Rio Bravo, di Howard Hawks (1959) Sceneggiatura di B.H.McCampbell, Jules Furthman, Leigh Brackett Con John Wayne, Dean Martin, Ricky Nelson, Angie Dickinson, Walter Brennan Fotografia di Russell Harlan, Musica di Dimitri Tiomkin (141 minuti) Rating IMDb 7,9
Lodes
Essendo stato chiamato immeritatamente in causa su questo film mi permetto di intervenire aprendo un nuovo post.
Un dollaro d’onore l’ho visto al cinema quando uscì e rivisto enne volte in tv e mai una volta che il piacere sia venuto meno. Un film perfetto. Perfetto nella storia, nei personaggi, nella recitazione (tutti gli attori concorrono in egual misura in una competizione espressiva di alta qualità), nell’ambientazione. Non è un western dei grandi spazi, di cavalcate, è un film che intreccia sapientemente la psicologia dei singoli personaggi in una trama anomala descrittiva della saga western. Anomala per l’ironia che lo attraversa, ma in cui contorni classici del western non necessitano di alcuna narrazione. Tutto è predefinito e lo spettatore lo sa: quello che conta è la storia è l’intreccio delle psicologie. Gli stereotipi western sono racchiusi in un vaso di fiori dai mille colori: c’è la cittadina ai confini con Messico in cui la legge del più forte resiste all’avanzata della “giustizia/stato” che però è ancora lontana diversi giorni di cavallo, c’è lo sceriffo che presidia una legalità scevra da fronzoli che non ammette cedimenti nemmeno quando il male sembra più forte e vincente. Tutto questo non ha necessità di descrizioni: lo spettatore lo sa già e rivolge l’attenzione allo svolgersi degli eventi. Eventi racchiusi in un microcosmo che ha bisogno solo di alcune scenografie confezionate in studio: la strada principale, il saloon, l’albergo, l’ OK. Corrall, tutto il pathos del film nasce cresce e trova la conclusione qui dentro. Il film appartiene al periodo maturo del western, qui non c’è la narrazione del mito della frontiera, non c’è la narrazione della conquista, della nascita di una nazione, c’è appunto l’ironica narrazione degli stereotipi del western e per certi versi la sua messa in discussione. John Wayne che apparentemente reinterpreta l’ennesimo personaggio del giustiziere che tutto sistema in realtà gioca a smontare se stesso. E per la prima volta lo vediamo innamorato di una donna reale in carne ed ossa, innamorato come un qualsiasi uomo e che combatte una battaglia già persa in partenza con una donna. E’ qui che sbaglia Manuela, in realtà questo è il sovvertimento dello stereotipo. Certo l’omosessualità latente attraversa tutta la cinematografia western e qui Howard Hawks non si sottrae affatto, anzi. Incastra i personaggi in modo tale da creare appunto un grumo di “amicizie particolari” da cui le donne sono escluse: Chance si fa picchiare da Borachon senza reagire ed è disposto a cedere al cattivo pur di salvarlo. Salvarlo dalle donne e dal disonore. Il vecchio Stumpy gode nel sopportare ogni (presunta più che reale) angheria da parte degli amici pur di poterli (da vecchia checca) coccolarli. Poi c’è Colorado che non resiste al fascino di questi uomini e smette di stare a guardare rinunciando alla vita normale di un giovane che dovrebbe coltivare ben altre amicizie. Non si può non vedere questa omosessualità esibita, ma il risultato è eccezionale e proprio nella narrazione di questo intreccio raggiunge le punte più alte: come il bacio di Chance sulla testa di Stumpy, o il litigio tra lo Stesso Stumpy e Borachon, ma il culmine è raggiunto nella scena in cui i quattro, baraccati dentro la prigione, si mettono a cantare Rio Bravo. Assolutamente perfetta. Sarebbero tanti altri gli stereotipi di cui parlare ma è bene che mi fermi qui.
