Nei primi anni ’80, quando uscivano, i film di Celentano e Pozzetto li evitavo con cura. Oggi mi sorprendo a guardarli con interesse. Non che i film siano cambiati: sono sempre quelli di 25-30 anni fa, se possibile sono ancora più piatti e più brutti. Ho scelto “Bingo Bongo” perché si vede che Celentano si diverte un mondo: dopo una vita passata a sentirsi dare dello scimmione, finalmente ha l’occasione di sfogarsi e lo fa. Ma avrei potuto dire “Mani di fata”, o “Il bisbetico domato”, o qualche altro titolo che vi viene in mente.
Sono io che sono cambiato, e in quei film rivedo Milano com’era quando cominciavo a conoscerla, a vent’anni. E’ questo che me li rende interessanti: non il film né la recitazione né tanto meno la storia che vi è raccontata, figuriamoci. E’ il tempo che è passato. E’ come rivedere un vecchio album di fotografie, insomma: come quando guardo le mie foto da bambino e vedo un albero che ora non c’è più, o la siepe che oggi è folta e che quando io cominciavo a camminare era una serie di piantine striminzite appena piantate, tra la neve.
Penso che la stessa cosa capiti a chi è nato e cresciuto a Roma e rivede gli stessi film, magari quello dove Celentano fa l’autista dell’ATAC: ad ogni sequenza si rivede un angolo della città, una scena, un locale dove siamo stati e che oggi è chiuso. A Milano, non so più in che film, c’è Renato Pozzetto che esce dalla metropolitana in San Babila: l’inquadratura è ampia e si vede quasi tutta la piazza, e non mi perdo un dettaglio. E si fanno subito i confronti e le differenze, come sulla Settimana Enigmistica ma molto meglio, perché qui il giochino del prima e dopo è reale e a volte sconvolgente.
Per il resto, mah: continuo a pensare che vedere critici cinematografici (e di sinistra, oltretutto) che lodano questi film sia uno dei sintomi del degrado a cui è arrivato non solo il cinema ma anche tutto quello che gli sta intorno. Insomma, mi sento apocalittico e non è bello: e forse anche questo, oltre alla nostalgia, è un sintomo dell’età che avanza.
Sono io che sono cambiato, e in quei film rivedo Milano com’era quando cominciavo a conoscerla, a vent’anni. E’ questo che me li rende interessanti: non il film né la recitazione né tanto meno la storia che vi è raccontata, figuriamoci. E’ il tempo che è passato. E’ come rivedere un vecchio album di fotografie, insomma: come quando guardo le mie foto da bambino e vedo un albero che ora non c’è più, o la siepe che oggi è folta e che quando io cominciavo a camminare era una serie di piantine striminzite appena piantate, tra la neve.
Penso che la stessa cosa capiti a chi è nato e cresciuto a Roma e rivede gli stessi film, magari quello dove Celentano fa l’autista dell’ATAC: ad ogni sequenza si rivede un angolo della città, una scena, un locale dove siamo stati e che oggi è chiuso. A Milano, non so più in che film, c’è Renato Pozzetto che esce dalla metropolitana in San Babila: l’inquadratura è ampia e si vede quasi tutta la piazza, e non mi perdo un dettaglio. E si fanno subito i confronti e le differenze, come sulla Settimana Enigmistica ma molto meglio, perché qui il giochino del prima e dopo è reale e a volte sconvolgente.
Per il resto, mah: continuo a pensare che vedere critici cinematografici (e di sinistra, oltretutto) che lodano questi film sia uno dei sintomi del degrado a cui è arrivato non solo il cinema ma anche tutto quello che gli sta intorno. Insomma, mi sento apocalittico e non è bello: e forse anche questo, oltre alla nostalgia, è un sintomo dell’età che avanza.
P.S. Il disegno su Celentano proviene dal sito http://www.celentano.it/
Bingo Bongo e tutta la congerie di film celentaneschi trascina la moda dei cosiddetti "musichelli", molto cari a Gianni Morandi giovincello.
RispondiEliminaSolo che il Morandi di anni ne aveva venti scarsi, e quindi perdonabile. Celentano viceversa le rotelle dell'orologio cerebrale le ha perse negli anni, e il suo cinema è figlio di questo degrado.
Per le inquadrature della Milano da bere anni '80, direi veramente deprimenti, come quelle di "Sotto il vestito niente". Molto meglio e pregne di emotività quelle anni '60-'70, di "romanzo popolare" per intenderci, o anche quelle in minore di storie di mala con inseguimenti per le strade della Bovisa o della Comasina, periferia nebbiosa, là dove c'era l'erba, ora c'è l'ero.
Giuliano e Brian, quello che trovo imperdonabile in questa tipologia di film, che ogni tanto mi strappano qualche risata, e in cui ogni tanto c'è qualche bellezza svestita - che male non fa - è la sensazione di posticcio, di minestra che per compiacere tutti i palati non ha nessun sapore.
RispondiEliminaUn esempio in positivo, per spiegarmi: Paolo Virzì. Non sarà un genio cinematografico, ma ha fatto tre film, La bella vita, Ovosodo, Baci ed abbracci nei posti suoi, con gente spesso sua e non professionista; non è neanche Livorno ma una zona ben precisa fra Cecina e Piombino. Saranno magari film piccoli, ma sono veri.
Così, mi sono sempre indignato quando nei film compare un emiliano e gli appioppano sempre e comunque l'accento bolognese. Eh no! Parma è diversa da Bologna, e Modena da Reggio. Bertolucci, nel doppiaggio di Novecento, è stato bene attento a non cadere nell'errore, se no a Parma l'avrebbero spellato vivo.
Se sei al 100% del tuo paese puoi essere al 100% di Parigi, altrimenti non sei di nessuno, neanche tuo.
saludos
Solimano
Caro amico Brianzolo, ognuno ha i ricordi che si merita: i miei vent’anni coincidono con l’inizio del cinema dei Celentano e dei Vanzina...La Milano che io ricordo è quella lì, non mi è mai piaciuta più di tanto ma la data di nascita è quella che è, e non mi consente di ricordare la Milano di Gadda e di Buzzati. (a proposito, c’è qualcosa di Delio Tessa sul tuo sito?)
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