venerdì 6 aprile 2007

Le Avventure di Pinocchio

Le Avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1972) Sceneggiatura di Suso Cecchi D'Amico dal romanzo di Carlo Collodi Con Nino Manfredi, Andrea Balestri, Gina Lollobrigida, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Mario Adorf, Lionel Stander, Vittorio De Sica, Ugo D'Alessio, Mario Scaccia Musica di Fiorenzo Carpi Fotografia di Armando Nannuzzi Costumi di Piero Gherardi (303 minuti TV 134 minuti cinema) Rating IMDb: 7.9
Solimano
Lo so, qualcuno penserà che baro al gioco, perché “Le avventure di Pinocchio” di Comencini furono trasmesse per televisione. No, non baro, ne fu tratto un film più corto che fu proiettato nei cinema ed ebbe un buon pubblico. Quindi mi ritengo assolto con formula piena, anche se... io l’ho visto solo per TV. Che male c’è? Non era la TV di adesso. Questo sceneggiato televisivo fu un susseguirsi di colpi di fortuna e di colpi di genio. Avevano già deciso di non farlo perché non riuscivano a trovare il pupazzo adatto, quando qualcuno, o Suso Cecchi D’Amico o Luigi Comencini, ebbe l’idea di fare il film su un bambino, non su un pupazzo, e questo fu un colpo di genio. Fu invece un colpo di fortuna che capitasse il bambino Andrea Balestri, con la faccia giusta, da monello ingrugnato e bruttarello, però da monello sveglio. Scritturarono Manfredi, l’unico che poteva parlare con un pezzo di legno, Franchi e Ingrassia, nati Gatto e Volpe, perfino la Lollobrigida andò bene, una Fata Turchina tipo signora di campagna ben fornita dal cuore apparentemente buono, ma che quando Pinocchio ne combinava una delle sue, lo faceva ridiventare un pezzo di legno, solo per poco, per fortuna. Girarono nel Lazio in paesi vicini a Viterbo, attorno a laghi grandi e piccoli, anche sul mare di Nettuno per simulare la partenza per le Americhe. C’erano Lionel Stander come Mangiafuoco e Vittorio De Sica, pochi minuti da Giudice. A me diede una impressione fortissima di realtà povera, ma non misera, ansiosa di libertà: i paesi, l’inverno con la neve, i ghiaccioli che pendevano dalle grondaie, il vento che faceva sbattere porte e persiane, le persone imbacuccatte che andavano di fretta, Pinocchio che correva, la spiaggia, il mare, persino la Balena con una stanza dentro. Tanto più la realtà la sentivi - li avevi visti posti così, magari ci vivevi – tanto più era travolgente l’irruzione della favola. Tutto con naturalezza, senza manierismi - c’erano, ma Comencini li nascose bene. Non è che facesse piangere - certi bimbi piccoli però piansero - né che facesse ridere: commuoveva, semplicemente. Me ne stavo di fronte alla televisione, oggi ridotta a scatolotto, e la sentivo come tramite verso una vita non so se bella o brutta, ma una vita potenziata. A volte penso una cosa che non dovrei: che il Pinocchio di Collodi è stato solo una occasione da sfruttare, con la sua lingua troppo ripulita, in fondo letteraria. Ne è geniale l’invenzione, ma un che di bozzettismo ce lo si trova, il bozzettismo della campagna vista da uno che di fondo campagnolo non è. Non dovrei, perché il mio professore di italiano del ginnasio mi insegnò che ogni anno bisogna leggere I Promessi Sposi e Pinocchio. Con I Promessi Sposi per cinque anni ci sono riuscito, con Pinocchio no, alla seconda lettura ho smesso. Il Pinocchio di Comencini è ricchissimo di idee, di movimenti, di sguardi, di parole che Collodi non ha scritto né tampoco immaginato, ma questa ricchezza infedele è più vera del libro stesso: Collodi se ne sarebbe impossessato ringraziando. Fu bello guardare la TV senza nessun assillo di come sarebbe andata a finire la storia, guardarla così, per il piacere che si trovava in ogni singolo momento, per la curiosità di come sarebbe stato il Paese dei Balocchi, di vedere la faccia di quel teppista di Lucignolo, e la vasta pancia della balena. Come di fronte ad un prestigiatore che sai che c’è il trucco, che sai quello che succederà, ma mentre la cosa si fa non puoi fare a meno di crederci, il trucco non c’è più. “Le Avventure di Pinocchio” furono trasmesse a puntate, tutti stavano bene attenti a non farsi fregare da altri impegni. In sedici milioni lo videro, c’ero anch’io.