Dunque, per finire, stereotipi rivisti reinterpretati per parlarci di un genere western che ormai ha poco da aggiungere e da dire. Il mito si fa intreccio ironico, si fa narrazione di se stesso, quasi ad annunciare una fine molto vicina. Infatti l’inquadratura finale si chiude sulle calze di Feathers che gettate dalla finestra perché Chance ha capitolato e lo sceriffo sarà come tutti gli altri: un uomo inscimunito dall’amore. Dude 'Borachón' e Stumpy che raccolgono la calza se ne vanno con una risata. Appunto all’America non rimane che ridere di se stessa: l’età della conquista è finita, c’è altro a cui pensare.
Hawks, Dickinson e Wayne in una foto di scena di Rio Bravo
Lodes
Essendo stato chiamato immeritatamente in causa su questo film mi permetto di intervenire aprendo un nuovo post.
Un dollaro d’onore l’ho visto al cinema quando uscì e rivisto enne volte in tv e mai una volta che il piacere sia venuto meno. Un film perfetto. Perfetto nella storia, nei personaggi, nella recitazione (tutti gli attori concorrono in egual misura in una competizione espressiva di alta qualità), nell’ambientazione. Non è un western dei grandi spazi, di cavalcate, è un film che intreccia sapientemente la psicologia dei singoli personaggi in una trama anomala descrittiva della saga western. Anomala per l’ironia che lo attraversa, ma in cui contorni classici del western non necessitano di alcuna narrazione. Tutto è predefinito e lo spettatore lo sa: quello che conta è la storia è l’intreccio delle psicologie. Gli stereotipi western sono racchiusi in un vaso di fiori dai mille colori: c’è la cittadina ai confini con Messico in cui la legge del più forte resiste all’avanzata della “giustizia/stato” che però è ancora lontana diversi giorni di cavallo, c’è lo sceriffo che presidia una legalità scevra da fronzoli che non ammette cedimenti nemmeno quando il male sembra più forte e vincente. Tutto questo non ha necessità di descrizioni: lo spettatore lo sa già e rivolge l’attenzione allo svolgersi degli eventi. Eventi racchiusi in un microcosmo che ha bisogno solo di alcune scenografie confezionate in studio: la strada principale, il saloon, l’albergo, l’ OK. Corrall, tutto il pathos del film nasce cresce e trova la conclusione qui dentro. Il film appartiene al periodo maturo del western, qui non c’è la narrazione del mito della frontiera, non c’è la narrazione della conquista, della nascita di una nazione, c’è appunto l’ironica narrazione degli stereotipi del western e per certi versi la sua messa in discussione. John Wayne che apparentemente reinterpreta l’ennesimo personaggio del giustiziere che tutto sistema in realtà gioca a smontare se stesso. E per la prima volta lo vediamo innamorato di una donna reale in carne ed ossa, innamorato come un qualsiasi uomo e che combatte una battaglia già persa in partenza con una donna. E’ qui che sbaglia Manuela, in realtà questo è il sovvertimento dello stereotipo. Certo l’omosessualità latente attraversa tutta la cinematografia western e qui Howard Hawks non si sottrae affatto, anzi. Incastra i personaggi in modo tale da creare appunto un grumo di “amicizie particolari” da cui le donne sono escluse: Chance si fa picchiare da Borachon senza reagire ed è disposto a cedere al cattivo pur di salvarlo. Salvarlo dalle donne e dal disonore. Il vecchio Stumpy gode nel sopportare ogni (presunta più che reale) angheria da parte degli amici pur di poterli (da vecchia checca) coccolarli. Poi c’è Colorado che non resiste al fascino di questi uomini e smette di stare a guardare rinunciando alla vita normale di un giovane che dovrebbe coltivare ben altre amicizie. Non si può non vedere questa omosessualità esibita, ma il risultato è eccezionale e proprio nella narrazione di questo intreccio raggiunge le punte più alte: come il bacio di Chance sulla testa di Stumpy, o il litigio tra lo Stesso Stumpy e Borachon, ma il culmine è raggiunto nella scena in cui i quattro, baraccati dentro la prigione, si mettono a cantare Rio Bravo. Assolutamente perfetta. Sarebbero tanti altri gli stereotipi di cui parlare ma è bene che mi fermi qui.
