Giuliano
Frank Darabont è un nome che non dirà nulla a nessuno, ma magari qualcuno si ricorda due film molto belli come “Il miglio verde” e “Le ali della libertà”. Darabont ha uno stile particolarissimo: è lento, lungo, fluviale, compassato. Macina storie come se tutti avessimo un tempo inenarrabile a disposizione. Non bisogna avere fretta, con Darabont: con questo film, già ostico a partire dal titolo, se riuscite a sopravvivere al primo quarto d’ora potrete assistere ad un capolavoro, uno dei film “fatti come una volta” che si dice sempre che non si fanno più.
E’ lungo, il film di Darabont: lungo come i film di Frank Capra. Mi fa venire in mente un aneddoto che si racconta sulla prima fiorentina del Parsifal di Wagner, che è addirittura più lungo dei film di Darabont: siamo dopo la mezzanotte, anche l’ultimo tram è passato, finalmente arrivano i Cavalieri del Graal, gravi e solenni, ieratici e maestosi, cantando in coro. Dal loggione spunta una voce, in puro idioma fiorentino: “A codest’ora, di codesto passo, figli di puttana?”.
E’ questo anche il passo di Darabont, ma vi assicuro che ne vale la pena. “The Majestic” è il nome di un cinema, un cinema di provincia degli anni 40 in America, uno di quei cinema meravigliosi che oggi non ci sono più, sostituiti dall’anonimato dei multisala; e il protagonista, Jim Carrey in un ruolo serio, è uno sceneggiatore di Hollywood che finisce sulle liste nere del maccartismo. Ed è dedicato al maccartismo quell’inizio così lungo e meticoloso, che ci descrive Carrey come un tipo decisamente apolitico che si vede piombare tra capo e collo l’accusa di essere comunista proprio mentre la sua carriera sta per decollare. E’ dunque un film sul maccartismo? No, c’è una svolta improvvisa che non sto qui a raccontare perché vi rovinerei il piacere della visione: il maccartismo è solo la cornice indispensabile per la storia vera, il cuore del film e del ragionamento che vuole farci Darabont. Vi basti sapere che, pur conoscendo tutto del protagonista per averlo visto fin dall’inizio, ad un certo punto cominciamo a dubitare di lui. E’ straordinario: come nel migliore Hitchcock sappiamo tutto di tutto ma ad un certo punto ci accorgiamo di non sapere più niente, dov’è la verità, chi è il protagonista, cos’è il coraggio e per cosa vale la pena di vivere la nostra vita.
E’ tutto bello, ci sono due grandi vecchi come Martin Landau e James Whitmore, che danno una prova stellare, e anche il finale è di quelli memorabili. A questo film rimprovero solo una cosa: nella passerella finale manca uno dei protagonisti dell’inizio del film, la scimmietta di peluche di Jim Carrey. Questo fatto della scimmietta proprio non sono ancora riuscito a mandarlo giù, un giorno o l’altro prendo carta e penna, scrivo a Frank Darabont e gliene dico quattro.
E’ lungo, il film di Darabont: lungo come i film di Frank Capra. Mi fa venire in mente un aneddoto che si racconta sulla prima fiorentina del Parsifal di Wagner, che è addirittura più lungo dei film di Darabont: siamo dopo la mezzanotte, anche l’ultimo tram è passato, finalmente arrivano i Cavalieri del Graal, gravi e solenni, ieratici e maestosi, cantando in coro. Dal loggione spunta una voce, in puro idioma fiorentino: “A codest’ora, di codesto passo, figli di puttana?”.
E’ questo anche il passo di Darabont, ma vi assicuro che ne vale la pena. “The Majestic” è il nome di un cinema, un cinema di provincia degli anni 40 in America, uno di quei cinema meravigliosi che oggi non ci sono più, sostituiti dall’anonimato dei multisala; e il protagonista, Jim Carrey in un ruolo serio, è uno sceneggiatore di Hollywood che finisce sulle liste nere del maccartismo. Ed è dedicato al maccartismo quell’inizio così lungo e meticoloso, che ci descrive Carrey come un tipo decisamente apolitico che si vede piombare tra capo e collo l’accusa di essere comunista proprio mentre la sua carriera sta per decollare. E’ dunque un film sul maccartismo? No, c’è una svolta improvvisa che non sto qui a raccontare perché vi rovinerei il piacere della visione: il maccartismo è solo la cornice indispensabile per la storia vera, il cuore del film e del ragionamento che vuole farci Darabont. Vi basti sapere che, pur conoscendo tutto del protagonista per averlo visto fin dall’inizio, ad un certo punto cominciamo a dubitare di lui. E’ straordinario: come nel migliore Hitchcock sappiamo tutto di tutto ma ad un certo punto ci accorgiamo di non sapere più niente, dov’è la verità, chi è il protagonista, cos’è il coraggio e per cosa vale la pena di vivere la nostra vita.
E’ tutto bello, ci sono due grandi vecchi come Martin Landau e James Whitmore, che danno una prova stellare, e anche il finale è di quelli memorabili. A questo film rimprovero solo una cosa: nella passerella finale manca uno dei protagonisti dell’inizio del film, la scimmietta di peluche di Jim Carrey. Questo fatto della scimmietta proprio non sono ancora riuscito a mandarlo giù, un giorno o l’altro prendo carta e penna, scrivo a Frank Darabont e gliene dico quattro.
Giuliano, il mondo del cinema è impietoso (come tutti i mondi, peraltro). Sono andato a vedere i Rating di Darabont. Le Ali della Libertà è stato votato da 250.000 persone, una enormità, il Miglio Verde da quasi 100.000, un grosso numero, The Majestic da poco più di 10.000...
RispondiEliminaA parte i votanti, è incredibile il voto de Le Ali della Libertà: 9.2! Senza differenze fra maschi e femmine né per fasce d'età né fra USA e non USA. Sarebbe interessante una indagine per capire le ragioni di un successo così universale, forse l'hanno già fatta. Evidentemente è un film che tocca nel profondo sentimenti universali.
saludos
Solimano
Confesso: “The Majestic” l’ho visto in cassetta. Altrimenti non so se sarei arrivato fino in fondo, forse al cinema sarei morto durante il primo quarto d’ora, o sarei scappato via... La stessa cosa la devo confessare per Kiarostami: amo moltissimo i suoi film ma non so se avrei retto guardandoli al cinema. Però “The Majestic” è davvero bello, sono contentissimo di averlo visto per intero, e lo consiglio a tutti, soprattutto alle donne e a tutti quelli che amano i thriller di Hitchcock, i film di Frank Capra con James Stewart, e le storie d’amore commoventi.
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