispondiEliminaGiuliano, il tema della prostituta è a suo modo la punta di un iceberg: il rapporto fra sesso e denaro, che è molto vasto.
RispondiEliminaLuchino Visconti, in un episodio credo di Boccaccio '70, lo trattò genialmente con la moglie che scopre che il marito va con prostitute e che si accorda con lui perché, prima di fare all'amore, le lasci una cifra prefissata in contanti sul comodino. Mi sembra che gli attori fossero la Schneider e Thomas Milian, ma tutto era raccontato con giusta lucidità e cattiveria.
Sembrava uno scherzo ma non lo era.
saludos
Solimano
grande scrittore ,un po dimenticato,e sottovalutato come pittore anche surreale grazie vingari
RispondiEliminaGrazie a te, Vingari. Io ho iniziato a leggere Buzzati a 13-14 anni, e non ho più smesso.
RispondiEliminaDevo dire che mi piace molto anche come persona, e che mi è piaciuto ancora di più dopo aver letto le sue "Lettere a Brambilla", scritte e disegnate con un suo amico, compagno di scuola, fin da quando aveva poco pià di dieci anni.
Devo fare una precisazione. Il film Barnabò delle montagne non è di Olmi ma di Mario Brenta, allievo-collaboratore di Olmi.
RispondiEliminaBoboboss, grazie della precisazione, ho corretto.
RispondiEliminaA un buon ritrovarci.
saludos
Solimano
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