Dunque, per finire, stereotipi rivisti reinterpretati per parlarci di un genere western che ormai ha poco da aggiungere e da dire. Il mito si fa intreccio ironico, si fa narrazione di se stesso, quasi ad annunciare una fine molto vicina. Infatti l’inquadratura finale si chiude sulle calze di Feathers che gettate dalla finestra perché Chance ha capitolato e lo sceriffo sarà come tutti gli altri: un uomo inscimunito dall’amore. Dude 'Borachón' e Stumpy che raccolgono la calza se ne vanno con una risata. Appunto all’America non rimane che ridere di se stessa: l’età della conquista è finita, c’è altro a cui pensare.
Hawks, Dickinson e Wayne in una foto di scena di Rio Bravo
Ohilà Lodes! Bentornato. Come vanno i tuoi baffoni?
RispondiEliminaGiuliano
LODES, mentre ti dò il bentornato, non posso che inchinarmi davanti ad un'analisi così lucida eppure così appassionata.
RispondiEliminaA questo punto parlare di maschilismo, femminismo, omosessualità latente ecc. mi sembra persino riduttivo.
Chance, Dude, Stumpy, Colorado e Feathers, da personaggi che erano, si sono ormai trasformati in PERSONE: esattamente come noi.
Comincio quasi a credere di aver sposato uno di loro... ma per il rispetto della privacy non rivelerò CHI!
[;->]
R.
Bentornato Lodes!
RispondiEliminaLo confesso, questo non è fra i miei western preferiti, Howard Hawks lo preferisco in un altro tipo di film, fra un po' di tempo vedrete quali. Poi, John Wayne lo tollero quando c'è John Ford, Ricky Nelson è giovane da far rabbia, e con Dean Martin ce l'ho da quando maltrattava Jerry Lewis (bravissimo!) nei primi film che fecero insieme.
Però c'è Angie Dickinson. Basta ed avanza, giustamente tanta com'è.
saludos
Solimano
Baffoni e barba vanno benissimo! :-)un po' meno il fisico, ma mi sto rimettendo e non smetterò di tediarvi con i miei commenti.
RispondiEliminaUn abbraccio a tutti.
lodes
Molto bello, davvero.
RispondiEliminaBen tornato, lodes!
habanera
L'amicizia virile è un archetipo antichissimo, probabilmente collegato alla caccia in gruppo agli animali grandi, non perseguibili individualmente.
RispondiEliminaIn Omero si esprime nel rapporto fra Achille e Patroclo, ma anche nel rapporto fra Ulisse e Diomede, di cui si parla di meno.
Poi c'è l'amicizia fra il maturo e il giovane, da Eurialo e Niso fino all'Ariosto di Cloridano e Medoro.
Esiste anche l'archetipo della solidarietà femminile, espresso in tante Visitazioni e tante Nascite del Battista (quadri senza la presenza di uomini).
Gli archetipi sono miti concreti, nati quindi per rispondere a realtà vere.
L'omosessualità (maschile o femminile) può esserci oppure no, l'archetipo preesiste e c'è sempre.
A Hollywood, fra l'altro, l'omosessualità ambosessi era diffusissima, con la bella conseguenza che si idoleggiavano impropriamente sex symbol che avevano altro per la mente.
Così non ebbi cuore di raccontare a mia mamma il modus vivendi dell'attore da lei idoleggiato per anni, e feci bene.
saludos
Solimano
La musica country ha una sua grande magia, a me piace moltissimo. Le canzoni cantate in questo film, approfittando di Dean Martin che ha la voce giusta, sono tra le mie preferite, dolci e malinconiche: sarebbe bello aprire un filone della "musica al cinema" con il country (però io non lo conosco molto, ci sono anche molte cose "alla Sanremo" che non apprezzo).
RispondiEliminaOltretutto, Ford dava spesso titoli di canzoni country ai suoi film...
Per il resto del discorso, chiedo scusa ma devo dire che non riesco a seguire questi discorsi, a me il western piace così come l'ho sempre visto e le storie d'amicizia sono belle anche senza bisogno del sesso e della psicoanalisi. Sono storie molto più semplici di quanto si possa pensare...
