lunedì 11 giugno 2007

Walter Veltroni al cinema

Witness
Peter Weir è un grande regista. Dai suoi inizi. Piccoli capolavori che si chiamavano Picnic ad Hanging Rock, Gli anni spezzati, Un anno vissuto pericolosamente. Fino a L’attimo fuggente, autentico cult-movie per quella parte di contemporanei che andava scoprendo, in sé e fuori di sé, che la vita non è solo affermare se stesso e sconfiggere il prossimo. In fondo questa rivolta rispetto all’individualismo esasperato è anche il filo rosso che attraversa Witness. Un film emozionante, giocato non solo su una delicata ragnatela di sentimenti, ma su un grande tema americano e ora universale: l’identità delle minoranze e i loro processi d’integrazione. Il film, che è insieme un thrilling e un giallo psicologico, è ambientato nella comunità degli amish, una piccola setta religiosa refrattaria alla contaminazione con la modernità. Ma una vicenda drammatica, un assassinio, al quale assiste un bambino della comunità, trasferisce la brutalità del mondo esterno, la violenza della vita metropolitana in quel piccolo mondo separato. Il film riesce a tenere magistralmente le due dimensioni, l’avventura e il racconto e l’una finisce col galvanizzare l’altra. Harrison Ford e Kelly McGillis sono bravissimi, l’unica pecca del lavoro di Weir è forse il finale troppo « happy ».

I predatori dell'arca perduta
Un capolavoro del divertimento, un fuoco di artificio della fantasia, una sarabanda di avvenimenti. I predatori dell’arca perduta è un film indimenticabile. È il ritorno cinematografico ai luoghi del nostro immaginario giovanile. È la riscoperta di un genere assolutamente abbandonato dal cinema: l’avventura. Nel film di Spielberg ci sono tutti i riferimenti tipici di un fumetto di qualità. L’eroe viaggia tra il Perù, l’America, l’Egitto e si trova a combattere tanti nemici diversi: Hitler, un truce affarista, i sottomarini. L’eroe e la sua bella si infilano in tutti i luoghi in cui non bisognerebbe mai entrare, posti pieni di pericoli e trabocchetti. A partire dalla indimenticabile scena della grande palla nera. A proposito di cose difficili da cancellare dalla memoria, c’è il più bel duello che il cinema contemporaneo ricordi. Quando Indiana Jones, a un certo punto della battaglia, si ricorda che ha la pistola e fa una certa faccia, si sfiora il capolavoro assoluto. Non si ha tempo di respirare, né di riprendersi dallo stupore. Il ritmo del racconto e gli effetti speciali trasformano questa specie di «Cino e Franco» in una saga dell’avventura moderna. Da non perdere, da rivedere, da mostrare ai bambini.

Kapò
Gillo Pontecorvo è un maestro. Lo è per gli straordinari film che ha girato, per le storie che ha raccontato, per le emozioni che ha trasmesso. Ma lo è anche per il suo stile di vita, per la sua discrezione, per il suo sorriso buono. Forse perfino per la sua apparente pigrizia. Pontecorvo ha infatti girato pochi film, tutti importanti, e ha coltivato tanti progetti mai realizzati. La sua ritrosia a «concludere» è ormai diventata una delle storie magnifiche del cinema italiano. Per fortuna non capitò così quando Gillo Pontecorvo cominciò il suo lavoro. Sfornò dei film splendidi, asciutti ed emozionanti. Scelse temi al calor bianco che poi raffreddava seminando dubbi e ambiguità, come in Kapò, in cui una prigioniera di un campo di concentramento per ebrei diventa, per terrore di morire, essa stessa carceriera della sua gente. Kapò è un terribile e straordinario racconto della guerra che divora e stravolge, che corrompe e riscatta. La kapò cambierà per amore, ma il sentimento forte che attraversa il film è l’orrore per la guerra, la paura del dolore. Non so se Gillo Pontecorvo farà presto il suo prossimo film. So, però, che sarà bellissimo.
P.S. Le recensioni di Walter Veltroni sono pubblicate in "Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film" Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1994.
Le ho trovate sull'ottimo sito Mymovies, Il cinema dalla parte del pubblico: http://www.mymovies.it/
Nell'immagine c'è la Kelly McGillis di Witness. (s)

