Solimano
Siamo negli anni cinquanta. A Pleasantville gli studenti hanno una loro squadra di basket che si allena in palestra durante la settimana, e a un certo punto tirano quasi contemporaneamente la loro palla a canestro da qualsiasi posizione, anche molto distante: tutte le palle fanno canestro. Il sindaco gioca a bowling, ogni volta i birilli vanno giù tutti al primo colpo, va dal barbiere, quello che è sotto le forbici si alza e gli cede il posto, contento di farlo. A Pleasantville ci sono i pompieri, ma non scoppiano incendi, quindi i pompieri non avrebbero nulla da fare, ma ogni giorno c’è qualche gatto che non sa come scendere dalla pianta: il giorno che un albero si incendia, per farli muovere si deve urlare “Al gatto!”, non “Al fuoco!” A Pleasantville ogni casa ha il bagno, solo che nel bagno non c’è il water: i bisogni bassi non esistono. Gli innamorati camminano tenendosi per mano, alla sera hanno un loro posto per andarci in macchina, ma non fanno niente, neppure si baciano: non si fa sesso a Pleasantville. Né ci sono colori, tutto in bianco-nero, anzi, in grigio-grigio. La biblioteca è ricca di libri, tutti con le pagine rigorosamente bianche. Solo che un giorno, per strano caso, irrompono attraverso la TV un ragazzo e una ragazza di oggi, David e la sorellastra Jennifer, che guardavano la solita sit-com ambientata a Pleasantville appunto negli anni cinquanta, e per gli abitanti sono guai, perché cominciano a provare dei desideri: di baciare, ad esempio, di non fare tutti i giorni le stesse cose del giorno prima, di avere un letto grande, così le coppie stanno vicine. La mamma putativa - quella di Pleasantville - di David inizia una storia col pizzaiolo, il padre putativo, quando rientra dal lavoro, ha un bel dire “Tesoro, sono a casa!”, la casa è vuota e la cena non è pronta. Jennifer passa a vie di fatto con l’innamorato abituato alla mano nella mano, ed è lì che cominciano ad apparire i colori, prima in cose: una foglia, una mela, un ombrello, poi in persone, che all’inizio si vergognano, ma finisce per piacergli. Nei libri ricompaiono i caratteri, persino le immagini a colori. Giustamente il sindaco di Pleasantville si preoccupa: sarà meglio istituire comitati di cittadini probi, i valori comuni vanno difesi, perché succedono fatti gravi: c’è qualcuno che non trova pronta la cena, c’è uno che ha la camicia bruciata sulla schiena con l’impronta del ferro da stiro. Occorre introdurre delle regole precise, chiudiamo ad esempio pizzeria e biblioteca in attesa che si calmino le acque; altro esempio, i letti non superino la larghezza di un lettino da campo, perché c’è il rischio di soffrire, con i desideri può succedere di tutto. D’altra parte, hanno sempre fatto così, perché cambiare una vita assestata? Servono reazioni, quindi si brucino libri, si spacchino i vetri dei colorati, si metta dentro chi dipinge sui muri. Si arriva ad un vero e proprio processo, i grigi-grigi in platea, i colorati in galleria. Ma il colore è un contagio terribile, qui e là cominciano a farsi colorati anche quelli della platea. David è abilissimo: fa in modo che il sindaco se la prenda, si scaldi, e il sindaco abbocca, a un certo punto diventa colorato anche lui, dalla rabbia che prova. Poco dopo finisce il film, perché David rientra nella vita di oggi, e consola la madre reale che ha problemi seri, però David le asciuga le lacrime. Jennifer invece rimane dall’altra parte dello schermo: farà l’università, ha scoperto che i libri colorati le piacciono quasi più dei baci. Il film è parente stretto, oltre che de “La Rosa Purpurea del Cairo” di Allen, anche de “Il cielo sopra Berlino” di Wenders e di “Fahrenheit 451” di Truffaut. Hanno accusato Gary Ross di avere fatto un film buonista, invece “Pleasantville” è una favola intelligente e acuminata: il padre di Ross fu perseguitato all’epoca di MacCarthy e dei comitati rivolti a perseguire le cosiddette attività anti-americane. In questo film si prende una onesta vendetta, ridicolizzando i persecutori del padre, per me è come se ci dicesse così: “ Non fatevela raccontare, abbiate una vostra opinione e mettetela in piazza, gli assenti dalla vita sono quelli che dicono che va tutto bene e che non bisogna cambiare niente”. Pleasantville ha avuto successo quasi dappertutto, un po' meno in un paese in cui trecento maschi anziani e celibi pretendono di decidere usi e costumi per tutte le coppie, la cosa sarebbe da riderci su, ma a diversi appare normale: sono quelli a cui "Pleasantville" dà molto fastidio.
Visto ben due volte in TV. Bellissimo.
RispondiEliminaEh, sì! Continua ad amareggiarmi un po' questo film, credo che si sia capito dal mio post che certe menate alla Pleasantville dei grigi-grigi le vedo in azione quotidianamente nel nostro paese non solo in TV ma anche nella stampa: il lecchinaggio verso i potenti veri o apparenti non è più una sordida astuzia. E' peggio, è una abitudine, una specie di imprinting di cui neanche si accorgono. L'autocensura, che è peggio della censura, gli esce naturale, un croco polveroso in un prato che potrebbe essere verde. La cosa più ridicola è che non rischierebbero nulla, persistono nella serietà cautelosa, nella noia sistematica. Secondo me, sbadigliano mentre scrivono. Non tutti: Gian Antonio Stella è un bellissimo esempio positivo, e non è il solo.
RispondiEliminasaludos
Solimano