Ho trovato interessante questa recensione di Vittorio Spinazzola, che uscì a caldo su Cinema Nuovo(1959):
RispondiElimina"Prima ancora che un buon film, Un dollaro di onore è soprattutto un film divertente: ma divertente davvero, cioè capace di tener desta l’ilare attenzione dello spettatore senza ricorrere ai volgari mezzucci cui indulgono le tante commediole e farse di casa nostra. Apparentemente, si tratta di un western psicologico, sul tipo di Quel treno per Yuma e altre opere similari; in realtà, l’opera di Howard Hawks è tutta tenuta sui moduli della commedia, e un abile gioco di allusioni ironiche è pronto a spegnere tutti i sussulti drammatici che la trama presenta. Lo spunto iniziale è emozionante; in seguito, le sparatorie si susseguono, sempre cruente, a regolari intervalli di dieci o quindici minuti, sino al gran finale a colpi di cartucce di dinamite: ma ciò che interessa al regista è solo di seguire, con sorridente affettuosità, l’evoluzione psicologica dei suoi personaggi; all’epilogo, uno di essi non avrà più lo stesso animo con cui si era presentato all’inizio.
Questa bonaria ma implacabile ironia smantella, d’altra parte, gli schemi e le tipologie del cosiddetto “western maggiorenne”, smontandole una per una: Hawks le spara grosse, ci prende gusto a esasperare la convenzionalità di situazioni, scene, caratteri, si diverte a fare la caricatura dello sceriffo tutto d’un pezzo, paterno cogli amici e implacabile coi fuorilegge; dell’ubriacone che si redime, ritrovando un coraggio da leone e un fiuto poliziesco da Sherlock Holmes; della ragazza, diciamo così, traviata ma sempre munita di una mirabile vocazione da brava massaia; del vecchietto ritenuto inutile ma che col suo intervento decide le sorti della battaglia; e così via. Onore, dovere, amicizia, sangue, vendetta, tutti i miti dei film d’avventure americano sono passati in rassegna, con una scappellata e uno sberleffo.
Malgrado l’abbondanza di scene dialogate, il film ha un andamento sostenutissimo: a partir dalla scena iniziale (un vero pezzo di bravura), il racconto si svolge senza perder nulla della sua lineare semplicità, ma arricchendosi di sempre nuove trovate, personaggi minori, macchiette. In una opera del genere, il contributo degli attori doveva di necessità essere decisivo; basterà ricordare, a parte John Wayne, il bravissimo Dean Martin (il quale è venuto percorrendo una parabola ascendente analoga a quella di Frank Sinatra), quel caratterista di gran classe che è Walter Brennan e infine Ricky Nelson, nella parte di un giovane “pistolero” che non vuoi immischiarsi nei fatti altrui e finisce per trovarcisi in mezzo anche troppo.
Non diremmo che Hawks spinga il suo gioco sino in fondo, né che sia totalmente alieno dai compromessi: a volte, la sua ironia è soltanto un alibi per lasciar passare qualche soluzione narrativa dovuta in realtà soltanto a esigenze commerciali e spettacolari. Ma il fatto che il conclamato eroismo e il sublime senso civico dei “pionieri del West” cominci a essere oggetto di divertimento, è cosa che induce a bene sperare del cinema americano".
Dean Martin, John Wayne e gli altri “fanno squadra”: lavorare insieme è un piacere, quando si va d’accordo. Penso che sia qui la bellezza del film, e chi ha provato questa sensazione lo sa. Purtroppo non sono cose che durano, prima o poi l’incanto si rompe (magari perché si è raggiunto l’obiettivo) e rimane il rimpianto dei bei tempi passati insieme. Per questo trovo fuori luogo i discorsi sull’omosessualità in questo film (e in altri). Quanto alla vita privata degli attori, beh: si sa che gli attori recitano. Spencer Tracy era sempre ubriaco, e la stessa cosa pare accadesse con Marilyn Monroe. Sullo schermo sono bellissimi, ma se provate a chiedere ai vicini di casa...
RispondiEliminaUna delle cose belle del film, a proposito del lavorare insieme, è che John Wayne riesce a recuperare il compagno alcolizzato. Un talento perduto, che gli altri davano per definitivamente perso, e che disprezzavano. Una cosa che riesce ai capi che sono davvero Capi... (caro Solimano, c’era questo film nei tuoi corsi per manager? Ecco una bella riflessione per “il lavoro al cinema”...)