Giuliano
Richard Burton e Liz Taylor erano due attori magnifici, così per il puro piacere di vederli recitare decido di guardarmi “La bisbetica domata” diretta da Zeffirelli. Sorpresa: il film è bellissimo, e molto godibile. D’altra parte, rifletto, non è poi così strano: Zeffirelli ha sempre saputo fare bene il suo mestiere, e in quel 1967 era nel suo periodo migliore. In più, “La bisbetica domata” non è l’Amleto: Shakespeare si diverte e vuol far divertire, è l’occasione di fare festa, per gli attori e per il pubblico. Non è un testo su cui ci sia molto da scrivere o da riflettere, come per La Tempesta o per il Mercante di Venezia, o l’Otello; perciò mi abbandono al piacere del testo, della recitazione, della regia e passo ottanta minuti della mia vita divertendomi molto.
Ma a film finito c’è una cosa che mi disturba, e subito capisco cos’è (ormai sono fatto così, mi dovete scusare). E’ che in questo film i servi sono servi, e i padroni sono padroni. C’è una differenza netta e marcata nei loro comportamenti, e ovviamente non è colpa di Zeffirelli: è che così andavano le cose, e sono andate avanti per moltissimi secoli. Dubito che fosse davvero così nella realtà, ma in quest’opera sembra davvero che i servi siano nati servi e i padroni siano nati padroni (pardon, “nobili”), quasi che siano dure razze diverse e ben riconoscibili, come l’asino e il cavallo, insomma. E’ una rappresentazione non sgradevole, tanto da apparire fluida e naturale anche a me che sto guardando il film. Forse vent’anni fa non me ne sarei accorto, oggi ci faccio caso sempre più spesso. E’ un mondo che piace a molti, questo, sia ai padroni che ai servi: ma per chi non si riconosce in nessuna delle due categorie (pardon, “razze”) la vita è sempre stata molto dura, sia al tempo delle Regina Elisabetta Prima che oggi sotto Elisabetta Seconda; abbiamo vissuto un breve intervallo, ma oggi si sta tornando all’ordine antico – e forse naturale, almeno secondo alcuni (quelli che comandano, naturalmente…)
Richard Burton e Liz Taylor erano due attori magnifici, così per il puro piacere di vederli recitare decido di guardarmi “La bisbetica domata” diretta da Zeffirelli. Sorpresa: il film è bellissimo, e molto godibile. D’altra parte, rifletto, non è poi così strano: Zeffirelli ha sempre saputo fare bene il suo mestiere, e in quel 1967 era nel suo periodo migliore. In più, “La bisbetica domata” non è l’Amleto: Shakespeare si diverte e vuol far divertire, è l’occasione di fare festa, per gli attori e per il pubblico. Non è un testo su cui ci sia molto da scrivere o da riflettere, come per La Tempesta o per il Mercante di Venezia, o l’Otello; perciò mi abbandono al piacere del testo, della recitazione, della regia e passo ottanta minuti della mia vita divertendomi molto.
Ma a film finito c’è una cosa che mi disturba, e subito capisco cos’è (ormai sono fatto così, mi dovete scusare). E’ che in questo film i servi sono servi, e i padroni sono padroni. C’è una differenza netta e marcata nei loro comportamenti, e ovviamente non è colpa di Zeffirelli: è che così andavano le cose, e sono andate avanti per moltissimi secoli. Dubito che fosse davvero così nella realtà, ma in quest’opera sembra davvero che i servi siano nati servi e i padroni siano nati padroni (pardon, “nobili”), quasi che siano dure razze diverse e ben riconoscibili, come l’asino e il cavallo, insomma. E’ una rappresentazione non sgradevole, tanto da apparire fluida e naturale anche a me che sto guardando il film. Forse vent’anni fa non me ne sarei accorto, oggi ci faccio caso sempre più spesso. E’ un mondo che piace a molti, questo, sia ai padroni che ai servi: ma per chi non si riconosce in nessuna delle due categorie (pardon, “razze”) la vita è sempre stata molto dura, sia al tempo delle Regina Elisabetta Prima che oggi sotto Elisabetta Seconda; abbiamo vissuto un breve intervallo, ma oggi si sta tornando all’ordine antico – e forse naturale, almeno secondo alcuni (quelli che comandano, naturalmente…)
Giuliano, a parte che Richard Burton è bravissimo, è l'Elizabeth Taylor quella che impressiona di più. In quegli anni, fra La Gatta sul Tetto che Scotta e I Commedianti, la Taylor scatenò il suo talento. Piccoletta, cicciotta, spesso cattivissima, era un prodigio, attorno ai suoi trentacinque anni. Che è una cosa tanto più inaspettata in quanto per molto tempo - cominciò da ragazzina con Lassie - le avevano affidato perti melense, ma standoci attenti già si capiva che cosa ci fosse dietro quegli occhi, che più belli non ci sono mai stati né ci saranno. Mi spiace solo di non avere mai visto il filmaccione Cleopatra, dove conobbe Burton e lasciò perdere il precedente amorazzo. Mi immagino la loro convivenza. Non sono informato, ma penso che sia stata (o sarebbe stata) una meraviglia anche in teatro. Una da farsi subito frati nel deserto dalla paura. Tornando al film, credo che si debba ammettere, un po' a bocca storta, che Zeffirelli è stato un genio: è riuscito a non farsi travolgere, anzi a farsi rispettare, da due talenti così.
