martedì 19 giugno 2007

Mon oncle d'Amérique

Mon oncle d'Amérique di Alain Resnais (1980) Dagli scritti di Henri Laborit, sceneggiatura di Jean Gruault, Henri Laborit Con Gérard Depardieu, Nicole Garcia, Roger Pierre, Nelly Borgeaud, Pierre Arditi, Marie Dubois, Henri Laborit Musica: Arié Dzierlatka Fotografia: Sacha Vierny (125 minuti) Rating IMDb: 7.8
Solimano
Si può fare un film usando il metodo deduttivo? Significherebbe partire da alcuni dati certi sviluppandoli poi con coerenza, come se il film fosse un teorema di matematica. Questa fu la domanda che si pose Alain Resnais quando doveva decidere se dare corso o no a "Mon oncle d'Amerique", e si diede una risposta strana: ci sono dei film in cui il metodo deduttivo è seguito perfettamente, se sono fatti bene, e sono i film polizieschi. Un giallo, sia romanzo che film, deve essere impeccabilmente costruito, e sono molto infastidito dall'inserimento di aspetti orrifici e sanguinolenti non perché ne sia impaurito ma per la volgarità della operazione: il romanziere o il regista non riesce a condurre il suo lavoro con serietà intellettuale e ricorre a mezzucci per trattenere il lettore o lo spettatore.
L'incontro fra il regista Alain Resnais e lo scienziato Henri Laborit ebbe una sua casualità, ma si divertirono entrambi come bambini a dargli corso: costruire un film con una sua trama, un film d'amore e di potere (che non sono cose poi molto diverse...), inserendo degli interventi di Laborit che, parlando dei suoi famosi esperimenti sui topi, desse una chiave di lettura di quel che accadeva nel film vero e proprio.

Una cosa breve sui topi di Laborit la debbo dire, perché non è nota come dovrebbe e la ritengo importante. Laborit mette un topo in una gabbia divisa in due: da una parte può passare corrente elettrica, dall'altra no. Prima di fare partire la lieve ma fastidiosa scossa, Laborit fa suonare un campanello e il topo - bestia intelligente - capisce presto che gli conviene trasferirsi nella parte non elettrizzata quando sente il campanello, quindi prima di subire la scossa. Ma Laborit sviluppò il suo esperimento facendo in modo che la porticina della parte non elettrizzata non si aprisse: il topo capiva rapidamente, e quando sentiva il suono si bloccava, aspettando la punizione della scossa. In poco tempo il topo si ammalava. Allora Laborit di topi ne mise due, e successe una cosa strana: quando arrivava la scossa i due topi non restavano bloccati, ma lottavano fra di loro e non si ammalavano. Capire bene le conseguenze di questo esperimento non sarebbe difficile, però significa capire il meccanismo della aggressività, con cui le proviamo tutte pur di non dirci le cose vere. Le balle autoconsolatorie piovono a gogò. A proposito: il cervello dei topi è molto simile al nostro e consiglio chi mi legge di riflettere sull'esperimento di Laborit, capirà qualcosa che gli sarà utile nella vita quotidiana.
Nel film compare la faccia acuta e arguta di Henri Laborit alle prese con i suoi topi, e si dipanano intersecandosi le storie di René Ragueneau, dirigente di azienda (Gérard Depardieu), di Janine Garnier, attrice e stilista (Nicole Garcia) e di Jean Le Gall, scrittore e politico (Roger Pierre), tutti assogettati a diverse scosse elettriche di potere e di amore, e del come reagiscono a queste scosse. Lo spettatore segue coinvolto e disattaccato: coinvolto perché sono storie vere, che sono successe anche a lui, disattaccato perché i topi di Laborit gli danno una chiave di lettura che rende chiaro sia il come che il perché. Si vive meglio, grazie a Resnais e a Laborit. Però, occorre rinunciare a raccontarsi delle balle, e non è impresa facile: tutte le proviamo, pur di non cambiare.

1 commento:

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