4 commenti:

  1. Solimano, non ho mai apprezzato il ruolo di VV nella critica cinematografica, perchè non avevamo proprio bisogno di un altro critico. Già quelli che esistono comiciano a pesare per la loro parzialità. Ci voleva anche un altro politicizzato!.

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  2. Isabella, e perché mai?
    Uno, le tre brevi recensioni di Veltroni mi sembrano coerentissime col nostro modo, più da esperienze che da critiche. Vabbé, I predatori dell'Arca Perduta come li vede Roby sono meglio, e per il Walter è dura, ma Roby è Roby, mica brustulini, è un confronto da far tremare le vene e i polsi (a Veltroni)!
    Due, alle cassette di Veltroni devo un'ottima cineteca personale a basso costo, che dopo tutti a criticare, ma gli sono andati dietro tutti, ancora oggi col DVD. In Italia, se uno fa qualcosa, invece di dirgli grazie lo si critica.
    Tre, il politicizzato. A parte che non è un insulto, c'è anche del buono specie nei sindaci, se Tremonti o D'Alema, Cofferati o Fini scrivessero esperienze sensate riguardo i loro film della vita, li pubblicherei, in quanto personaggi noti. Ma secondo me non ne sono capaci. Le esperienze del Walter fanno la loro figura accanto alle nostre, certo che il ragazzo può e deve migliorare, glielo faremo sapere.
    Non ho squasi politici riguardo la qualità: gli unici due pennaioli a cui non metterei la barriera delle cinquecento battute nel blog di Claudio sono Filippo Facci e Massimo Fini, che la pensano un po' diversamente da me, come sai.
    Però mi hai dato una idea: prima o poi chiederò all'ex sindaco Faglia e al nuovo sindaco Mariani qui di Monza di scrivere i loro film fianco a fianco, la campagna elettorale è finita!

    saludos
    Solimano

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  3. Beh, non mi sembra politicizzato. Caso mai, sono recensioni un po' banali, poco personali, corrette ma un tantino noiose.
    Il Marotta dell'altro giorno, per esempio, diceva cose molto discutibili ma anche molto vive. Il livello del recensore era più basso, ma lo scrittore è senza dubbio meglio.

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  4. Sono stata troppo sintetica nella definizione di "politicizzato" nei confronti di VV, perciò fraintesa. Volevo dire, tuttologo, come solo i politici di professione possono essere, senza passare per la trafila. Mi spiego con un esempio: per essere ingegnere devi aver fatto tutto quanto è prescritto. Nessuno ti concederà mai di essere architetto senza la trafila, e che trafila. Se, a un certo punto dell'esistenza, qualcuno decidesse di entrare nella competizione politica, ecco che entra in gioco il DNA dell'appartenenza politica a questo o quel partito. Ma non è finita qui. Dalla politica alla tuttologia non vi sono ostacoli per carriere fulminee di giornalista-critico cinematogragico-scrittore- sindaco-attore nel prestigiosi teatri d'Italia per la presentazione del proprio libro e ambasciatore di nuove tesi politiche.Insomma la negazione delle pari opportunità, candidamente condivise.C'è persino qualcuno, come un certo deputato della Margherita, che ha avuto di recente un ambito premio letterario in Francia per aver scritto il suo primo libro. Insomma, qui non si tratta di scrivere come diversivo qualcosa sulle esperienze della propria esistenza, come facciamo noi, ma di persone che hanno quei privilegi che agli altri costano duro impegno e lavoro,se non negati, persone che raggiungono mete per altri impossibili e che, nella sostanza, fanno troppo poco, a parer mio, per il bene comune.Sic! Isabella

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