Al Kunsthistorisches Museum di Vienna c'è la più importante raccolta delle opere di Pieter Bruegel, basta ricordare i Cacciatori nella neve, il Banchetto nuziale, la Danza di contadini. C'è anche un quadro, i Giochi di fanciulli, che fra tante altre cose, è considerato una vera e propria "enciclopedia dei giochi dei ragazzi fiamminghi" (Hulin de Loo).
Le sue dimensioni tutto sommato non sono grandi (118 x 161 cm), ma si sono contati sinora 84 giochi infantili, quasi tutti ancora praticati, e sì che ne è passato del tempo dal 1560, anno in cui Breugel lo terminò.
Il problema di Pieter Brueghel era del tutto analogo a quello che si era presentato a Gaudenzio Ferrari per la cupola di Saronno: rappresentare in uno stesso spazio molti esseri (là angeli, qui fanciulli), che svolgono attività simili ma ognuno con le sue individuali caratteristiche. Ancora un paginone, per venire al termine che nel Novecento si è cominciato ad usare per un'opera del genere nel mondo dei fumetti.
Bruegel approfitta abilmente di due opportunità a sua disposizione: la pittura ad olio su tela, che gli consente una finezza nei particolari altrimenti impossibile, e la costruzione in prospettiva attorno alla piazza di un paese fiammingo in cui si svolgono gli 84 giochi (ancora la piazza, come Lorenzo Lotto!). La prospettiva è importante perché evita l'affastellamento e la dispersività, e dà coerenza al tutto.
Si sono cercate tante interpretazioni, sui Giochi di fanciulli di Bruegel: chi ha scritto di significati alchemici, chi di un ciclo sulle età dell'uomo, chi (addirittura!) di una allegoria del mondo folle e peccaminoso. Ci sarà certamente del vero, pittori come Lotto, Ferrari e Bruegel era tutto tranne che degli sprovveduti, ma se ci mettessimo di fronte a questa opera come ci mettiamo di fronte ad un bel paginone a fumetti fatto da un disegnatore che amiamo, non sarebbe meglio?
Ci perderemmo volentieri nei singoli particolari, uno per uno, per poi tornare soddisfatti alla visione d'insieme, evitando così di sovrapporre il nostro io pedante (che ha un po' del grillo parlante) a opere che affrontate in questo modo diverrebbero facili da capire e molto gratificanti, perché qui, in mezzo ai bambini che giocano, ce n'è certamente qualcuno che fa il gioco che piaceva di più a noi, si tratta solo di individuarlo fra gli ottantaquattro.
Una curiosità. Credo di aver capito perché i libri di storia dell'arte parlino a volte più di "ometti" che di "bambini". Basta guardare un particolare di un altro quadro che sta a Vienna, la Danza di contadini (particolare che porto qui sotto). Davanti al suonatore di cornamusa una ragazzina più grande insegna a ballare ad una bimbetta. Ma le scambiamo per donne, perché come donne sono vestite, non da bambine. E così è anche per i ragazzi dei Giochi di fanciulli. Per questo li chiamano "ometti": per noi i bambini e le bambine vestono in modo diverso rispetto agli adulti, per Pieter Bruegel e per il suo mondo non era così.
Direi che il dipinto de i Giochi dei bambini possa considerarsi anche un documentario a colori sui giochi dei bambini al tempo di Bruegel. Il documentario è anche un genere cinematografico interessante. a cui si sono dedicati noti registi. Ma, al contrario della pittura, i documentari o cortometraggi sono soggetti a rapida obsolescenza perché troppo legati alle contingenze.
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