4 commenti:

  1. Caro Solimano,
    non son del tutto daccordo sulla lingua di Collodi. A me pare una lingua vivissima rpoprio perchè infarcita di toscanismi "bassi", mentre quella di Manzoni rimane sempre un toscano (fiorentino) "alto" (vivissima anche quella, poichè è diventata la nostra).
    Nell'invenzione narrativa Collodi ha mescolato alcuni elementi fiabeschi di stampo italiano e popolare e altri, più classici, che ha fatto "scendere" nel paesaggio toscano; ottenendo, mi sembra, l'effetto di trasformare per "sollevamento" l'elemento popolare da localissimo a universale (o almeno nazionale) e di rivitalizzare l'elemento mitologico "per immersione" nel contesto popolare. A tutto ciò aggiungerei l'ambientazione moderna della favola (con tanto di scuola pubblica e abecedario) in cui questi due patrimoni narrativi s'incontrano e confondono.
    Ciao, Nicola

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  2. La versione di Pinocchio con Manfredi mi è molto piaciuta, anche se di Pinocchi ne vediamo tanti ogni giorno!Isabella

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  3. Risponderò su Collodi, Nicola, ma in questo momento sono un po' commosso. Ho inserito "Le avventure di Pinocchio" stanotte all'una, ed ho appreso adesso dal TG che Luigi Comencini è scomparso propria stanotte. Ho avuto la fortuna di avergli fatto un piccolo omaggio proprio l'ultimo giorno, senza saper nulla di lui, dove fosse, come stesse. Aveva novant'anni, ed una vita pienissima, ricordo solo alcuni dei suoi film: Pane, amore e fantasia, La finestra sul Luna Park, Tutti a casa, La ragazza di Bube, Incompreso, Giacomo Casanova veneziano, Le avventure di Pinocchio, Lo scopone scientifico, La donna della domenica, Voltati Eugenio, Cuore, La Storia, e tanti altri titoli minori sempre con una loro dignità. Il grande artigianato di registi come Comencini è quello che manca in Italia oggi, e di cui è piena la Francia. Tenere l'arte del cinema ad un livello di popolarità senza sbraco e spesso da acculturati è un segno di civiltà di un paese, oggi noi oscilliamo fra piccoli film che non vede nessuno, budget corposi per strenne natalizie sempre peggiori, e tiramenti ambigui fra televisione e cinema, che nel dubbio si tengono aperte tutte e due le strade,perdendo ogni sapore.
    Ci pensavo stanotte, scrivendo di Pinocchio, ad alcuni altri suoi film, ne ho in mente due che porterò qui, prima o poi, non perché lui non c'è più ma perché sono film miei amici.

    Solimano

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  4. Torno a Collodi. Sul piano tecnico-linguistico, Nicola, puoi avere delle ragioni, mi sembra che però Collodi non viva del tutto quel che racconta. Sulla Toscana, diversi decenni dopo ci fu uno che espresse benissimo un mondo fatto di proprietari, mezzadri, contadini, braccianti - anche mercanti: Federigo Tozzi. Nella sua lingua aspra, scabra e faticosa trovo più verità. Mai in lui c'è il rischio dell'Arcadia in maschera, c'è la durezza reale della vita. Parlo di Con gli occhi chiusi, paragonabile ad un libro scritto qualche decennio dopo: La Malora di Fenoglio. Entrambi racconti brevi in cui non si spreca una parola. Una Italia più tragica e vera, questi libri non sono sati accettati, di fondo, perché hanno una serietà non abituale. Comencini ha messo molto del suo, in Pinocchio, ed ha fatto bene: poche smancerie, persino poco buonismo a cui Comencini era esposto, come tutti.

    saludos
    Primo

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