Solimano
Alla fine del primo tempo di Mulholland Drive ero molto soddisfatto. Una storia complessa, ma bene organizzata, dunque chiara. Rita (Laura Elena Harring) rischia di essere uccisa in auto da due gangster, ma un provvidenziale incidente d'auto in cui i gangster muoiono le salva la vita. Questo succede sulla Mulholland Drive, una importante strada di Los Angeles. In preda ad una amnesia da choc, Rita si rifugia in un appartamento in cui arriva Betty (Naomi Watts), nipote della proprietaria, che è venuta a Los Angeles perché vuole avere successo nel cinema. Le due donne superano la iniziale diffidenza fra loro, ma succede che Adam Kesher (Justin Theroux), il regista con cui Betty deve sostenere il provino, è minacciato da gangster che potrebbero appartenere alla stesso gruppo che voleva (e vuole) fare la pelle a Rita. A questo si aggiunge che ci sono in ballo molti soldi, trovati nella borsetta di Rita, di cui le due donne vorrebbero impossessarsi e che fra Rita e Betty, entrambe bellissime, nasce con naturalezza una piena intimità sessuale. Nella borsetta c'è anche una chiave, che servirà certamente ad aprire qualche porta o cassetta di sicurezza. Tutto ben raccontato, con un vigore raro, anche con l'umore di momenti di alta comicità, in particolare riguardo l'ambiente del cinema, con il rapporto degli attori fra di loro e col regista, rapporto che cambia radicalmente da prima a dopo il provino: è scontato che succeda così, solo che è anche imprevisto, nessuno degli spettatori se lo aspettava. Inoltre, il giro dei gangster ha una sua naturalissima efferatezza da impiegati abitudinari ma efficienti. Mi aggiravo quindi nell'Arena di Villa Ghirlanda, pienissima in quella sera estiva, e sembrava che la mia contentezza fosse condivisa dagli spettatori, li vedevo solo un po' compunti, come se fossero troppo presi. In fondo era pur sempre un film, ma non consideravo che quasi tutti i presenti il film l'avevano visto durante l'inverno. Di questo mi resi conto vedendo il secondo tempo. La storia, da oliatissimo meccanismo ad orologeria, cominciò a scappare da tutte le parti: i tempi cronologici sovvertititi, le due donne che cambiavano identità, oltre che il colore dei capelli, comparivano strani appartamenti non visitati da tempo, ma cui era successo qualcosa che poteva verificarsi ancora, qualcosa di terribile. Il tutto, si badi bene, non affastellando idee, sensazioni, deliri, sogni, tutto veniva raccontato con una coerenza perfetta, come se fosse la storia più chiara del mondo. A me non piace essere preso in giro, specie al cinema, ma stranamente non mi dava nessun fastidio questo va e vieni delle persone e dei tempi, il mio stato d'animo era un mo' vediamo cosa combina ancora 'sto geniale furbacchione di regista. La fine fu drammatica ed aperta, le persone ragionevoli continuavano a chiedersi il come, il perché, il quando, il dove. Avevano ragione, niente da dire, ma a me non importava nulla, e tuttora non mi importa. Hanno fatto delle indagini, su Mulholland Drive, e mi sono divertito a leggerle, ho anche la sensazione che effettivamente ci sia un razionale che spiega tutto, qualche critico dei più tosti c'è vicino, lo sento, qualche psichiatra ancora di più, saranno tutti contenti di smascherare Lynch, con i suoi formidabili trucchi. Io dico: che me ne frega? So che ho assistito ad una cosa grande, con una proprietà che non ha bisogno dei piccoli nessi della ragione, sofistica ed indagatrice dovunque, angoletti compresi. E' la stessa proprietà che ho visto in azione in certe grandi opere pittoriche, come il San Giorgio, la Principessa e il drago di Cosmè Tura a Ferrara, come la Crocifissione del Pordenone a Cremona. Sono opere piene di assurdità apparenti, che tutte confluiscono nell'unità di visione alta e forte. Una realtà potenziata, e lascio stare l'esempio di Grunewald. Ne vogliamo prendere atto o no, del fatto che il cinema può essere anche un'arte grande? E' il caso di Mulholland Drive di David Lynch. Due righe per le straordinarie protagoniste. Sì, Naomi Watts - la bionda - è bravissima, sia da pupattola che da donna infernale, ma anche Laura Elena Harring - la mora - non tira colpi a caso, la fisicità da bambolona solo apparente è sbalorditiva, da rivederla la notte mentre si dorme. Sogno o incubo? Chi se ne frega, ancora.
Ho assistito alla conferenza di un giovane semiologo che parlava di Mulholland dr come di un film trasparente assai. Mi piacerebbe rivederlo per verificare la sua tesi.
RispondiEliminaNel film c'è chiaramente un risveglio, che avviene in teatro, dove Naomi Watts ha una crisi d'angoscia durante lo spettacolo di un mago. Le due figure recitate dalla Watts (bravissima nel doppio ruolo) si riferiscono altrettanto chiaramente a due diversi stati di coscienza (uno è di "cattiva coscienza"). Quello che il semiologo diceva, e che non ero riuscito a cogliere quando vidi il film, è che c'è un momento chiave in cui la Watts entra nel "sonno" da cui poi esce a teatro.
Non so se lui ci sia arrivato alla prima visione o se, come credo, abbia visto e rivisto il film sul suo PC. Nell'epoca del fermo-immagine per tutti, i registi colti possono contare su spettatori-chirurghi e prendersi qualche libertà in più.
Comprendo bene quello che mi stai dicendo, anche perché ho voluto documentarmi. Ritengo che non solo sia ammissibile che semiologi e psichiatri dicano la loro, ma che lo stesso Lynch abia costruito volontaristicamente una sua macchina di freudismo consapevole e modernizzato. Ho due obiezioni. La prima è che il freudismo è solo una griglia di interpretazione (che può essere anche utile, perché no), quindi di griglie ce ne potrebbero essere altre, che lo voglia o no lo stesso Lynch.
RispondiEliminaLa seconda - che per me ha più peso - e che, anche ammettendo che i conti tornassero, quello che veramente mi prende è il modo della rappresentazione artistica di Lynch. A parità di conti, è questa la differenza, e che differenza.
saludos
Solimano