RispondiEliminasaludos
Solimano
Solimano, ma che mi dici?! Mai visto Cleopatra?! Ohibo!
RispondiEliminaCmq il grande film di Liz & Richard è secondo me "Chi ha paura di Virginia Woolf", bianco e nero splendidissimo e loro due mostri di bravura. Ovviamente non si vede passare mai in TV e non so nemmeno se c'è il DVD. Grandissima recitazione.
In quanto a Zeffirelli...siccome in genere mi fa venire l'orticaria, avanzo l'ipotesi che in questo caso fu la magia della coppia a sortir tal benefico effetto ;-)
Questo è l'unico film di Zeffirelli che sono riuscito a vedere per intero: era in lingua originale, con i sottotitoli. Quindi sono due volte d'accordo con Gabrilu: per i due protagonisti e per Zeffirelli.
RispondiEliminaDi Zeffirelli, quando andavo in loggione alla Scala, ho visto cose magnifiche (Boheme, Otello), che però erano degli anni '60-70; in seguito penso che Zeffirelli sia un po' scoppiato (felicemente scoppiato: buon per lui!)
Gabrilu, quando uscì Cleopatra ero in una fase cogliona di tiramento intellettualistico per cui il film più sconosciuto e noioso era il meglio. Frequentavo dei cinema d'essai che credo fossero dei garage riattati - adesso sono tornati tutti a fare i garage, conviene. Ragazzi pallidissimi e soli, ragazze occhialute, nessuna con le trecce; un giorno uscii sentendomi tanto intelligente ma triste, e mi accorsi di quante belle ragazze ci fossero a spasso mentre passavo i pomeriggi con i pallidi e le miopi. Fu lì che iniziai una soddisfacente svolta culturale, i motivi c'erano tutti.
RispondiEliminaConcordo con te e sottolineo il "Chi ha paura di Virginia Woolf?" tratto da Albee. Anche "Riflessi in un occhio d'oro" fu notevole, credo che Liz vincesse la sfida con Marlon Brando, che non erano bruscolini.
saludos
Solimano
Solimano, mi hai fatto morire dal ridere con la tua descrizione dei cinema d'essai nei garage perchè pure io! pure io! Ah, i locali gelidi. Ah, i locali squallidi: e più gelidi e squallidi e scomodi erano e più i film catalettici più ci sentivamo intellettuali...
RispondiElimina(Però io Cleopatra me lo sono andata a vedere lo stesso, e pure in cinemascope, tiè ;-)
Solimano e Gabrilu, io i cinema d'essai veri e propri, confesso, non li ho mai frequentati, però verso i 15-16 anni sono stata socia per un po' di un cineforum che si teneva la domenica mattina, in un locale centralissimo, dove confluiva gran parte della gioventù pseudio-impegnata dell'epoca. Dico "pseudo", perchè -ma questo lo capii solo dopo- molti dei ragazzi presenti venivano per guardare non lo schermo ma la platea, in cerca dell'anima gemella. E che gomitata nella pancia mi arrivò, una mattina, da una mia coetanea che voleva sedersi a tutti i costi accanto al "bello e dannato" della compagnia! Per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare nemmeno uno dei film visti allora... Boh! sarà un caso?
RispondiEliminaMi incuriosiscono questi racconti sui cineforum. Io non ne ho mia frequentato uno, perché vivo in provincia e ho sempre lavorato a turni: anche volendo...
RispondiEliminaPer vedere i film che volevo vedere ho sempre dovuto fare i salti mortali, anche perché alle ragazze non sono mai piaciuti.
PS: Nel film, è divertente vedere che c'è anche Bice Valori (e non solo lei...)
Giuliano, sono andato a vedere in IMDb se c'è qualcun'altro oltre Bice Valori, e ho trovato Lino Capolicchio, Giancarlo Cobelli, Alberto Bonucci, Gianni Magni (uno dei Gufi, mi sembra), Milena Vukotic e Alfredo Bianchini. Ho scoperto inoltre che i produttori erano proprio la Taylor e Burton: avevano tutti gli interessi perchè il film andasse bene, peccato non trovare fotografie all'altezza. Però quella che ho messo esprime bene la grinta furibonda che ci mise la Taylor.
RispondiEliminasaludos
Solimano
Gabrilu e Roby, voi non dite quale era il rischio vero di quegli ambienti intellettuali, quello di trovarsi per morosa/moroso una persona brutta e rompigliona. C'era anche l'effetto Sartre, brutto che più non si può, di cui Camus, bellissimo, diceva che riusciva a combinare con le donne perché le stordiva con le parole. Di storditrici ne ho incontrato, è difficile sottrarsi: ti costringi a fartele piacere, così si diventa a forza di cinema-garage.
RispondiEliminasaludos
Solimano
Caro Solimano, quel rischio lì esiste dappertutto, mica solo ai cineforum... Ma qui si esce dal seminato, passo e chiudo.
RispondiEliminaGiuliano